Il Sito Della Passione Audio non si occupa di oggetti in vendita corrente per motivi che sono stati elencati più volte.
Talvolta potrebbe valere la pena di fare un’eccezione, come in questo caso.
Gironzolando su internet mi è capitata la pubblicità dei Calmer, inserti intraurali atti a ridurre le risonanze create naturalmente nel condotto auricolare. Il loro scopo primario è quello di ridurre lo stress dovuto alla permanenza in ambienti rumorosi, senza per questo penalizzare le capacità uditive. Sono indicati anche per migliorare l’esperienza d’ascolto in una serie di condizioni diverse: mentre si suona uno strumento, con musica dal vivo o da un impianto di riproduzione e così via.
Inoltre viene suggerita la possibilità che possano contribuire a ridure gli effetti degli acufeni, dei quali una persona a me vicina soffre in forma non lieve. Per quanto un’affermazione del genere mi lasciasse dubbioso, ho pensato che potesse valere la pena di vedere se funzionano.
Così ho completato il modulo di contatto sul sito Flare Audio e il giorno dopo ho ricevuto una cortese risposta in cui mi si annunciava che insieme ai Calmer avrei ricevuto una coppia di auricolari Jet 2.
Ho ringraziato e sono rimasto in attesa: dopo una settimana o poco più è arrivato il pacchettino contenente i due oggetti.
Calmer
Va detto innanzitutto che i Calmer non sono normali tappi per orecchie. Infatti il loro interno è cavo. Il fabbricante li definisce guide d’onda da inserire nel tratto esterno del condotto uditivo, in corrispondenza della conca.
Il primo dubbio suscitato dalla comunicazione di Flare Audio riguardo al prodotto è quello inerente la risonanza che si crea naturalmente all’interno dell’orecchio e i motivi per cui sarebbe indicato ridurne l’effetto.
Sul manualetto presente nella confezione del prodotto si trova la risposta. Se quella risonanza è stata una parte vitale della nostra evoluzione, e nelle ere passate ci ha permesso di cogliere i suoni più sottili eventualmente collegati a un potenziale pericolo, nel mondo di oggi che non è più quello dei nostri antenati va a rafforzare una quantità di rumori ambientali che non ne hanno bisogno alcuno. Anzi, danno il loro contributo agli stati di stress e d’inquietudine che sono putroppo comuni, soprattutto nei luoghi affollati e rumorosi, e più in genere nel traffico delle grandi città.
Il nostro udito inoltre ha una sensibilità differenziata nei confronti delle diverse frequenze che ricadono all’interno dello spettro udibile. Già nel 1936 gli studi eseguiti da Fletcher e Munson hanno comprovato la cosa. Gli studiosi hanno anche definito delle curve, che prendono il loro nome o altrimenti vengono definite isofoniche. Un tempo, quando invece di fare esclusivamente pubblicità camuffata le cose si provava almeno a spiegarle, erano ben note anche nell’ambito del mondo della riproduzione audio. Descrivono la sensibilità dell’udito umano in funzione della frequenza e della pressione sonora del fenomeno acustico cui è esposto.
I tracciati in blu descrivono il livello in dB che deve avere un segnale alle diverse frequenze per far si che sia percepito a un livello uniforme dall’udito umano. Come vediamo, la massima sensibilità percettiva è nell’intervallo tra i 2 e i 6 kHz, mentre cala vistosamente agli estremi della gamma udibile.
La realizzazione dei Calmer si basa appunto sull’idea di ricalibrare la sensibilità dell’udito nei confronti di alcune frequenze, proprio in funzione dei fenomeni acustici ai quali oggi si ha l’esposizione maggiore o più usuale.
Confezionamento e dotazione
I Calmer sono contenuti in una busta di cartoncino riciclato sulla quale sono riportati alcuni tra gli usi più indicati. Al suo interno insieme ai due inserti ci sono un manualetto esplicativo e un sacchettino entro cui riporre gli stessi quando non li si usa.
Per quanto possano rassomigliare a dei comuni tappi auricolari, se li si osserva con un minimo di attenzione si scopre che con questi ultimi hanno in comune soltanto il luogo in cui vanno impiegati, il tratto esterno del condotto uditivo.
Mentre in genere i normali tappi hanno una consistenza spugnosa, la superficie dei Calmer è quasi perfettamente liscia, a parte la denominazione commerciale incisa su di essi. Sono leggermente piegati più o meno alla loro metà e soprattutto sono cavi al loro interno, fomando quella che il loro ideatore descrive come una guida d’onda. Sul margine esterno hanno inoltre una specie di peduncolo, che serve sia a fare in modo che li inserisca nel modo corretto, sia a sfilarli senza difficoltà.
Come vediamo, il Calmer concentra il suo intervento sulla gamma di frequenze in cui il nostro udito è più sensibile e lo rafforza in modo particolare tra i 6 e i 16 kHz circa.
Le dimensioni dei Calmer sono ovviamente ridotte a sufficienza per poter essere inseriti nel tratto esterno del condotto auricolare.
La loro lunghezza totale è di 20 millimetri, essendo però misurata comprendendo anche il peduncolo, la lunghezza effettiva della guida d’onda da essi formata e pari a circa 1 centimetro o meno.
Il materiale morbido dal quale sono costituiti consente loro un’ottima adattabilità alla conformazione del condotto di ogni utilizzatore e un confort adeguato durante il loro impiego.
Essendo cavi al loro interno sono più comodi rispetto a comuni tappi per orecchie, tipo di oggetto che personalmente non sopporto, anche per via del senso di costrizione da esso causato.
Se si è dotati di una buona consapevolezza nei confronti di quel che si ode, l’effetto dei Calmer risulta piuttosto evidente fin dal primo istante. In particolare se li s’indossa in ambienti che siano almeno mediamente rumorosi. La percezione uditiva si fa più precisa e nello stesso tempo meno affaticante.
Il percepire la presenza di un oggetto estraneo all’interno dell’orecchio potrebbe indure il timore riguardante la possibilità di non cogliere alcuni rumori, ma basta qualche minuto per rendersi conto che è infondato e anzi si ha una capacità uditiva comunque efficace, anche se variata a livello spettrale, e di migliore focalizzazione dei suoni.
Più aumenta il livello di pressione sonora ambientale e più l’effetto del Calmer si rende evidente. Questo significa anche che se lo s’indossa per la prima volta in ambienti particolarmente silenziosi, si corre il rischio di non cogliere il suo effetto.
Questo viceversa è parecchio evidente quando ci si pone all’ascolto dell’impianto audio. L’emissione acquisisce caratteristiche di precisione e focalizzazione direi estrema. Diventa molto più controllata, suscitando l’impressione di essere di fronte a un sistema di costo molto maggiore. A dire il vero, non mi è mai accaduto di ascoltare nulla di simile, sia pure da parte d’impianti di prezzo e prestazioni stellari, per il semplice motivo che non sono le loro caratteristiche a dar luogo a determinate sensazioni, bensì quelle relative alla percezione soggettiva con l’impiego del Calmer. Nondimeno la parola precisione è la prima che viene alla mente, non solo nelle fasi iniziali del primo impiego del prodotto, ma anche nel ripetersi degli ascolti.
La sonorità acquisisce anche uno spessore maggiore.
Secondo il fabbricante, l’effetto del Calmer si deve alla riduzione di quella che definisce distorsione. Personalmente non so quanto sia corretto o plausibile ricorrere a un termine del genere. E’ altrettanto vero però che riducendo le risonanze prodotte dalla conca si ha una percezione uditiva soggettivamente più nitida e precisa, in particolare nei confronti di particolari fenomeno acustici, come quelli prodotti da un impianto audio.
Esaurita la sorpresa del primo momento, ci si accorge anche di un altro effetto, inerente la gamma bassa, che diviene più rotonda, solida, potente e controllata, oltreché più propensa a evidenziare la sua origine effettiva. Che nel caso, poniamo, di un contrabbasso è data in primo luogo dalla corda che vibra, della quale si percepisce in maniera più netta la modulazione, rispetto al tuttuno tendente alla caratteristica informe tipica di molte situazioni.
Ora, stando a quel che dice il fabbricante, l’effetto alle basse frequenze è del tutto inesistente. Come si spiega allora la sensazione appena descritta, che tra l’altro è parecchio evidente, essendo seconda solo a quella inerente una maggior precisione un po’ su tutto lo spettro?
Semplice: la percezione di quelle a cui noi attribuiamo la definizione di basse frequenze, non è data solo da quel che è riconducibile alla gamma inferiore, ma senza che noi ce ne accorgiamo deriva anche da fenomeni, magari sottili e di livello che si definirebbe trascurabile sia pure a torto, che hanno luogo al di fuori dai suoi limiti. Ovvero in ambiti di frequenze che si riterrebbe, ancora una volta a torto, che con i bassi abbiano poco o nulla a che fare.
Del resto il diagramma d’intervento del Calmer, la cui immagine abbiamo visto sopra, è esplicito. Mostra che al di sotto dei 200 Hz, limite superiore della gamma bassa, non ha effetto alcuno.
Al di là del fatto in sé, questo ci permette di capire che i fenomeni associati alla percezione che noi valutiamo circoscritti a una determinata gamma di frequenze, hanno luogo in realtà anche al di fuori di essa. Già perché ci fornisce questo supplemento di consapevolezza, il costo di acquisto del Calmer, peraltro modico, appare giustificato.
Nel suo impiego ho avuto anche l’impressione che distinguere il posizionamento degli esecutori sul palcoscenico virtuale ricostruito dalla riproduzione stereofonica sia di qualche grado più difficoltoso.
Più in generale, sembra che la ricostruzione del fronte sonoro sia alquanto penalizzata dall’impiego degli inserti, anche se questo aspetto potrebbe variare sensibilmente in funzione delle condizioni in cui avviene l’ascolto e delle caratteristiche delle apparecchiature utilizzate allo scopo.
Infatti, se con l’impianto grande l’effetto del Calmer è ben evidente, con l’impiego di quello piccolo, dotato tra l’altro di diffusori da piedistallo e posizionato in un ambiente più riflettente, assume contorni più sfumati, anche se comunque percettibili.
Restava da verificare un altro suo effetto, quello inerente il trattamento degli acufeni. Si tratta di un problema che affligge numerose persone e a volte può diventare così fastidioso da provocare uno scadimento pronunciato del benessere personale.
Per questa prova ho fatto indossare i Calmer alla persona a me vicina che soffre del problema. A suo dire ne ha tratto beneficio, dato che la percezione degli acufeni si è attutita.
Ovviamente un oggetto simile può agire solo sugli effetti del problema, non certo sulle sua cause, che tra l’altro sono difficoltose anche solo da individuare. Nondimeno sembra in grado di dare un certo sollievo nei confronti di un disturbo che reca danno al nostro benessere e può arrivare a ridurre notevomente le capacità uditive, dato il livello del “rumore di fondo” che va a causare.
In base a quel che ho potuto verificare fin qui, ai Calmer va attribuita una valutazione positiva, stante l’efficacia che hanno dimostrato sul campo e la sostanziale rispondenza a quanto asserito dal loro fabbricante.
Jet 2
Con il progressivo diffondersi di telefoni cellulari, riproduttori audio personali e con l’aumento di capacità delle schede di memoria, l’ascolto di musica in mobilità è andato ampliandosi a dismisura. Questo fenomeno ha riportato al centro dell’attenzione oggetti un po’ trascurati, come la cuffia. Essendo sempre piuttosto ingombrante e forse troppo vistosa per determinati impieghi, sono andati diffondendosi quelli che di fatto ne costituiscono la riduzione ai minimi termini, ossia i trasduttori intra-aurali.
Un tempo gli auricolari erano quelli dedicati all’ascolto delle radioline a transistor. Come tali non necessitavano di fedeltà alcuna, bastava che funzionassero e rendessero intelligibile il parlato e la musica delle trasmissioni.
I primi auricolari “hi-fi” furono realizzati da Kenwood, in concomitanza col diffondersi dei Walkman, nella prima metà degli anni ’80. Non ne ricordo la sigla ma la loro confezione era identica a quella di un nastro in cassetta. Erano di plastica nera ricoperta da spugna di colore arancio e un po’ ingombranti, quindi non il massimo della comodità una volta indossati. Per quanto fossero molto avanti in termini di qualità sonora rispetto agli auricolari conosciuti fino ad allora, la cuffia in dotazione al Walkman Professional di cui ero possessore orgoglioso, e col quale ho registrato numerosi concerti dal vivo, era decisamente migliore.
Avevano però il pregio di passare quasi inosservati e di costituire una soluzione di buona praticità nell’impiego di entrambe le uscite cuffia a corredo del registratore portatile menzionato.
I Flare Audio Jet 2 possono essere visti come lontani eredi di quei Kenwood, caratterizzati da modalità funzionali ben più avanzate.
Utilizzano infatti la tecnica cosiddetta “a getto”, da cui riprendono il nome, che secondo il fabbricante permette di massimizzare la pressione data dal trasduttore, oltre a determinare la forma dell’auricolare.
Il Jet 2 è realizzato in alluminio tornito, mentre il modello 1 è in polimero ad alta resistenza e il 3 in titanio.
La confezione comprende 3 coppie di cuscinetti siliconici, rispettivamente di taglia piccola, media e grande. Le mie orecchie sono quanto di più lontano da un miracolo di miniaturizzazione, malgrado ciò mi sono trovato bene anche con i cuscinetti più piccoli.
Il cavo di collegamento è ricoperto in materiale siliconico ed è corredato da un microfono che rende adatti i Jet a funzionare in collegamento a telefoni cellulari. Il connettore è dorato.
I trasduttori che equipaggiano i Jet 2 sono da 10 millimetri, diametro favorevole all’ottenimento di una risposta ben estesa in gamma bassa e ai fini dello spostamento di una massa d’aria maggiore, con evidenti ripercussioni sul livello di pressione generato. In un sistema di emissione tradizionale, però, renderebbero l’auricolare scomodo da indossare. Con l’impiego della tecnica a getto, invece, la bocca d’uscita va a inserirsi ben dentro il condotto uditivo, con i cuscinetti siliconici che rendono confortevole la cosa, anche se la loro tendenza a sigillare lo spazio presente intorno ad essi dà luogo a una sensazione strana, cui comunque ci si abitua in breve. Ne deriva inoltre una marcata riduzione dei rumori esterni, un po’ come avverrebbe con l’impiego di una cuffia di tipo chiuso.
Da tutto questo deriva un maggiore avvicinamento del trasduttore al timpano, e quindi un volume d’ascolto soggettivamente maggiore a parità di emissione. Le caratteristiche dichiarate dal fabbricante indicano la sensibilità in 93 dB/mW, valore sulla carta non eccezionale. Una buona cuffia sovraurale come l’AKG K141 mKII ha una sensibilità di 101 db/mW, tuttavia la pressione sonora percepita nell’impiego dei Jet 2 non ha proprio paragone al confronto e risulta ben più sostanziosa.
Sfruttando il condotto uditivo come volume di carico, anche il comportamento alle frequenze inferiori risulta più efficace, dando luogo a una presenza e soprattutto a un’estensione maggiore.
Dunque con l’impiego in abbinamento a un qualsiasi telefonino, che al giorno d’oggi è forse l’impiego più probabile per questo genere di trasduttori, il volume ottenibile è persino sovrabbondante e costringe in pratica a tenere il controllo di livello nella metà inferiore dell’intervallo di regolazione, quando invece coi trasduttori tradizionali di pressione sonora sembra non essercene mai abbastanza.
In questo caso, pertanto, le raccomandazioni di tenere sotto il controllo il livello d’ascolto, per evitare possibili disturbi all’udito, sono da tenere in considerazione anche maggiore del solito.
Timbricamente i Jet 2 sono caratterizzati da una sonorità brillante e dettagliata, che trova con l’uscita audio dei telefoni cellulari un abbinamento dalle peculiarità persino imprevedibili. In particolare con uno dei telefoni con cui li ho provati, il Redmi 9, la qualità sonora è andata oltre le attese per realismo, precisione, sensazione di presenza degli esecutori e capacità di scendere a fondo nel dettaglio della registrazione. Nell’ascolto di file ben registrati codificati in Flac, si ha una sonorità persino sorprendente, che ci si può credere o meno, non desta il desiderio di servirsi di qualcosa di meglio, a livello di sorgente e di trasduttori.
L’equilibrio della gamma bassa dipende fortemente dal modo in cui s’indossano gli auricolari. Se si lascia la loro bocca d’uscita appena appoggiata all’ingresso del condotto uditivo risulta fortemente deficitaria, ma se li s’indossa correttamente pone in evidenza le sue doti di potenza, estensione e controllo che ancora una volta vanno oltre quel che ci si attenderebbe da una coppia di auricolari, per quanto ben fatti come i Jet 2.
Per quanto mostrino una grande estensione, i bassi prodotti dai Jet 2 denotano una certa prevalenza per l’intervallo superiore della gamma di appartenenza, conferendole un’evidente rotondità.
Il profilo della loro bocca d’uscita, come si nota a cuscinetti rimossi, ha un profilo caratterizzato da uno spigolo piuttosto evidente. Inevitabile chiedersi come cambierebbe la sonorità dei trasduttori se venisse rimosso, attribuendo al condotto una migliore raccordatura.

Qualora riesca a trovare una pietra dalle caratteristiche adatte, non è detto che non provi ad addolcire la forma del condotto, per vedere, o meglio ascoltare, cosa ne esce fuori.
Con il Samsung Galaxy J3 2017 si è persa parecchia tridimensionalità e la sonorità generale si è riavvicinata ai canoni tipici che ci si attendono da una riproduzione via telefonino o comunque eseguita per mezzo di dispositivi personali. Il Redmi del resto non è solo molto più moderno ma pone in evidenza già via altoparlante le prerogative superiori della sua sezione audio, in termini di livello di uscita, estensione di risposta e qualità generale.
Con il Galaxy si mantiene comunque una qualità sonora apprezzabile, mentre anche il livello di uscita dà l’idea di essere alquanto inferiore, anche se resta in ogni caso sovrabbondante.
Con il Tascam DR 40, per quanto si tratti di una macchina dotata di sezione d’uscita in funzione di mere esigenze di servizio, i Jet 2 riproducono senza difficoltà la pedaliera d’organo, a partire dalle registrazioni che ho eseguito personalmente nel concerto del Maestro Francesco Finotti tenutosi nel giugno scorso. La sonorità nel suo insieme mantiene la fedeltà necessaria a dare una rappresentazione sufficientemente verosimile di quel che era nell’aria durante l’evento originario.
Insieme all’uscita cuffia del pc portatile, un HP Pavilion N 027 SL, si ha una sonorità che va alquanto sopra le righe, principalmente in gamma medio alta. In questo caso, come pure nell’impiego in abbinamento ai telefoni summenzionati, i file audio sono stati riprodotti con Foobar 2000. Scegliendo il driver audio principale, al posto del Realtek High Definition, si rimettono sostanzialmente a posto le cose, anche se si resta lontani da quanto ottenuto con il Redmi 9. Nel collegamento all’uscita del portatile, il livello di pressione sonora è ancor più sovrabbondante e a seconda delle registrazioni basta tenerlo al livello 10 o persino meno.
I Jet 2 pertanto hanno dimostrato doti sonore eccedenti quelle del loro prezzo d’acquisto, appena sotto le 40 sterline sul sito del fabbricante, e si segnalano per la loro sonorità completa, dall’estensione agli estremi banda oltre le attese e ben dettagliata. La capacità di suonare forte con sorgenti dal livello di uscita alquanto deboluccio, così da risolvere il problema forse più diffuso nell’ambito dell’ascolto personale da sorgenti tascabili, come telefoni e riproduttori MP3, li rende una scelta tra le più indicate in quest’ambito, oltretutto senza obbligare a spese rilevanti.


