Demetrio, un rimpianto lungo 40 anni

E così sono 40, i lunghi anni che ormai ci separano da quel giorno inverosimile, in cui ricevemmo la notizia che non sarebbe mai dovuta arrivare.

Demetrio Stratos, cantante degli Area e prima ancora dei Ribelli, ci aveva lasciato. Proprio nel luogo in cui si sperava che la sua malattia rara potesse trovare una cura. Proprio lui che aveva sempre dato due giri di pista a tutti, ci è arrivato forse troppo tardi.

Su Demetrio, il suo personaggio, la sua voce e soprattutto l’uso che ne fece è stato detto di tutto e di più.

Reiterarlo ancora una volta, quindi, avrebbe poco senso. Anche se per chi non ha vissuto quell’epoca un modo di cantare come il suo, basato sull’utilizzo delle corde vocali come fossero uno strumento quantomai duttile, e la ricerca continua del modo con cui andare oltre i suoi limiti, potrebbe apparire ancora più “oltre” di quanto non sia stato per noi anziani. Proprio perché abbiamo avuto la fortuna di poter vivere quell’epoca irripetibile mentre era nel pieno del suo svolgimento, in un’età sufficientemente matura da fruire in prima persona delle sue fasi salienti.

E’ altrettanto vero, però, che il messaggio proposto da Stratos e dagli Area fu largamente malcompreso. Soprattutto nella fase iniziale della vita del gruppo, oggi giustamente posto sugli altari, ma che allora fu tutt’altro.

Personalmente ricordo bene le facce sbigottite causate da un brano come “L’Abbattimento Dello Zeppelin” nella sua esecuzione dal vivo al teatro Brancaccio di Roma. E ancor più i commenti salaci e infastiditi anche da parte degli addetti ai lavori, disorientati da qualcosa che andava troppo oltre i canoni, o meglio i confini, che allora si solevano attribuire alla musica rock. Sia pure nell’accezione sui generis e ben poco incline all’accettazione di recinti o limiti di sorta tipica della mentalità di quel periodo, in cui la ricerca di nuove modalità espressive e di commistioni tra generi musicali diversi, persino tra quelli ritenuti antitetici solo qualche attimo prima, era prassi comune.

Ricordo anche la sorpresa data dall’esibizione al terza edizione del festival rock di Villa Pamphili nel pieno della calura pomeridiana, come qualsiasi altro gruppetto di contorno, loro che dopo aver dato alle stampe il secondo disco “Caution Radiation Area” a mio avviso il più significativo, avrebbero meritato il posto d’onore nell’ora serale della giornata più importante.

Del resto, come già accennato altrove, gli Area davano fastidio ed erano fin troppo avanti per la loro era. Lo sarebbero stati anche negli anni successivi alla loro fine e più che mai vi sono rimasti oggi, dato che una ricerca tanto spinta e ad ampio raggio si riterrebbe priva di qualsiasi potenziale commerciale. come tale non meritevole, di spazio, pubblicazione o riconoscimento.

Nello stesso tempo il loro messaggio, sonoro, esistenziale e politico era talmente diretto e privo di mediazioni che oggi confliggerebbe in maniera irrecuperabile nei confronti del politicamente corretto che sembra essere la regola numero 1 a qualsiasi livello. La sua reale valenza è invece di frullatore dall’efficacia formidabile, atto a ridurre a poltiglia qualsiasi cosa, scremandone ogni elemento non condiviso dal 100% della popolazione. Che pertanto è ridotta a un ammasso amorfo, indifferenziato, e di conseguenza decerebrato.

Della dipartita di Stratos, allora, restano due elementi da considerare. Il primo è l’aver coinciso, in maniera singolare, con la fine stessa della fase storica per la musica di rilievo maggiore del secondo novecento, quella del rock progressivo. Anche se poi in realtà la musica eseguita dagli Area e cantata da Stratos si proiettava soprattutto verso il jazz, la musica etnica, quella contemporanea e d’avanguardia, invece che verso le fonti ispirative più tipiche del prog. Eppure proprio del prog Demetrio è l’icona più nitida e brillante: inteso non tanto in termini musicali quanto di attitudine e di vero e proprio abito mentale.

A questo proposito mi piace osservare come gli Area si definissero “International POPular Group, in cui la voce International aveva il suo riscontro appunto nelle forti ascendenze e ispirazioni etniche della loro musica. Oltretutto secondo una definizione che sarebbe stata coniata soltanto uno o due decenni dopo, almeno a livello “ufficiale”. Tali ascendenze, si badi bene, erano fortemente consapevoli della specificità di ogni popolo e della sua tradizione, secondo il vero significato di inter-nazionale, prima ancora che legate ad esse. Fungendo all’atto pratico da elemento atto ad attribuire una personalità inconfondibile alla loro musica e a differenziare secondo i canoni di un’assoluta singolarità le diverse fasi lungo le quali si sviluppava la sua costruzione.

Scelte del tutto antitetiche rispetto al minestrone indistinto della singola taglia che deve andar bene per tutti, proprio del cosmopolitismo apolide e nichilista tanto di moda oggigiorno. Soprattutto tra i ceti che pretendono di aver ereditato le posizioni politiche e i valori sociali espressi dalla musica degli Area e dalla voce di Demetrio, in una forma talmente edulcorata, svuotata di contenuti e soprattutto capovolta nei valori di fondo. Al punto di renderla non solo del tutto estranea nei confronti delle proprie origini, ma da rappresentarne di fatto la negazione più cinica ed egoista, colma di disprezzo per tutto quanto sia diverso da sé e non abbia rinnegato in maniera così plateale il proprio retaggio storico e culturale.

Quanto all’avanguardia, definizione che meglio di ogni altra condensa in sé i significati dell’opera di Demetrio e degli Area, si tratta di una parola semplicemente caduta in disuso. Sorte identica è toccata alla musica definita come tale: inevitabile allora una riflessione a questo proposito, alle trasformazioni che interessano il dizionario di uso generale e alle conseguenze che comporta la cancellazione di alcuni suoi vocaboli, perché inconciliabili con le tendenze che si desidera imporre alla vita e al pensiero comune.

In una fase di regresso come quella attuale, avanguardia è una parola messa all’indice o meglio fatta precipitare nel dimenticatoio. Sarebbe interessante sapere per ordine di chi e con quali mezzi. Resta il fatto che si tratta di un significato perduto o per meglio dire cancellato, così che non è proprio più possibile formulare o esprimere il pensiero ad esso legato e men che mai pervenire alle sue conclusioni logiche, qualunque sia la forma che possano assumere.

Di fronte agli eventi come quelli che hanno spezzato la carriera di Demetrio, intesa ovviamente in senso artistico, resta sempre il dubbio e appunto il rimpianto su quello che sarebbe potuto essere e invece non è stato. In questo si viene sempre influenzati dagli eventi che hanno preceduto l’accadimento luttuoso, nella proiezione di ciò che ognuno di noi esegue in proprio, portandoci a conclusioni spesso poco corrette.

Va ricordato che Stratos era uscito da qualche tempo dagli Area e la sua intenzione era soprattutto quella di proseguire nella ricerca sull’impiego della voce. Quindi molto probabilmente la prosecuzione della sua attività lo avrebbe portato via via sempre più lontano dal chiasso e dal mondo dello spettacolo, per renderlo un personaggio in ogni caso carismatico, ma che col passare del tempo si sarebbe separato vieppiù dalla notorietà. Almeno quella spicciola, proprio in quanto deciso a percorrere un tracciato in larga parte incompatibile con i canoni della fruizione musicale di massa.

Se è profondamente giusto continuare a parlare di Demetrio Stratos a tanti anni dalla sua scomparsa, è alquanto singolare che la sua opera non abbia ancora trovato non dico degli eredi ma almeno qualcuno capace di portare avanti la sua ricerca sulle possibilità espressive ed esecutive della voce umana.

Qualche tentativo in effetti c’è stato, ma nulla che abbia potuto inoltrarsi lungo la strada da lui tracciata. Più che altro qualche pallido tentativo di imitazione, forse un po’ più di gigioneria e di scarsa considerazione del senso della misura che personalmente reputo fondamentale quando ci si avventura in determinati tracciati. Non tanto per lo stabilire cosa si possa fare o meno ma per il modo in cui farlo. In base a scelte che evidentemente non sono da tutti, al di là delle possibilità fisiche di cui ci si ritrova dotati e in qualche modo si vanno a perfezionare.

In questo allora l’unicità dell’artista assume un rilievo ancora maggiore, che a quel punto fa presto a sconfinare nella mitizzazione. soprattutto da parte di quanti sono facili all’impiego dei superlativi e in particolare di quelli più zuccherosi.

Forse, allora, per Demetrio si può ritenere che la massima davisiana “La musica parla per sé stessa” abbia assunto il valore più grande ed esplicito. A questo proposito il coinvolgimento, il piacere, la meraviglia e di conseguenza il rimpianto provocato ogni volta dall’ascolto dei dischi che portano incisa la sua voce vanno molto al di là di ogni parola.

Inutile quindi continuare oltre. Meglio tacere e ascoltare, ancora e ancora.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *