Buon compleanno, Jimi

Se invece di affogarlo nel vino lo avessero lasciato campare in pace, ieri, 27 novembre, Jimi Hendrix avrebbe compiuto 80 anni.

Di quel liquido all’autopsia i suoi polmoni sono stati trovati pieni, mentre la concentrazione di alcool nel suo sangue era bassissima, proprio come se vi fosse stato calato a forza o altrimenti costretto a ingurgitarne quantità rilevanti per portarlo nel tempo più breve all’asfissia,

Quindi sarebbe un arzillo vecchietto che invece di passare alla storia, o meglio alla leggenda per il combinato disposto della sua espressività che non ha mai più trovato paragone alcuno, dell’innovazione che ha prodotto sia nella tecnica del suo strumento, la chitarra, sia nel linguaggio musicale in cui ha sospinto il blues, il rock e la sintesi che ne è derivata a una coniugazione semplicemente inimmaginabile prima di lui, e purtroppo anche della fine che ha avuto, forse ci delizierebbe ancora con la sua musica.

Su Hendrix è stato detto di tutto e tutto il suo contrario e di quei quattro anni scarsi di attività a livello discografico è stato scovato, setacciato e replicato ogni minimo reperto e rimasuglio, per uno sfruttamento tanto intensivo della sua opera da non avere paragone alcuno, a qualsiasi livello.

Segno che coi presupposti giusti l’artista rende meglio da morto che da vivo, considerazione inevitabile all’interno di un ordinamento sociale che riconosce come unica legge quella del profitto e proprio nell’industria dello spettacolo e dell’intrattenimento ha la propria avanguardia. Non solo a livello di prelevamento e accumulazione della ricchezza ma anche come dispensatore di modelli ideologici, sociali e comportamentali destinati a plasmare il modo di vivere e lo stesso pensiero di miliardi di persone.

Se l’artista è lo strumento e insieme l’elemento più visibile attraverso il quale il sistema di cui fa parte può funzionare ed è in grado di produrre i risultati che da esso ci si aspettano, può essergli lasciata la libertà che a lui è necessaria per esprimere compiutamente il suo talento e la sua creatività?

Può rivolgere la ricerca necessaria alla sua ispirazione dove preferisce o altrimenti è bene che sia incanalata entro limiti ben precisi?

Una risposta ce la può dare la storia: basta osservare le differenze tra prima e dopo la morte di Hendrix, per comprendere che quello affermatosi in precedenza come elemento portante di un malcontento innanzitutto esistenziale, e promotore dell’impegno in prima persona affinché si ponesse fine a una realtà e a un modo di pensare inaccettabili, si sarebbe isterilito. Conservando una facciata alternativa, ma in realtà proponendo non più un modello di crescita e cambiamento sociale. e per conseguenza inevitabile di rapporti di forza e di dominio, per limitarsi sostanzialmente alla diffusione del trinomio sesso-droga-rock ‘n roll secondo un modello squisitamente consumistico e soprattutto incapace di produrre una vera svolta a livello di etica, valori, ideali e realtà condivisa.

Non a caso quello che poi è stato identificato come glam rock quando era vivo Hendrix non esisteva. E nemmeno sarebbe potuto esistere. E’ balzato agli onori delle cronache musicali subito dopo, i primi veri successi di Bowie, Bolan & co. risalgono al 1971, mentre gli album realizzati in precedenza, in particolare dal primo, hanno trovato accoglienza di riflesso e furono ristampati in fretta e furia, nella quantità di copie che si era fatto in modo di far richiedere al mercato.

A quel genere pseudo-musicale appunto in quanto basato su elementi che in origine con la musica avevano poco a che vedere, e probabilmente pensato per neutralizzare la carica che determinata musica portava in sé ed era ritenuta troppo forte, è stato attribuito un rilievo e un predominio del tutto sproprzionato ai suoi contenuti reali. Erano ben poca cosa se i suoi protagonisti avevano bisogno dei travestimenti e della cosmesi che hanno costituito la parte preponderante del loro arsenale di sfondamento e della loro riconoscibilità: evidentemente di meglio non avevano da offrire.

Dimostrazione della necessità di un soggetto sostitutivo, che distraesse il pubblico e soprattutto deviasse il corso dei suoi pensieri verso traguardi politicamente più desiderabili.

Tanto per capire di cosa stiamo parlando, un tipo alla Robert Fripp non aveva alcun bisogno di quella roba. Si presentava in maglietta nera e Les Paul altrettanto nera, restando seduto a suonare sul suo sgabello per l’intera durata dell’esibizione, come chi era presente ai concerti italiani dei King Crimson nel 1973 può forse ricordare.

Ci dovrò scrivere un articolo, prima o poi.

Malgrado ciò il pubblico andava in visibilio: per la carica dirompente e il tasso d’innovazione della sua musica, invece che delle mossette pseudo femminilizzate di un “artista” che della teatralità del travestimento di scena e dell’ambiguità che per forza di cose ne derivava faceva l’elemento primario se non l’unico del suo messaggio.

La parte musicale non era di sua competenza e notoriamente affidata a un altro, certo Mick Ronson e infatti una volta venuto meno il sodalizio, i rari successi arrivati in epoca successiva sono stati il frutto di superproduzioni e collaborazioni, (Let’s Dance) o altrimenti di operazioni mediatiche studiate a tavolino e spinte alla massima potenza di fuoco del sistema mediatico.

Ma tanto, e come sempre, chi se ne poteva accorgere? I media pompavano e il popolo rispondeva docile, ansioso di consumare la novità costruita in laboratorio, destinata innanzitutto a distrarlo da cose che altrimenti avrebbero potuto dimostrarsi poco consigliabili. Soprattutto per chi ha da difendere gl’interessi maggiori e gli scheletri nell’armadio più inconfessabili.

Non a caso dei coetanei tra i più illustri di Hendrix, gli Who, che quando raccontano che avrebbe dovuto far loro da spalla in una serie di concerti non riescono a trattenere l’ilarità, data l’assurdità della cosa, nel loro film “Tommy” illustrarono bene la faccenda, con quel personaggio vestito da cow boy che si muoveva proprio come un pupazzo, e nella maniera più vistosa, mentre le ragazzine andavano in visibilio.

Inevitabile chiedersi se, restando vivo Hendrix, avrebbero potuto trovare lo spazio che hanno avuto determinati  fenomeni nell’ambito musicale, guardacaso i più deteriori e confacenti a diffondere e rendere popolari i valori negativi che da qualche tempo si vogliono imporre come stella polare a livello innanzitutto di modello sociale e comportamentale.

Basato su un vuoto pneumatico a livello concettuale, di espressività manco a parlarne e men che meno d’ispirazione, trattandosi dell’ennesima riscaldatura di un brodo vecchio di decenni e annacquato in maniera indecente prima ancora che oltraggiosa, al punto di diventare del tutto inconsistente. Mancando o essendo andati a male gl’ingredienti di base si abbonda come sempre con le spezie, per una facciata di finta alternativa che in realtà altro non è che perbenismo radicale, semplicemente coniugato secondo le indicazioni del momento, come sempre calate dall’alto.

Il semplice fatto che a certi finti finti-maschi femminilizzati a botte di sottovesti e reggicalze, proponibili solo a seguito dell’eradicazione definitiva del senso del ridicolo, e poi a femmine maschilizzate più per posa, finalizzata alla facilitazione di un successo artefatto, che per reale convinzione, sia attribuito tanto spazio e non passi giorno che non siano sospinti all’attenzione di un pubblico reso succube del sistema incaricato di premere i pulsanti del controllo a distanza cui risponde con obbedienza irrecuperabile, spiega da sé la totale insussistenza del fenomeno costituito dai quattro decerebrati che lo impersonano fisicamente.

Va altrettanto da sé che nel persistere di pietre di paragone non solo scomode ma riguardo alle quali un confronto non potrebbe proprio esistere, almeno nell’ottica di individui ancora in possesso di un residuo di materia grigia funzionante, determinate pseudorealtà non potrebbero proprio reggere. Come tali non potrebbero assolvere ai compiti che sono stati loro attribuiti, di conseguenza l’unica è togliere di mezzo chi possa rovinargli la piazza.

Una volta, con la rozzezza dei metodi che contraddistingueva i tempi di allora, si procedeva proprio fisicamente. Oggi invece, con la raffinatezza che si è raggiunta, anch’essa sintomo di un progresso innegabile per quale che sia la sua valenza, e stante il controllo ferreo dei mezzi d’informazione, tutti rigorosamente allineati e coperti, cui è stato attribuito il monopolio della costruzione della realtà, la condanna all’invisibilità che deriva dal loro trascurare tutto ciò che non deve essere portato a conoscenza delle masse è più che sufficiente.

Per conseguenza, prima ancora di domandarsi che musica suonerebbe, oggi, Jimi Hendrix se fosse vivo, ci si dovrebbe chiedere se suonerebbe ancora o se per caso anche lui sarebbe stato condannato, senza processo e senza appello ma con un movente di proporzioni gigantesche, all’invisibilità.

Avrebbe ancora un contratto da parte di una casa discografica di quelle che vanno per la maggiore, d’altronde anch’esse sostanzialmente unificate, guardacaso nell’oligopolio uno e trino costituito da Sony-Universal-Warner che ne costituisce la realtà attuale? Improbabile.

Forse gestirebbe egli stesso l’etichetta indipendente con cui distribuire i suoi dischi e peggio, è possibile persino che dovrebbe sottostare anche lui alle forche caudine impersonificate dai servizi adibiti alla liquidazione della musica.

A Hendrix piaceva moltissimo Bob Dylan e infatti alcune tra le sue interpretazioni più memorabili sono quelle di brani composti dal cantautore, come “All along the watchtower” e “Like a rolling stone”, quest’ultima oltretutto non così facile da trovare nella discografia del chitarrista. Hendrix invece piaceva moltissimo a Jaco Pastorius, cui prima ancora della stessa fine lo accomuna l’aver rivoluzionato il linguaggio del proprio strumento: Hendrix alla chitarra, Pastorius al basso.

Chissà, forse dopo il sodalizio con Miles Davis che aveva progettato insieme al trombettista, per poi suonare insieme qualche volta prima dell’irreparabile, Jimi e Jaco avrebbero potuto anche loro collaborare. Con ogni probabilità ne sarebbe uscito fuori qualcosa di unico.

Pastorius d’altronde è stato anche lui una mina vagante, soprattutto negli ultimi anni della sua vita, vero e proprio simbolo della cattiva coscienza dello show business: pronto a indignarsi e a fare finta beneficenza a comando, ma altrettanto capace di lasciare che una persona che non avrebbe mai fatto del male a chicchessia prima ancora che simbolo di un’era irripetibile, a livello musicale, sia lasciato andare nell’abbandono più totale. Dopo aver servito la causa per anni, portato il genere che eseguiva a una notorietà e a un seguito inopinati e quindi fatto fare soldi a palate a un mucchio di gente. Che lo ha ricompensato cacciandolo a pedate, platonicamente, ma forse proprio per questo in maniera ancor più dolorosa. Proprio come hanno fatto Zawinul e compagni, chi con una scusa chi con l’altra, disinteressandosi che per via dei suoi problemi fosse ridotto a vivere come un clochard.

Il metodo scelto da Zawinul è stato davvero vergognoso, per quanto fosse subdolo: quando fu stanco di vedere che la scena gli veniva rubata sistematicamente da quello che a suoi occhi doveva evidentemente restare a livello di comprimario, iniziò a raddoppiarlo con una delle sue tastieracce, che qualcuno in vena di dissacrazioni, per evidenziarne il merito, ha imitato per mezzo di pianoforti-giocattolo Bontempi.

Era predisposta per emettere timbriche di basso, ovviamente sintetico: in quel modo non poteva far altro dal rovinare e svilire le sonorità che Pastorius aveva inventato, costruito, perfezionato con la sua azione pratica, invece che premendo i bottoni di un macchinario elettronico, e portato all’adorazione di pubblico e addetti ai lavori, mettendo insieme più imitatori della Settimana Enigmistica.

Zawinul lo faceva sistematicamente, durante i concerti, e fu così che costrinse Pastorius ad abbandonare i Weather Report, messo per forza di fronte alla consapevolezza di non poter più suonare nel modo in cui desiderava, essendoci il capobanda che non desisteva un solo istante dal coprirlo, con un strumento la cui capacità di emissione sonora era tanto superiore, appunto in quanto sintetico.

Zawinul, nel suo cinismo, che non ha potuto che palesare altrettanta incompetenza, ha avuto il coraggio di paragonare Pastorius a una specie di Ray Brown. Strumentista bravissimo, per carità, ma come si può?

Comunque anch’egli ha avuto la sua risposta, da parte della realtà: cacciato Pastorius non è stato più capace di fare nulla di lontanamente paragonabile.

Non solo, nei concerti ci ha pensato il pubblico, inconsapevolmente, a ricordargli la sua malefatta, cantando in coro e a squarciagola durante la richiesta del bis l’inciso di Birdland. Potrebbe mai succedere per qualcosa che l’austriaco ha eseguito nel suo dopo Pastorius?

Enzo Ferrari soleva dire che agli occhi del mondo doveva essere il pilota a vincere grazie alle macchine del cavallino e non le sue auto a vincere per le capacità del pilota. C’è da chiedersi se per caso quel principio non possa essere stato in vigore nel settore musicale, riadattato alle sue esigenze, e in quello dello star system più in generale. Nessuno dev’essere, o solo dare la sensazione di poter diventare, più grande di essi.

Se possibile, Jimi Hendrix di aspiranti imitatori ne ha avuti ancora di più: si può dire che nessun chitarrista moderno possa estraniarsi dall’influsso onnipervasivo assunto dal suo stile e dalle sue sonorità. Con la semplice differenza che a lui bastava un distorsore/wah, mentre quelli che hanno cercato di rifarlo, senza riuscirci, hanno adoperato arsenali di pedaliere ed effetti speciali per cercare di ricostruire quel suono inimitabile.

Proprio a Hendrix e ai tentivi di sua imitazione infatti si deve il prosperare dell’industria dei pedali per chitarra, ancor oggi floridissima. Oltre naturalmente alla consapevolezza, per chi ne vuol prendere atto, che non è possibile ricostruire per via sintetica quel che è stato creato dalla forza della natura. Ecco, Hendrix era essenzialmente questo: una forza della natura. Di una qualità talmente sublime e rara da poter presentarsi una sola volta nell’intero corso della Storia, quella con la S maiuscola.

Più ancora del suo suono, a essere inimitabile è stata la sua voce. Se con decenni di applicazione, qualcuno è riuscito infine ad avvicinarsi ad esso ma senza poter replicare neppure lontanamente la vera essenza del suo stile, quella è rimasta fuori dalla portata di chiunque. Basta davvero un istante per renderla inconfondibile.

Anch’io, per quanto ormai abbastanza avanti con gli anni, sono stato troppo giovane, o non abbastanza vecchio, per poter assistere a uno dei suoi concerti. Credo sia il rimpianto maggiore della mia attività di cultore musicale, secondo una passione talmente radicata da spingermi un passo alla volta a quel poco che ne è conseguito.

Ancora oggi, quando ascolto i dischi di Jimi Hendrix, mi emoziono, in maniera profonda, tale da essere ineguagliabile per mezzo degli album di un qualsiasi altro artista. Per questo ho voluto scrivere questo pezzo, e mandare i miei auguri a Jimi e spero anche quelli di tanti altri appassionati come me, che si sono avvicinati al mondo della riproduzione sonora proprio per poter ascoltare in maniera più realistica la sua chitarra e la sua voce.

Ecco perché ti faccio i miei auguri, Jimi. Buon compleanno. Goditi i tuoi ottanta anni ovunque tu sia: da qui ti ricordiamo tutti, oggi come allora e forse anche di più.

 

 

 

Potrebbe interessarti anche

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *