I dischi di Maggio 2022

La rassegna di questo mese si apre con “Reissued: Live” di Graham Nash, in cui riprende i brani inclusi nei suoi due primi LP da solista, “Songs for beginners” e “Wild tales”. Stavolta sono eseguiti dal vivo, nella stessa identica sequenza dei due album storici, da una band di sette elementi, che oltre allo stesso Nash vede all’opera tra gli altri Shane Fontayne a chitarra e voce e Todd Caldwell, tastiere e voce. Il formato è ovviamente su doppio LP e il mastering è stato curato da Bob Ludwig. La pubblicazione è avvenuta lo scorso 6 maggio.

Questo mese ci sono diverse riedizioni interessanti di rock classico. Dal mio punto di vista la precedenza va a “The least we can do is wave to each other” dei Van Der Graaf Generator, album datato 1970 che ha visto la loro definitiva maturazione artistica. Comprende alcuni tra i cavalli di battaglia del gruppo nelle sue esibizioni dal vivo, come “Darkness”, “White hammer” e “After the flood”. La riedizione è pubblicata da UMC su LP singolo ed è disponibile dallo scorso 8 aprile.

Insieme a “The least we can do”, sempre l’8 aprile sono stati ripubblicati  i successivi “H to he, who am the only one” e “Pawn hearts”, a completare il trittico inerente la produzione del gruppo inglese nella sua formazione storica, quella che ha influenzato in maniera quantomai originale e irripetibile il percorso del rock progressivo nei suoi anni migliori. “H to he” comprende “Killer”, forse il pezzo più noto del loro repertorio, oltre a brani pazzeschi come “Lost”, “Pioneers over C” e “The emperor in his war room”, che hanno avuto un ruolo fondamentale nella ridefinizione del concetto stesso di musica d’avanguardia di quell’epoca, spintasi su terreni mai più toccati in seguito.

Da rilevare anche che “Pawn Hearts” rimase per alcune settimane al primo posto nella classifica degli LP più venduti in Italia. Ad esso, come a “H to he” ha collaborato Robert Fripp, chitarrista e fondatore dei King Crimson, ascoltabile distintamente durante lo svolgersi dei brani.

Questi tre album sono tra i più rappresentativi dello spirito progressive più genuino, nel suo momento migliore, e costituiscono una testimonianza imperdibile per qualsiasi appassionato di questo genere musicale.

 

 

 

 

 

 

Curiosamente, dalle riedizioni dei titoli dei Van Den Graaf Generator continua a latitare “The aerosol grey machine”. E’ stato il disco d’esordio del gruppo, nella sua discografia ufficiale, ma per larga parte lo si potrebbe vedere come un album solista di Peter Hammill, anche se accompagnato dagli altri membri del gruppo. Già alla sua epoca era impossibile da reperire, tranne che per un periodo brevissimo, qualche anno dopo la sua uscita, grazie a una riedizione stampata anch’essa in un numero di copie limitato, su etichetta Vertigo.

Ancora rock progressivo, stavolta in una forma più vicina alla canzone e forse fruibile con maggiore facilità, per due degli album dei Roxy Music. Il gruppo si è rivelato fondamentale per la ridefinizione del prog nella sua seconda fase, nella transizione verso il decennio successivo e i generi che lo avrebbero caratterizzato. Del gruppo guidato dal cantante Bryan Ferry, EMI ha ripubblicato il terzo e il quarto album, in edizione Half Speed Mastering, su viniile da 180 grammi. “Stranded” è stato il primo dopo la fuoriuscita di Brian Eno, figura predominante del gruppo, orientatosi verso la sua carriera da solista. Il successivo “Country life”, deve buona parte della sua notorietà alla copertina, che ha fatto discutere parecchio e non solo alla sua epoca. Probabilmente ha avuto un suo ruolo nel mantenerlo stabilmente nell’ambito dei 100 album più venduti di sempre. Musicalmente si è caratterizzato per una virata verso forme espressive più vicine al rock duro. I due album saranno reperibili dal 13 maggio e fanno seguito a “Roxy Music” e “For your pleasure”, la cui riedizione della stessa serie, sempre masterizzata a mezza velocità, è sul mercato dallo scorso 1 aprile.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Per il rock classico, mi sembrano imperdibili altre edizioni con master a mezza velocità, stavolta curate da Polydor, di due album degli Who, disponibili dal 6 maggio scorso. Stiamo parlando di “A quick one” e di “My generation”. Hanno segnato maggiormente la storia del gruppo e quella del rock nelle sue forme più dirette e d’impatto, sia pure coniugate secondo i canoni di una maggiore maturità e soprattutto senso della misura, rispetto a quelle più dure e metallare, che ho sempre ritenuto alquanto deteriori.

La vena sperimentale del gruppo appare evidente nel primo degli album menzionati, in cui è presente la suite “A quick one, while he’s away”, antesignana di quella che sarebbe divenuta la forma espressiva più caratterizzante del rock progressivo, grazie alla quale avrebbero visto la luce molte delle espressioni più memorabili legate a quel genere musicale.

Gli Who del resto hanno esplorato a fondo anche l’idea del “concept album”, ossia dell’LP composto intorno a un’idea portante, alla quale sono legati tutti i suoi brani, altro elemento fondante del rock progressivo che ne ha segnato ancora una volta i capitoli salienti e ha posto gli Who su un livello a parte rispetto a qualsiasi altro gruppo di rock propriamente detto.

A questo riguardo credo che “Quadrophenia” sia il loro album più significativo, e pertanto mi sembra doveroso  segnalare l’uscita della sua riedizione, anche se avvenuta qualche mese fa, lo scorso settembre, e sempre da parte di Polydor, anche se purtroppo non in edizione con master a mezza velocità.

 

 

 

 

 

 

Una curiosità rispetto a “Quadrophenia” riguarda il titolo, che all’epoca, si era nel periodo in cui sembrava che la quadrifonia dovesse sostituire la tradizionale stereofonia, si riteneva legato nel suo significato alla nuova modalità di riproduzione. Invece si riferisce alla forma aggravata di schizofrenia da cui era colpito il protagonista dell’album, dal quale è stato poi tratto un film,, quella secondo cui la personalità del soggetto non si limita a un semplice sdoppiamento ma va ad assumere quattro forme diverse.

I temi dell’alienazione govanile, del resto, sono stati affrontati più volte dagli Who nei testi dei loro brani. Sotto un altro aspetto, ci troviamo ancora una volta dinnanzi all’esempio della preveggenza della musica rock più raffinata nei confronti di quel che sarebbe accaduto in seguito e persino ai giorni nostri

La scorpacciata di rock termina con la riedizione di “The piper at the gates of dawn” dei Pink Floyd nella versione monofonica in cui fu pubblicato in origine, ristampata su vinile da 180 grammi.

Passiamo al blues, genere per il quale c’è da segnalare l’uscita del nuovo album di John Mayall, vera e propria icona del blues inglese. Il suo gruppo, Bluesbreakers è stato la nave scuola di praticamente tutte le figure di spicco maggiore della scena britannica a cavallo tra gli anni 60 e i primi 70. Tra questi Eric Clapton, Mick Taylor, Aynsley Dunbar, Jon Hiseman, Jack Bruce, Ginger Baker, Dave Greenslade, Jon Mark, Mick Fleetwood, Johnny Almond, John Mc Vie, l’intero gruppo degli Yardbirds, ossia quelli che poi sarebbero diventati i Led Zeppelin, e tantissimi altri. All’epoca, in pratica, era quasi impossibile trovare un artista di spicco che non fosse entrato per un periodo più o meno lungo nella formazione dei Bluesbreakers, si faceva prima a menzionare quelli che non ne avevano fatto parte.

Per il suo nuovo album, “The sun is shining down”, Mayall ha chiamato un numero di collaboratori piuttosto folto, tra i quali figurano Melvin Taylor, Marcus King, Barry Miller, Mike Campbell e Scarlet Rivera. Ne è derivata una miscela che al blues tipico di Mayall aggiunge aromi soul e funky, con l’apporto di fiati e archi, per esecuzioni eclettiche e come sempre di grande comunicativa. L’uscita dell’album, possibile punto di partenza per l’esplorazione di una discografia quasi infinita, è per il 20 maggio prossimo.

Sempre per il blues ci sono da segnalare due riedizioni di Robin Trower, “Coming closer to the day” e “No more worlds to conquer”, pubblicate lo scorso 29 aprile. Il primo titolo è su vinile colorato, il secondo su supporto da 180 grammi.

 

 

 

 

 

 

Ancora blues per l’album di Robert Cray “Nothin but love” e per “Brother Johnny” di Edgar Winter, dedicato a suo fratello Johnny, chitarrista albino e figura iconica dell’epoca d’oro del rock blues, ancora una volta a cavallo tra gli anni 60 e 70.

 

 

 

 

 

 

Potremmo già chiudere qui, data la quantità di musica che permetterebbe di ascoltare a lungo, nell’attesa del prossimo appuntamento, ma mi sembra doveroso segnalare alcune tra le riedizioni di dischi jazz appena uscite o di prossima pubblicazione.

Iniziamo con gli album di due organisti “Two headed freap” di Ronnie Foster e “Moon rappin'” di Brother Jack McDuff, entrambi riediti da Blue Note su vinile da 180 grammi. Da Verve/Impulse arrivano invece “Duke Ellington meets Coleman Hawkins” e “John Coltrane & Johnny Hartman”, sempre su vinile da 180 grammi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Impossibile non menzionare due album di Bill Evans, pianista leggendario. Il primo è “At the Montreux jazz festival” registrato dal vivo nella località svizzera col trio stellare formato da Eddie Gomez e Jack DeJohnette, esibitosi nell’edizione 1968 del festival. L’altro è “Trio ’65” che sarà disponibile a fine giugno.

 

 

 

 

 

 

Come al solito le riedizioni di jazz abbondano: non è possibile trascurare “Breaking point” di Freddie Hubbard e “+ eleven” di Art Pepper, in uscita rispettivamente a fine maggio per la Blue Note e a inizio giugno per la Contemporary. Entrabi i titoli sono su vinile da 180 grammi.

Sempre da Conteporary arrivano “Four!” di Hampton Hawes, con Barney Kessel, Shelly Manne e Red Mitchell, e “The poll winners”, sempre con Shelly Manne e Barney Kessel, stavolta però insieme a Ray Brown.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Chiudiamo in bellezza con “Africa”, di Pharoah Sanders e Idris Muhammad su doppio LP da 180 grammi che sarà pubblicato da Tidal Waves a fine maggio, “Songwrights apothecary lab” nuovo album di Esperanza Spaulding, “We insist! Max Roach’s Freddom now suite” di Max Roach, e “Jazz Messengers with Thelonious Monk”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ora è davvero tutto: alla prossima.

 

 

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