Cavi, diatriba senza fine/3

Eccoci arrivati alla puntata finale di questo lungo articolo, dedicata soprattutto agli aspetti pratici dell’universo cavi.

Abbiamo detto più volte, e lo ripetiamo ancora, che un cavo non può inventare una qualità sonora che non esiste.

Nello stesso tempo, però dovrebbe mantenere la quota più elevata possibile di quella consegnatagli dall’apparecchiatura che lo precede, per trasferirla il più possibile inalterata a quella successiva. Possibilmente senza aggiungervi nulla di suo.

Insomma, un cavo ideale dovrebbe fare da collo di bottiglia e da fonte di degrado meno che sia possibile.

Un elemento molto importante ai fini dell’approccio nei confronti dei cavi riguarda non solo la questione tecnica ma anche quella commerciale.

Abbiamo già detto che è fondamentale non fare confusione tra i due aspetti: di alcuni elementi tecnici ci siamo già occupati, ma è altrettanto importante comprendere la logica che riguarda il problema concernente la diffusione e soprattutto la vendita del cavo. Del resto questo è l’obiettivo numero 1 di chiunque ne fabbrichi o ne commissioni la fabbricazione a livello industriale, che non lo fa certo per la gloria. Allo scopo le tecniche sono innumerevoli.

Fondamentale ai fini della vendita, che conseguentemente avviene su grandi numeri, non è realizzare il cavo migliore, in assoluto o anche solo nei confronti dei modelli di prezzo confrontabile. Del resto provare i cavi prima dell’acquisto è molto difficile, tranne nel caso siano posseduti da amici che gentilmente ce li fanno ascoltare sul loro impianto o ce li prestano per collegarli al nostro. Quindi l’acquisto del cavo avviene soprattutto sulla fiducia. Nei confronti del marchio cui si è più o meno fidelizzati, delle affermazioni contenute nelle inserzioni pubblicitarie, nei commenti della pubblicistica di settore che come sappiamo fin troppo bene parla bene sempre e di tutto.

Qualora non lo faccia è solo perché ha deciso che di tanto in tanto occorre una vittima sacrificale per tentare ipocritamente di rifarsi una verginità. Scelta accuratamente tra i prodotti degli operatori che non hanno la possibilità di imporre i propri voleri.

Una certa importanza, sia pure minoritaria, ha anche il passaparola tra appassionati e solo all’ultimo posto c’è l’ascolto preventivo, quasi mai possibile presso i dettaglianti, meno che mai a confronto tra modelli diversi.

Per tutti questi motivi la cosa più importante non è l’attribuire al cavo le doti sonore migliori, ma dotarlo degli elementi che possano essere riconosciuti dall’appassionato con la facilità maggiore e siano tali da suggerire una qualche superiorità nei confronti della concorrenza.

Poi se questa superiorità esista effettivamente o meno non ha grande importanza, proprio perché difficilmente l’appassionato avrà mai la possibilità di effettuare delle verifiche al riguardo di un qualche significato.

Male che vada, si potrà sempre sostenere che è l’impianto con cui è stata condotta un’eventuale prova a confronto a non essere adatto a porre nella luce migliore le caratteristiche di un certo prodotto nei confronti di un altro.

 

Il cavo in pratica

Nella prassi di selezione e utilizzo dei cavi, rileviamo innanzitutto che, le rare volte in cui è possibile, i confronti si fanno sempre tra modelli diversi. Quasi mai invece si mettono uno di fronte all’altro due esemplari dello stesso cavo ma di lunghezza differente. Se lo si facesse, si potrebbe avere più di qualche sorpresa, proprio per l’influsso di questo parametro sulla qualità sonora.

A questo proposito siamo abituati a considerare il cavo nella sua lunghezza complessiva: di solito circa un metro per quelli di segnale, due e mezzo – tre per quelli di potenza e così via.

Così facendo però non si considera che per poter funzionare, il circuito in cui il cavo viene inserito ha bisogno di essere chiuso. Ecco perché il cavo ha un conduttore di andata e di uno di ritorno. Ciò significa che la differenza tra la lunghezza effettiva di un cavo definito da ottanta centimenti e uno da un metro non è di venti centimetri, ma di quaranta.

Pertanto, qualsiasi sforzo atto a tenere il più corto possibile il tragitto del cavo, magari studiando la disposizione dei componenti dell’impianto più conveniente allo scopo, è ripagato in genere con un miglioramento percepibile. Che soprattutto è a costo zero, argomento nei confronti del quale i detrattori dell’utilità dei cavi sembrano parecchio sensibili.

 

Connettori puliti

Un altro accorgimento a costo zero, che quindi necessita solo di buona volontà, così nessuno potrà accusarmi di dare solo suggerimenti che comportano lo spendere denaro, è il tenere ben puliti i contatti dei connettori. Cosa che è spesso trascurata ma può migliorare anch’essa in maniera percettibile la qualità sonora dell’impianto.

A questo proposito non c’è bisogno di utilizzare prodotti specifici, anch’essi di solito costosi, ma basta del semplice bicarbonato. Lo si strofina asciutto con l’aiuto di un cotton fioc appiattito e inserito nella gola tra puntalino e corona di massa del connettore RCA, che  poi si  fa girare in essa. E’ probabile che il primo utilizzato in questo modo sarà annerito in breve dai residui di ossido rimossi dalle superfici dei contatti. Questo permette di farci un’idea di come forzassimo il segnale a passare attraverso uno strato non conduttivo. Si cambia il cotton fioc e si ripete l’operazione, fino a che non ne esce perfettamente pulito.

Se i connettori sono particolarmente ossidati, se ne possono ricoprire i contatti con un leggero strato di olio minerale, che tende già da solo a portare via il grosso del contaminante, lasciandolo agire per qualche ora prima di procedere come sopra. Attenzione però, dato che alcune placcature dorate sono alquanto sensibili a questo trattamento, e potrebbero scoprire lo strato sottostante. Questo può non essere un male, dato che in genere un cavo dotato di connettori dorati la cui placcatura è stata rimossa tende a suonare meglio. Per contro, una volta privati della doratura, i connettori diverrano più ricettivi nei confronti dell’ossido. Basterà solo pulirli con frequenza maggiore.

Giacché parliamo di connettori, rileviamo la loro influenza sulle caratteristiche sonore del cavo, in base a materiale conduttore, isolante e forma. Quindi è sempre meglio sceglierne di qualità.

Attenzione però, dato che proprio l’impiego di connettori di gran classe è il primo escamotage con cui si può dissimulare la realtà di un cavo mediocre.

 

Il cavo come equalizzatore?

La risposta potrebbe essere la stessa degli adesivi del sole che ride di tanti anni fa, dedicati al nucleare: “No, grazie!”

Il cavo “speciale” non serve per equalizzare, ma per far si che la massima parte possibile del segnale passi inalterata attraverso di esso. In modo tale da non gettare alle ortiche il potenziale in termini di qualità sonora espresso dai vari componenti dell’impianto. Non fosse perché ci siamo svenati al fine di acquisirlo.

Che senso avrebbe, infatti, spendere tanto per un amplificatore, una sorgente o dei diffusori se poi ne mortifichiamo le potenzialità con l’impiego di cavi inadeguati?

Ne consegue allora che se l’obettivo di un cavo è permettere il passaggio il più possibile inalterato del segnale, quello più efficace avrà un’estensione migliore agli estremi banda, un medio più trasparente e meno velato e così via.

Questo però non significa assolutamente che vada utilizzato e tantomeno funzioni da equalizzatore, malgrado affermazioni simili siano alquanto diffuse e pronunciate persino da certi “addetti ai lavori”. Derivano semplicemente dalla difficoltà di comprendere la differenza tra causa ed effetto, in particolare negli ambiti tecnici come quello di cui ci stiamo occupando.

Tanto vale completare il discorso, specificando che se si sente il bisogno di “equalizzare” l’impianto, vuol dire innanzitutto che i suoi margini di miglioramento sono molto ampi. Quindi in prima istanza è proprio a spostarli più in alto che si dovrebbe pensare. Naturalmente se si è in vena di miglioramenti.

In condizioni simili, pensare di farlo con i cavi non ha molto senso, proprio perché come abbiamo detto più volte in precedenza, e ripetiamo ancora una volta, un cavo non può inventare una qualità sonora che non sia già presente nelle apparecchiature che collega.

Al contrario, può rappresentare un elemento di grave penalizzazione nei suoi confronti. Cosa che oltretutto fa quasi sempre.

 

Quanto spendere per il cavo

Un altro elemento che è spesso causa di dubbio riguarda la somma che si dovrebbe spendere per i cavi, in relazione al costo totale dell’impianto. Questo tipo di approccio però è ingannevole, proprio perché confondere l’aspetto tecnico con quello economico e commerciale è la strada più breve per ottenere risultati scadenti.

Credo sia opportuno ricordare ancora una volta che il cavo è un elemento eminentemente sottrattivo, riguardo alla qualità sonora. Quindi, per ottenere quanto di più vicino al potenziale sonoro massimo delle apparecchiature collegate per il suo tramite, andrebbe utilizzato un cavo il più possibile efficace.

Come sempre, quando ci si pongono determinati scopi, inerenti l’andare oltre certi limiti, è bene a non guardare tanto ai costi quanto ai risultati concreti.

Se poi si è disposti ad accontentarsi va bene lo stesso, basta essere consci di quello che si sta facendo. Evitando così di dare al cavo colpe che non ha. E soprattutto di sostenere che andare oltre a quello che si è fatto in prima persona non serve a nulla, tanto per mettersi in pace con la propria coscienza o tacitare la propria curiosità.

La conseguenza dell’approccio basato in primo luogo sul contenimento della spesa è che, soprattutto in impianti di un certo livello, il cavo va quasi sempre a costituire il collo di bottiglia più stretto. Pertanto, in vista di un miglioramento successivo, sarà più conveniente spendere per sostituire ancora una volta il cavo invece che le apparecchiature dell’impianto.

Finendo così con l’affrontare una spesa totale più elevata rispetto all’acquisto del cavo migliore già al primo colpo. In più avremo perso il tempo trascorso nel mentre, che invece avremmo potuto passare ascoltando in maniera più godibile e soddisfacente.

Il perché convenga continuare a spendere sul cavo, se quello che abbiamo comperato in precedenza non è pienamente all’altezza della situazione, è presto detto: restando sempre quello il collo di bottiglia più stretto e penalizzante, non ha proprio senso spendere ancora più soldi per migliorare apparecchiature il cui potenziale verrebbe appunto disperso da un cavo inadeguato.

Solo una volta rimosso il collo di bottiglia dato dal cavo, o quantomeno averlo reso meno pesante nei suoi effetti, le differenze ottenibili mediante un cambio di apparecchiature acquisiranno la loro evidenza migliore.

 

La grande corbelleria

Ecco perché ritengo l’idiozia più grossa, non a caso preferita e diffusa con lo zelo maggiore dai pezzi grossi delle riviste nazionali, quella riguardante la percentuale da attribuire alla spesa per i cavi rispetto quello di tutto l’impianto. A questo argomento si è già accennato nella scorsa puntata.

Si tratta effettivamente di una ricetta di grande efficacia qualora si desideri permanere a vita nella mediocrità più grossolana. E’ anche la più convincente e tranquillizzante, se si mette il portafogli al primo posto invece della qualità sonora e si preferiscono le soluzioni più sbrigative, innanzitutto a livello concettuale.

Purtroppo però, nella riproduzione audio come in tutte le discipline tecniche, scorciatoie di questo genere non portano da nessuna parte. O meglio, sono le più efficaci a fini di regresso.

Se si vuole andare oltre la mediocrità e si desidera ottenere il meglio, c’è poco da fare: occorre mettere in campo il meglio.

Certi criteri ragioneristici inoltre, innanzitutto fanno a pugni con qualsiasi elemento di buon senso, ma soprattutto dimostrano l’enorme confusione che alberga nelle menti di chi sostiene idee tanto stravaganti.

Cosa abbia a che vedere il prezzo di un cavo, che come abbiamo visto è la risultante di mille variabili in primo luogo di politica commerciale, con il suo reale contenuto tecnico e prestazionale, e quindi con la sua capacità di ridurre al minimo il potenziale sottrattivo nei confronti del segnale che transita al suo interno, è davvero un mistero.

Ben evidente invece è l’incapacità, se si “ragiona” in questo modo di rapportarsi al nocciolo del problema, che non si riesce a inquadrare. Quindi si camuffa tutto con affermazioni piene di conformismo e finto buon senso, che come al solito a un approccio superficiale sembrano le più ragionevoli.  Analizzate di un nonnulla più a fondo, invece, crollano come un castello di carte.

Soprattutto portano chi le segue a non cavare un ragno dal buco. Per poi lamentarsi che i cavi audio non servono a un tubo.

Proprio in base alla legge della profezia autoavverante, della quale vediamo qui di seguito il diagramma ad anello.

O meglio, a pene di segugio che si morde la coda.

 

Quel che abbiamo appena detto va a ulteriore conferma che le origini dell’attuale fase di regresso cognitivo, oggi tendenza dominante anche nel nostro settore, hanno avuto luogo molto tempo fa. Anche se allora le conseguenze di determinate scelte non si potevano immaginare.

Risalgono al momento in cui le figure che hanno sostenuto simili corbellerie, insieme a molte altre, sono state inserite nelle redazioni delle riviste specializzate e poi messe ai loro vertici. Con motivazioni e intendimenti che tralasciamo per carità di patria.

 

Non c’è peggior sordo…

Di chi non vuol sentire, recita l’adagio popolare. L’impressione, basata sull’osservazione di fatti e atteggiamenti di numerosi appassionati, è che proprio l’autoriduzione volontaria, o meglio selettiva, a diversamente udenti sia un’eventualità da non scartare a priori. Men che meno quando si parla di cavi.

A questo proposito vorrei raccontare un fatterello di qualche tempo fa, che ritengo esemplificativo delle modalità di approccio a determinate questioni. Mi trovavo in una saletta d’ascolto in cui era installato un impianto dalle capacità rivelatrici inappuntabili, quando in essa ha fatto la sua comparsa un appassionato dal profondo scetticismo nei confronti dei cavi.

Nel corso dell’ascolto eseguito in quell’occasione, per coincidenza venne a trovarsi di fronte proprio alle differenze rimarchevoli determinate dal sostituire un cavo commerciale ritenuto di buona qualità e di un marchio molto noto, con uno realizzato con cura decisamente maggiore.

L’incremento in termini di qualità di riproduzione è stato molto evidente fin dal primo istante. Trovatosi di fronte a una differenza tanto esplicita, la persona in questione è stata presa da un tremore evidente, poi ha iniziato a balbettare parole sconnesse. Probabile conseguenza del conflitto interno tra il suo udito, che percepiva fino in fondo differenze innegabili, e il cervello che le rifiutava disperatamente, non potendo accettare a nessun costo la loro stessa esistenza. Si è trattato di una scena molto istruttiva. Proprio perché dimostra che la percezione di determinati fenomeni non è tanto una questione di udito ma di volontà. A sua volta basata su elementi culturali, e quindi di pregiudizio, che può giungere a negare l’accettazione in maniera più o meno consapevole di quanto i sensi a noi forniti da madre natura rileverebbero per loro conto senza alcuna difficoltà.

Dunque a una forma che per praticità materiale definiamo di diversità uditiva, se ne abbina una autoindotta in maniera non si sa quanto conscia, con cui l’apparato sensoriale preposto non ha nulla a che fare. Dato che lo stesso soggetto si è più volte dimostrato in grado di cogliere variazioni notevolmente più sottili di quella in questione, la causa delle quali però era per lui accettabile. O meglio ricercata, nel tentativo di risolvere alcuni problemi messi in evidenza dalla sua catena personale.

Più che altro direi si tratti di una questione di portafogli, meglio ancora della destinazione delle somme che ci si appresta a spendere.

A questo proposito non si lesina assolutamente sull’acquisto di oggetti visualmente significativi e più facilmente riconducibili alle funzioni di status symbol, per quanto opinabili, come elettroniche, diffusori e così via. I quali parallelamente si adattano assai meglio all’approccio feticistico nei loro confronti, tipico di numerosi appassionati.

Del resto dire che si possiede il preamplificatore Audio Note M chissacosa, piuttosto che il finale Krell KS qualcos’altro riempie molto meglio la bocca e fa fare miglior figura presso gli astanti rispetto al dire “uso il cavo XYZ”.

Sarebbe interessante indagare le motivazioni alla base di questo stato di cose, in larga parte riconducibile al ricamare a oltranza su elementi opinabili o del tutto inesistenti proprio della pubblicistica di settore, e alla sua costruzione di realtà esasperatamente romanzate. Che d’altra parte hanno trovato un terreno di grande ricettività presso i suoi lettori, disposti o meglio ancora determinati a credere a qualunque panzana vada a suffragare le loro fantasie.

Quindi come vediamo per l’ennesima volta, trovandoci di fronte a uno di quei paradossi di cui il mondo della riproduzione sonora ha una concentrazione da record, nell’ambito della riproduzione sonora amatoriale gli elementi terzi, visivi, sociologici o para-religiosi che dir si voglia, finiscono regolarmente con l’acquisire un rilievo di gran lunga maggiore rispetto a quelli uditivi cui spetterebbe idealmente la preminenza.

 

Stesso cavo, comportamento diverso?

Un altro argomento che nel corso degli anni ho visto sostenere di frequente nell’ambito della pubblicistica di settore, riguarda la pretesa che un cavo esibisca un comportamento diverso a seconda dell’impianto in cui è inserito, o meglio delle apparecchiature cui è collegato.

Tesi suggestiva, che non solo crea ulteriore confusione in una materia per nulla facile già per proprio conto, ma soprattutto permette di sostenere quello che si vuole. Per questo già parecchio tempo fa ho provato a verificare se fosse attendibile. Ho iniziato col selezionare tra i cavi che avevo a disposizione quelli che permettessero il rendimento migliore, ovviamente in termini di qualità sonora, del mio impianto. A tale riguardo non ho curato solo la loro tipologia, ma anche l’ordine in cui inserirli nel percorso del segnale ai fini del risultato migliore. Dopodiché ho provato a utilizzare quello stesso set in impianti diversi, per vedere cosa ne sarebbe uscito fuori.

Tutti gli impianti, malgrado la diversità delle apparecchiature da cui erano costituiti, e della tipologia di componenti attivi che utilizzavano, una volta equipaggiati con lo stesso set di cavi hanno acquisito un denominatore comune, proprio quanto a sonorità. Questo sta a significare che quel set di cavi non solo è stato in grado di esibire con continuità una serie di caratteristiche proprie, ma le ha attribuite a tutti i sistemi nei quali è stato inserito.

Pertanto temo di dover catalogare la variabilità del suono del cavo in funzione delle apparecchiature cui viene collegato nel corposo novero di amenità diffuse dalla pubblicistica di settore.

 

Cavi digitali

Altrettanto spesso si sente dire che il cavo digitale non avrebbe importanza alcuna nei confronti della sonorità dell”impianto, poiché il suo compito è “solo” il trasportare uni e zeri. Sinceramente non ho mai capito bene cosa intenda in concreto chi sostiene un’idea del genere: forse che ci si aspetta di veder uscire dal connettore a valle del cavo una serie di numerini come suggerito da certe illustrazioni?

In effetti il segnale digitale è a codifica binaria e come tale può assumere una serie di valori a seconda della successione di “digit”, appunto gli uni e gli zeri, da cui è formata ognuna delle singole “parole” su cui si articola.

Essi però devono essere per forza di cose rappresentati da un segnale elettrico, nella fattispecie un’onda quadra, di frequenza pari a qualche centinaio di Megahertz.

Di conseguenza il cavo digitale, per funzionare come si deve, occorre sia in grado di operare in maniera efficace a frequenze simili e non solo a quelle audio, che sono per convenzione comprese nell’intervallo 20 Hz – 20 kHz. Oltretutto l’onda quadra è la più complessa da trasportare e riprodurre, proprio perché caratterizzata di per sé dalla più ampia larghezza di banda.

Stando le cose in questo modo, non solo non è vero che il cavo digitale è ininfluente, ma proprio per via delle caratteristiche del segnale che vi transita è particolarmente critico.

 

Cavi di alimentazione

A quesra tipologia è già stato dedicato a suo tempo l’articolo “L’hi-fi non è una lampadina“. Qui per sommi capi riepiloghiamo alcuni aspetti della questione.

In primo luogo vediamo il motivo per cui l’ultimo spezzone di cavo riesce a influenzare il funzionamento dell’elettronica mediante il quale è alimentata, malgrado sia preceduto dalle centinaia di metri, o forse dai chilometri che separano la presa a muro dalla cabina di distribuzione dell’energia elettrica.

Questa è una domanda che si sente fare spesso. Testimonia soprattutto la mancata comprensione del funzionamento di una rete di distribuzione dell’energia elettrica, che invece viene assimilata a quelle dell’acqua.

 

Cavi di alimentazione Audio 2C Zen A-2 per sorgenti, preamplificatori e amplificatori di potenza contenuta.

 

Queste ultime fanno capo a un serbatoio, che mediante una tubazione di una certa portata è collegato al nostro rubinetto. Al variare della portata del tubo, posto che la pressione del liquido sia sufficiente, avremo un flusso d’acqua più o meno consistente dal nostro rubinetto. Una volta uscita dalla bocchetta, l’acqua se ne va in dispersione e quindi è perduta, almeno per ciò che ci interessa. In seguito subentra il cosiddetto ciclo dell’acqua che ci hanno spiegato alle elementari.

La rete elettrica funziona in maniera diversa. Come abbiamo visto prima, essendo basata su un circuito elettrico che per funzionare ha bisogno di essere chiuso, dispone di un conduttore di andata e di uno di ritorno. Quindi non c’è dispersione di elettroni all’uscita del rubinetto rappresentato dalla presa di corrente a parete. Anzi, per via del moto browniano che li caratterizza, si ha una loro “agitazione” all’interno dei conduttori, più o meno ampia in funzione dell’assorbimento di corrente.

Quelli che “ascoltiamo” allora, attraverso la sezione di alimentazione che da essi trae energia, sono in sostanza sempre gli stessi.

L’acqua viceversa, una volta uscita dal tubo con cui innaffiamo resta nel giardino, dal quale poi evapora o filtrando nel terreno finisce in una falda.

Pertanto non solo il cavo di alimentazione influenza sensibilmente la sonorità dell’apparecchiatura dal quale è alimentata, ma ne deriva anche che l’ultima parte del cavo è sempre la più importante. Proprio in funzione della profondità di agitazione degli elettroni che si muovono al suo interno. Ecco un altro motivo per cui il rifacimento del cablaggio interno del diffusore dà risultati persino maggiori rispetto a quelli ottenibili sostituendo il cavo che collega questi ultimi all’amplificatore.

Adottando un cavo dalle caratteristiche opportune per l’alimentazione delle apparecchiature, se ne migliora innanzitutto la sonorità. o meglio si ottiene il potenziale migliore di ogni apparecchiatura in termini di qualità sonora. Per il semplice motivo che, come ha detto sagacemente Bartolomeo Aloia, “Non esiste un’apparecchiatura capace di suonare meglio della sua alimentazione”. Pertanto, migliori sono le condizioni in cui le arriva corrente, più musicale è il modo di suonare dell’oggetto cui fornisce energia.

Ne deriva, pertanto, che trascurando il cavo di alimentazione si causano le condizioni per cui il funzionamento di un’apparecchitura audio è penalizzato già all’origine. Di conseguenza non se potranno ricavare le prestazioni che sono alla sua portata.

Adoperando un cavo dalle caratteristiche opportune, si può migliorare anche la percezione soggettiva del rendimento energetico degli amplificatori. Che in quanto tale ha ottime probabilità di avere riscontro nel dato reale. Come è successo diverse volte, chi ascolta uno specifico modello di cavo per alimentazione che realizzo, non senza un evidente stupore dice che l’amplificatore “sembra più potente” rispetto all’impiego del cavo di serie.

Questo ovviamente non può essere possibile. Tuttavia, venendo meno le limitazioni di afflusso di energia tipiche dei risicati 3×0,75mmq o al massimo 3x1mmq presenti nella dotazione usuale degli amplificatori, ne consegue che il loro comportamento dinamico venga sensibilmente migliorato. Si ha inoltre maggiore pienezza e solidità delle basse frequenze, che notoriamente richiedono l’apporto più riilevante di energia per essere riprodotte. Tutte queste caratteristiche, in base alle esperienze pregresse dell’ascoltatore, suggeriscono appunto l’impressione di un’erogazione di potenza più sostanziosa.

Più di ogni altro discorso, riguardo ai cavi di alimentazione e a numerosi altri argomenti che riguardano la riproduzione sonora, credo sia valido il motto coniato dall’amico Mirko Massetti, realizzatore di accessori dall’efficacia rimarchevole: “Non serve farsi tante domande, ascoltiamo invece le risposte che arrivano dall’impianto”.

Ne sono talmente convinto, che per quanto mi riguarda tante delle diatribe che vediamo svilupparsi nei social e sui forum di settore derivano proprio dal non osservare questa pratica di grande buon senso.

 

Bi wiring

Già da parecchio tempo sono andati diffondendosi i sistemi di altoparlanti dotati di morsetti sdoppiati per la via bassa e quelle superiori. In modo da utilizzare cavi separati per il loro pilotaggio indipendente, oppure realizzati a partire da conduttori distinti posti all’interno dello stesso cavo.

In linea di massima il pilotaggio in biwiring è raccomandabile, non fosse altro perché permette di togliere di mezzo le obbrobriose piastrine con cui i costruttori usano tenere collegate le due coppie di morsetti. Anche se non si ha intenzione di utilizzare un cavo per bi wiring, è consigliabile rimuoverle, sostituendole con del rame.

 

 

Cavi di potenza Audio2C Zen P-C in versione monowiring.

 

I vantaggi del bi wiring stanno nell’aumento della sezione conduttiva e nella separazione delle frequenze che ciascun cavo va a trasportare. Gli svantaggi possono derivare dalla potenziale incompatibilità tra i cavi utilizzati allo scopo, qualora la loro sonorità non si abbini con la necessaria precisione e coerenza, in particolare al punto d’incrocio.

Spesso la soluzione più efficace sta nell’impiego di cavo dello stesso modello ma di sezioni differenti, proprio per ridurre al minimo eventuali incompatibilità tra un conduttore e l’altro.

Il bi wiring permette inoltre di ottimizzare il cavo utilizzato in funzione della gamma di frequenza su cui va a operare. A partire dalla sezione, maggiore per le basse frequenze e più ridotta per le medioalte, andando così a ridurre le eventualità che si verifichi l’effetto pelle da cui consegue il distribuirsi dei segnali di frequenza elevata solo sulla circonferenza esterna del conduttore,

Giacché ci troviamo, parliamo anche di sezione. Per quanto appena detto e per una serie di altri motivi, non sempre il conduttore di diametro maggiore è anche il più efficace. Non di rado avviene proprio il contrario, soprattutto negli impianti domestici, dove le tratte da coprire sono limitate e quindi ottimizzare altri parametri sia pure a spese della mera resistenza di conduzione dà spesso risultati migliori.

 

Rame o argento

Tra le richieste che più di frequente mi arrivano dagli appassionati, c’è quella riguardante le differenze a livello sonico tra i cavi in rame e in argento.

Iniziamo col dire che quelli in rame sono più economici. Non solo per il costo minore della materia prima, ma anche perché l’argento si lavora con difficoltà maggiori. Inoltre l’argento da utilizzare per la realizzazione di cavi audio non può essere quello del gioielliere. Ricorrendovi, come si è fatto spesso, si ottengono cavi sostanzialmente inascoltabili. Proprio questa è l’origine di numerosi tra i luoghi comuni riguardanti i cavi che utilizzano questo materiale.

Se si vogliono realizzare cavi in argento, occorre che la materia prima sia della tipologia adatta allo scopo. Le caratteristiche timbriche e di conduzione dell’argento, comunque, sono tali da risultare inadatte agli impianti carenti di messa a punto. Soddisfatta questa condizione, il più delle volte si finisce a trovarsi d’accordo con un appassionato che ha avuto modo di confrontare a fondo i cavi per diffusori che ho realizzato coi due materiali: “Il rame suona molto bene ma l’argento è un’altra cosa”.

Il rame ha una sonorità più rotonda e presente sul medio basso: in quanto tale perdona maggiormente le carenze di messa a punto degli impianti e alcune caratteristiche proprie dello stato solido. L’argento invece ha un medio basso più asciutto ma è più presente ed esteso verso il limite inferiore dell’udibile. Ne consegue che se i diffusori non sono in grado di spingersi sufficientemente in basso, si può avere l’impressione di una sonorità carente sulle fondamentali ma soprattutto sbilanciata. Per via del fatto che l’argento ha maggiore apertura, nitidezza e precisione alle frequenze medie e alte. Ossia proprio laddove si evidenziano maggiormente i problemi degli impianti non curati a sufficienza, rispetto ai quali tende a risultare impietoso.

Per tutti questi motivi cerco di realizzare cavi in argento soltanto per gli impianti di cui abbia potuto valutare personalmente le caratteristiche sonore. Altrimenti si potrebbe finire a spendere somme maggiori, dato che un cavo in argento costa ben di più del suo equivalente in rame, ma con risultati non del tutto soddisfacenti, a volte in modo grave. Non per colpa del cavo, ma per la sua capacità di porre in evidenza molti tra i difetti dell’impianto in cui lo si inserisce.

 

Il rodaggio dei cavi

Anche questo è un argomento molto dibattuto, che trova un dissenso particolarmente acceso tra quanti possiedono impianti non sufficientemente efficaci per mettere in evidenza certe cose.

Non solo i cavi ma qualsiasi apparecchiatura elettronica necessita di una determinata quantità di tempo per esibire le sue doti musicali migliori. Motivo, gli elettroni che passano attraverso i diversi componenti, saldature, piste di stampato eccetera, vanno pian piano a costruirsi il loro tracciato di resistenza minore, dall’ingresso all’uscita. Allo scopo è necessario un numero variabile di ore di funzionamento. Esempio tipico al riguardo è quello delle valvole, che solo dopo un certo periodo d’impiego esibiscono la loro vera sonorità.

Volendo potremmo osservare la cosa nello stesso identico modo con cui un fiume si scava il suo letto. Il flusso dell’acqua va pian piano a ridurre e a smussare gli ostacoli che trova lungo il suo percorso. Così se l’acqua di un torrentello che salta tra una roccia e l’altra tende a essere sempre agitata e schiumosa, quindi poco trasparente, col tempo addolcisce e mitiga gli ostacoli che incontra sul suo percorso. Trovandosi a scorrere in maniera più lineare, diventa più fluida e trasparente.

Nei cavi succede qualcosa di simile. Il rame infatti è fatto di cristalli, le cui giunzioni rappresentano il punto in cui il passaggio degli elettroni incontra la resistenza maggiore. Col funzionamento, e quindi con il muoversi degli elettroni, questi vanno a cercare il punto di resistenza minore tra un cristallo e l’altro, per poi tendere a passare tutti attraverso di esso. Proprio come quando si by-passa una resistenza con un pezzo di rame: la corrente passa tutta attraverso il by pass e la resistenza è come se non esistesse. Gli elettroni infatti passano attraverso il percorso di minore resistenza. Proprio come fa un rivolo d’acqua quando incontra un ostacolo lungo il suo percorso. Non lo scavalca ma tende ad aggirarlo, passando per il punto in cui trova il deflusso più agevole, per poi andare ad ampliarlo sempre più.

Un costruttore di cavi tra i più noti oltre a questo specifica anche che nel momento in cui si muovono i cavi, magari per passarci sotto con l’aspirapolvere, i passaggi di minor resistenza creati tra le giunzioni dei cristalli dal movimento degli elettroni vanno a interrompersi, facendo in modo che debbano essere costruiti di nuovo. In sostanza ricominciando da capo la fase di rodaggio. Questo può essere visto come uno tra i motivi per cui nelle mostre di settore, al momento della chiusura, gli impianti suonano generalmente meglio rispetto alle ore immediatamente successive all’inaugurazione.

 

Il cavo come parte di un sistema e “l’effetto rimozione”

Quando ho iniziato a sperimentare cavi di mia realizzazione, maggiori informazioni al riguardo sono reperibili nella pagina ad essi dedicata, ho rilevato un fenomeno alquanto interessante, al quale sulle prime non sono riuscito a dare spiegazione.

In pratica accadeva questo: se nella sostituzione di un cavo, poniamo quello di alimentazione del finale che in genere è il primo che si va a migliorare nella specifica tipologia, riscontravo un miglioramento pari a X, proseguendo nell’opera di sostituzione a ogni cavo che veniva insertito si poteva rilevare un miglioramento quantificabile soggettivamente come sempre maggiore. Fino a che, con l’ultimo cavo di alimentazione si percepiva senza difficoltà un miglioramento di entità pari proprio a un multiplo rispetto a quello avuto col primo.

Lo stesso avviene poi sostituendo anche quelli di segnale, di potenza e infine quelli interni. Questo succede perché, quando si utilizza un cavo di caratteristiche sostanzialmente superiori, mano a mano che si rimuove quello peggiore dalle diversi posizioni in cui è presente si eliminano quote sempre maggiori del degrado da esso creato. Questo non solo va a favore delle condizioni di funzionamento dell’impianto nel suo insieme, ma fa si che le caratteristiche migliorate del nuovo cavo possano esprimersi più compiutamente. Proprio perché le componenti di degrado vanno sempre più a ridursi, dando luogo a una limpidezza sempre maggiore

Questa cosa la rilevo sempre, ogniqualvolta vado a sostituire uno dopo l’altro i cavi presenti in un impianto. Tipico a questo proposito è l’esempio dato da una persona che mano a mano che sostituiva i cavi che aveva nel suo impianto, già di qualità e costo elevato, a ogni nuovo esemplare che gli consegnavo ripeteva immancabilmente la stessa cosa: “Ogni volta che mi fai un nuovo cavo va meglio del precedente”. Così gli ho spiegato che in realtà i cavi erano fatti tutti alla stessa maniera. Quello che lui riscontrava era appunto il beneficio indotto da ciò che potremmo definire “effetto rimozione” in proporzioni via via crescenti, venendo a mancare in quote sempre maggiori il degrado prodotto dai cavi usati in precedenza.

Un’altra volta, sempre durante la dimostrazione di cavi di alimentazione in casa di un appassionato, abbiamo iniziato a sostituire quello del finale, passando per il pre e per il trasporto digitale, arrivando infine al DAC. Proprio cogliendo il margine di miglioramento fortemente maggiore avutosi con quest’ultimo, lui ha detto: “Accidenti che effetto fa questo cavo sul DAC!”

In realtà non è che il cavo funzionasse meglio con quell’elettronica, il margine accresciuto era dato appunto dalla scomparsa in pratica totale dei problemi indotti dai cavi utilizzati in precedenza. I quali, fino a che restano in circolo, vanno comunque a influenzare negativamente il comportamento anche del cavo migliore che si possa immaginare. Proprio in quanto vanno a mescolarsi in maniera insicindibile, e quindi a inquinare, il segnale audio.

Questo ci insegna una cosa fondamentale, che però non dice mai nessuno: i cavi nel loro insieme costituiscono un sistema, o meglio un sistema nel sistema dato a sua volta dall’impianto. Andrebbero osservati proprio in tal modo, almeno dal punto di vista tecnico e prestazionale.

Ovviamente ciò non significa che si debbano sostituire i cavi tutti insieme, anche per via dei costi che ciò comporterebbe. Tuttavia l’approccio nei loro confronti andrebbe effettuato proprio in questo modo. Quindi con una progettazione oculata del sistema inteso nel suo complesso e non affrontando la sostituzione di ogni cavo nei termini di una questione a sé stante, come purtroppo si fa sempre.

Ovvio che certe cose vengono fuori solo nel momento in cui si utilizza un cavo non gravato dalle stesse limitazioni di quelli prodotti industrialmente, proprio a causa dei loro problemi intrinseci dati dalle modalità con cui sono realizzati, come abbiamo visto nella scorsa puntata.

 

L’esperienza più recente

Questo riporta a un’ulteriore esperienza fatta di recente. Sono stato a casa di un appassionato, in possesso di un impianto di livello decisamente elevato, che però restava piuttosto lontano da quello che avrebbe potuto dare e dal livello prestazionale adeguato ai suoi costi, anche per via della presenza di cavi non all’altezza della sua qualità complessiva.

 

 

Su invito del suo possessore ho portato con me un set completo di cavi, dall’alimentazione a quelli per i diffusori.

Come faccio sempre, abbiamo iniziato con la sostituzione dei cavi tra finali, monofonici, e diffusori, riscontrando già così una differenza rimarchevole. A questa operazione iniziale ha assistito anche la compagna dell’appassionato in questione, cui piace ascoltare musica ma è sostanzialmente estranea alle questioni inerenti la riproduzione sonora. Dopo un po’ lei si è allontanata, mentre noi abbiamo continuato a sostituire uno alla volta gli altri cavi presenti nell’impianto, ascoltando ogni volta i risultati ottenuti per alcuni minuti.

Arrivati in fondo all’intervento di sostituzione, l’effetto è stato tale che quando lei è tornata a sedersi sul divano di fronte all’impianto, dopo appena qualche istante di ascolto di un brano interpretato da una cantante jazz col suo quintetto, ha detto le testuali parole, che riporto con orgoglio particolare: “Prima si sentiva molto bene, ma ora sembra di avere davanti un’orchestrina”.

Credo che questo sia il complimento più grande cui si possa aspirare. Per il suo tenore, ma soprattutto perché proviene da una persona che nella sua estraneità alle questioni e ai problemi legati alla riproduzione sonora ha saputo cogliere fino in fondo l’entità del cambiamento intervenuto. Quindi non può essere sospettata di essere fissata su certe cose o peggio voler sentire a tutti i costi cose che non esistono.

Forse, anzi, è proprio il suo non sapere nulla di hi-fi ad averle permesso di comprendere appieno il significato del miglioramento verificatosi, in quanto ha la testa sgombra dai pregiudizi e dai falsi miti che imbottiscono la testa di troppi appassionati.

 

Cavi artigianali

Diciamo innanzitutto che il cavo artigianale non è quello che alcuni pretenderebbero, realizzato a partire da conduttore a metraggio già pronto e tagliato a misura, che ci si limita rivestire e terminare nei modi più vari. Questo è un sistema se vogliamo sbrigativo, ma nel suo utilizzo diventa complicato oltrepassare i limiti intrinseci del cavo di origine industriale, di cui si vanno in sostanza a replicare le caratteristiche di fondo.

Il vero cavo artigianale è ben altro. Presuppone concezioni e scelta dei materiali che sono il frutto di una sperimentazione che può essere molto lunga, ma soprattutto modalità e tempistiche di lavorazione tali da fare in modo che non possa avere un costo più contenuto di tanto, in termini assoluti.

Tuttavia un cavo artigianale fatto come si deve può essere più conveniente nei confronti di quelli di serie di costo simile, proprio perché più efficace, e a volte di parecchio, in termini di qualità sonora.

Come abbiamo detto più volte, il cavo è un elemento sostanzialmente sottrattivo per la qualità del segnale che vi passa attraverso. Dunque il migliore è quello che sottrae meno. Il cavo però non è solo quello, dato che aggiunge anche qualcosa di suo al segnale audio: non in termini qualitativi, ma riguardo a determinati elementi che vanno a produrre un degrado che può essere particolarmente dannoso.

Sono soprattutto gli impianti più dotati in termini di precisione e selettività a soffrirne le conseguenze. Proprio da qui deriva quella sorta di “nebbia elettrica” di cui ho parlato nella pagina dedicata a quelli che realizzo. Cercare di limitare non solo l’effetto sottrattivo ma anche il più possibile del degrado che il cavo aggiunge di suo, può essere un modo per realizzare esemplari che non solo si differenziano sostanzialmente dagli altri, ma aprono nuove prospettive in termini di qualità d’ascolto. In particolare riguardo alla sensazione di naturalezza della riproduzione e di presenza degli esecutori in ambiente.

Durante questi anni, infine, mi sono fatto l’idea che una tra le motivazioni della superiorità dei cavi effettivamente realizzati in maniera artigianale risieda nel fatto che costituiscono un’opera incerta. Proprio perché la loro realizzazione manuale non può avere la stessa precisione e ripetibilità di una macchina industriale. Allora quello che a un’indagine superficiale lo si vedrebbe come un difetto, in realtà potrebbe dare il suo contributo a una sonorità più naturale. Proprio come ogni montagna, corso d’acqua o opera della natura è incerta, ciascuna essendo diversa dalle altre, definita nella sua forma e contenuto secondo modalità tipicamente casuali.

Pensiamo per un istante che so, alle Tre Cime di Lavaredo: se fossero tutte e tre identiche come fatte a macchina susciterebbero in noi altrettanta emozione quando le osserviamo?

 

 

Qui la prima puntata

Qui la seconda puntata

 

 

4 thoughts on “Cavi, diatriba senza fine/3

  1. “Prima si sentiva molto bene, ma ora sembra di avere davanti un’orchestrina”
    Non è una domanda provocatoria ma solo una domanda: ma non poteva essere semplicemente l’effetto di un suono diverso dovuto ai nuovi cavi, e quindi non necessariamente un suono “migliore”? Anche perché, a certi livelli, come si fa a distinguere un suono migliore rispetto ad un altro? Il diverso direi di si, ma migliore? Anche perché se poi chi esprime l’opinione è ignorante, in senso buono, come fa a cogliere che quella differenza che percepisce è l’indicazione di un suono migliore oggettivamente parlando?

    1. Ciao Alessandro, grazie dell’attenzione.
      Per rispondere al tuo quesito occorrono prima di tutto alcune considerazioni.
      Chi ha l’esperienza necessaria, e soprattutto la volontà di osservarne e accettarne le evidenze che pone di fronte a noi, ha imparato una cosa fondamentale: le donne sentono meglio degli uomini. Numerose volte ho potuto verificare che le mogli o compagne dei Sigg. Audiofili sono in grado di esprimere valutazioni a colpo sicuro, oltretutto corrette, laddove i mariti o affini balbettano e non sanno che pesci prendere, mentre l’esperessione che si dipinge sul loro viso denota inequivocabilmente la profonda incertezza da cui sono dominati. Qualcuno ha parlato a suo tempo di sovrastruttura, ovvero dell’attitudine a elencare una serie infinita di differenze, anche minute, tra apparecchiature note e soprattutto delle quali si siano potuti imparare a memoria i commenti delle recensioni che le riguardano. Però, nel momento in cui le si mette di fronte a oggetti loro sconosciuti, ovvero che non godano di determiinati supporti a mezzo stampa, perdono ogni capacità di differenziazione e valutazione, sia pure in presenza di differenze di non poco conto. Forse dipende dal fatto che di solito le signore non hanno la testa imbottita della quantità incalcolabile di pregiudizi che i loro mariti hanno accumulato leggendo le corbellerie della stampa di settore e dei suoi succedanei. Come dicevo prima, le donne ci sentono meglio. A mio modo di vedere la cosa è dovuta a motivazioni ancestrali: il compito assegnato loro dalla natura era ed è quello di badare alla prole, mentre l’uomo era a caccia o alla ricerca di cibo. Per forza di cose i suoi sensi dovevano essere più sviluppati, in modo da poter cogliere ogni segnale di pericolo e quindi metterla in salvo. Questa capacità si è evidentemente tramandata fino ai giorni nostri e il comportamento di molte signore di fronte agli impianti audio ne è la conferma. Poi magari a loro della riproduzione sonora e della sua qualità importa poco o nulla, ma ciò non toglie che siano meglio attrezzate di molti uomini nel cogliere le prerogative sonore di un qualsiasi impianto o dei suoi collaterali.
      Miles Davis diceva che la musica parla per sé stessa: non può essere che lo stesso per la riproduzione sonora. Comprenderne il linguaggio, le modalità espressive e i diversi aspetti secondo i quali ci vengono presentate nell’ambito della sua riproduzione è ancora una volta questione di libertà dai pregiudizi innanzitutto, e poi di esperienza e della capacità di trarne il giusto insegnamento, cosa da non dare assolutamente per scontata.
      In ogni caso, nella fattispecie la differenza tra la condizione iniziale e quella finale dell’impianto con cui si è svolta la prova era ancor più che marchiana e chiunque si fosse trovato sul posto, provvisto della capacità di valutazione necessarie e della buona fede non avrebbe potuto che convenirne.
      Poi, se si hanno dubbi riguardo a quel che distingue una sonorità migliore da una semplicemente diversa, forse è necessario mettere insieme ancora un (bel) po’ di esperienza.
      Essendo praticamente infinite le prerogative che possono esserte assunte dalla riproduzione sonora, per forza di cose lo sono anche gli elementi migliorativi. Riconoscerli in quanto tali, e soprattutto differenziarli da meri spostamenti laterali è una capacità fondamentale per l’appassionato che desideri raggiungere determinati traguardi. Vi si perviene con l’ascolto, anche e soprattutto dal vivo, e più che mai con la liberazione dagli stereotipi che in questo settore predominano in pratica da sempre, nonché dalle abitudini tipiche di troppi appassionati. Come l’ascoltare con l’udito altrui, con gli occhi, con il portafogli e con le targhette che riportano i marchi delle apparecchiature, consuetudini delle quali si è parlato tempo addietro. Altrettanto importante è costruirsi i propri parametri, elemento dipendente ancora una volta dall’esperienza, che non è mai abbastanza.
      Un suggerimento al riguardo e indicato per questo spazio, nel quale è evidente non si possa fare un trattato in materia, è il seguente: nel momento in cui si effettua un cambiamento sull’impianto si ha un vero miglioramento quando i dischi che suonavano peggio e li si riteneva mal registrati, cominciano ad andare meglio. Segno che i difetti non sono nella registrazione ma nell’impianto che si utilizza per il loro ascolto. Un altro elemento riguarda il numero di registrazioni che suonano veramente bene. Con gl’impianti ordinari si contano sulle dita di una mano, con quelli validi suona bene praticamente tutto, al di là di generi, strumenti utilizzati eccetera. Fermo restando che le sonorità d’origine sono fondamentali: se queste sono inadeguate o compromesse già in partenza, è evidente che non si possa cavare sangue dalle rape.
      Infine, quando la sonorità assume caratteristiche tali da dare l’impressione di trovarsi fronte all’evento reale, che poi è il vero scopo dell’alta fedeltà intesa nel senso più stretto del termine, e malgrado tanti si siano affannati per interi decenni a dire che certe cose sono impossibili, difficilmente si può sbagliare: si è di fronte a un impianto che suona bene.
      In base a quest’assunto, piaccia o meno, è proprio la considerazione espressa da chi si trovava di fronte a quell’impianto a comprovare il miglioramento sostanziale ottenuto nel modo descritto. In mancanza, non credo che a qualcuno sarebbe mai venuto in mente di dire una cosa simile. Ennesima dimostrazione che, soprattutto a certi livelli, le condizioni in cui si fa operare l’impianto assumono un’importanza maggiore rispetto alle apparecchiature da cui è composto. Discorsi che non si troveranno mai sulla stampa di regim… ehm, di settore, ma tant’è. Lavorare su di esse, anche per interventi di poco conto, è il modo migliore per costruirsi l’esperienza necessaria a comprendere le reali prerogative della riproduzione sonora e quindi dell’impianto da cui proviene.
      Tutto questo, naturalmente, a patto di essere disposti ad accettare che le modalità di trasferimento del segnale audio da un’apparecchiatura all’altra, e di quelle con cui fa pervenire a ognuna l’energia necessaria per il suo funzionamento, possano influenzare il comportamento all’ascolto di un impianto, cosa da non dare mai per scontata. In mancanza, ovvero qualora si abbiano convinzioni opposte, c’è poco da fare: anche le dimostrazioni più lampanti di tale realtà non verranno accettate, o meglio verranno negate recisamente e destituite d’importanza. A quel punto però non è più questione di udito e delle sue capacità, ma di quel che avviene nel passaggio successivo in termini di disponibilità all’accettazione da parte del cervello di quel che gli porgono gli organi sensoriali. Qualora non vi sia vi è la possibilità che si scatenino conflitti interni nell’individuo, tali da trasparire all’esterno con segni sottili magari, ma inconfondibili per chiunque abbia avuto modo di trovarsi di fronte ad essi.

      1. La ringrazio per la veloce ma argomentata risposta. Ho parecchio da imparare, certo è che visto quello di cui stiamo parlando è anche difficile fare esperienze di qualità senza buttare letteralmente soldi dalla finestra. A chi non ha amici/conoscenti nel campo rimane che google e cercare di trovare “venditori onesti” da cui andare a farsi appunto la necessaria esperienza di ascolto. Altrimenti si rimane nel solo ambito delle idee.

        1. Dovere, Alessandro.
          Purtroppo con i mezzi da te elencati non si va molto lontano, proprio perché ormai le esigenze di efficienza e competitività hanno reso del tutto impossibili le funzioni propedeutiche un tempo svolte dalla pubblicistica di settore e dai dettaglianti, ormai quasi del tutto soppiantati dai siti internet.
          Coi motori di ricerca tutto quel che si può trovare è qualcuno che cerca di venderti il suo prodotto, in una lotta distruttiva all’ultimo ribasso. E peggio, la qualunque tipica di forum e gruppi social, la cui azione devastatrice è sotto gli occhi di chiunque abbia volntà di osservazione.
          L’unica alternativa, allora, è quella che ti ho detto: cercare per conto proprio di migliorare le capacità di percezione mediante la messa a punto di quello che si ha. Magari con interventi a costo ridotto o addirittura a zero, eseguibili dando spazio alla fantasia. Si tratta di un esercizio quantomai efficace allo sviluppo delle proprie facoltà di percezione, che nel corso del tempo non mancherà di dare i propri frutti, migliorando anche le nostre capacità manuali e di comprensione dei diversi fenomeni che hanno luogo nell’ambito della riproduzione sonora. Poi, se per caso ti troverai a passare da queste parti, vieni pure a trovarmi per una chiaccherata e un ascolto presso la mia saletta, che quantomeno potrà esserti utile a costruire dei parametri tali da permetterti di osservare con maggiore consapevolezza quel che oggi offre il mercato.

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