C’è stato un tempo in cui il Moog e il Fender Rhodes, altrimenti noto come piano Fender, spopolavano insieme all’organo Hammond. Era appunto quello in cui la musica che si suonava aveva la sua caratteristica primaria nella libertà.
Libertà d’ispirazione e di esecuzione, senza porsi limiti o recinti di sorta, concetto fondamentale alla base del rock progressivo e di tutti i generi ad esso collegati, libertà di argomenti da toccare e approfondire per mezzo delle proprie opere musicali, il cosiddetto concept album è stato uno tra i criteri fondanti e tra le espressioni più proficue del progressive, e infine libertà di suoni, laddove per qualsiasi musicista che volesse distinguersi dagli altri sotto l’aspetto timbrico era necessario intervenire sul proprio strumento in prima persona.
Di esempi al riguardo se ne potrebbero fare a bizzeffe, ma siccome si lamentano tutti che mi dilungo troppo, mi limiterò a quello che forse è il più rappresentativo in assoluto, riguardante il sassofonista dei Van der Graaf Generator nella loro formazione originaria, David Jackson.
Il suono dei suoi sax, che spesso e volentieri suonava anche più di uno alla volta, secondo un’usanza alquanto diffusa all’epoca, lo stravolgeva al punto da rendere difficile, a volte, persino capire di cosa si trattasse, nel suo ascolto. Lo si capisce già dagli album del gruppo, ma chi ha avuto la fortuna di assistere a uno o più dei loro concerti ha potuto comprendere la dimensione piena del suo approccio allo strumento, che oggi si reputerebbe persino inconcepibile.

Allora invece suscitava un entusiasmo fin quasi incontenibile tra il pubblico, spintosi fino ad osannarlo con veri e propri cori da stadio, “Jackson – Jackson”, come documentato nelle note di copertina di una delle riedizioni più recenti di “Pawn hearts”, forse il loro album più rappresentativo, che riuscì persino ad arrivare al primo posto della classifica italiana degli LP e a rimanerci, per qualche tempo.
Del resto in quel periodo la musica aveva una trasversalità pressoché inesistente rispetto alla realtà di oggi, dove tutto è mescolato in un immane calderone dal quale fuoriesce la poltiglia adatta al “One size fits all” che è il caposaldo della degenerazione capitalistica attuale. Allora il mercato discografico dominante era quello dei 45 giri e chi ascoltava certa musica, e peggio lo dichiarava pubblicamente era visto come una specie di marziano.
Del resto se il pubblico medio italiano era quello dei Gianni Morandi, delle Oriette Berti o dei Nuovi Angeli, attribuire al Pianeta Rosso la provenienza di musica come quella dei Van der Graaf o di tanti altri gruppi era persino riduttivo: si sarebbe potuto giurare tranquillamente che quella roba arrivasse da ben oltre Plutone.
Marziano infatti era già chi ascoltava i Led Zeppelin o i Deep Purple: già coi Jethro Tull si andava oltre. Dunque, non chi ascoltava ma chi riusciva ad assimilare i Van Der Graaf Generator potrebbe essere visto come un marziano agli occhi dei marziani
Comunque sia, il musicista doveva impegnarsi in prima persona, e a fondo, anche per acquisire un timbro che gli desse la propria riconoscibilità: potrei ricordare a questo proposito anche il sassofonista e tastierista degli Henry Cow, Tim Hodgkinson, che in concerto si affannava a sostituire di continuo schede di circuito sulla sua tastiera per ottenere quel che desiderava in termini di sonorità tra un brano e l’altro e sovente anche nel corso dello stesso pezzo.
Era del resto un frutto, o meglio un portato, dell’elettrificazione, a quel tempo “conquista” relativamente recente: qualsiasi strumento si suonasse, se non c’era la sua versione elettrica gli si attaccava un pick up e poi si faceva passare il segnale che ne fuoriusciva attraverso wah-wah, distorsori, filtri e pedaliere varie per cavarne sonorità imprevedibili ma spesso affascinanti.
Qualcuno si spingeva persino a rielettrificare il già elettrificato, come ad esempio Paolo Tofani, chitarrista degli Area, che filtrava il suono del suo strumento attraverso uno o più sintetizzatori. Traendone ancora una volta un suono che non sempre si riusciva a riconoscere, o forse quasi mai, come fuoriuscito da una chitarra e per forza di cose assolutamente personale.

Oggi tutto questo sarebbe inconcepibile: basta spingere il bottone di una tastiera e si hanno tutte le sonorità che si possano desiderare. Ma si tratta di suoni preconfezionati, destinati inevitabilmente a tarpare le ali di chi vi ricorre: come si contemperano con le capacità del musicista di realizzare, e prima ancora di immaginare o solo andare alla scoperta di sonorità che siano sue e sue soltanto invece che di una multinazionale, di Yamaha, Oberheim o chi per essi? Depauperato da esse, cosa ne rimane, non solo in termini di espressività, ma anche di mere capacità, sia pure su un piano essenzialmente meccanicistico?
Curiosamente, proprio il Ray Kurzweil progettista e costruttore di alcune tra le tastiere più innovative e apprezzate della loro epoca, a cavallo tra gli anni 80 e 90, oggi è tra le figure di spicco maggiore della corsa all’intelligenza artificiale e al transumanesimo. Dimostrazione ennesima che i legami tra la musica, la sua riproduzione e il sociale e l’evoluzione della mantalità e dei costumi è più stretta di quanto la maggioranza degli appassionati, in particolare quelli che vanno ad apparecchiature e recensioni, falsificate prima ancora di essere scritte, sia disposta ad ammettere.
L’automazione è molto comoda e a volte persino tranquillizzante, ma il suo rovescio della medaglia consiste nell’essere madre dell’incapacità: una volta che le auto saranno tutte a cambio automatico, ammesso e non concesso che nella logica concentrazionaria delle città dei 15 minuti nelle quali si stanno trasformando i nuclei urbani in cui viviamo sia ancora concesso loro e ai loro conduttori di circolare, cosa ne sarà delle capacità di lasciare la frizione per partire dando contemporaneamente gas, secondo un esempio sia pure terra-terra di coordinazione motoria. O altrimenti di capire quand’è il momento di passare al rapporto superiore, di scalare marcia e persino di rendersi conto delle funzioni, dell’utilità e persino dell’esistenza del dispositivo meccanico oggi conosciuto con il nome di cambio?

Nello stesso identico modo il sistema di somministrazione di dati audio da remoto, conosciuto come “liquida”, alla lunga non solo renderà incapaci di servirsi di un lettore di supporti fisici, per non parlare di un giradischi, ma persino di comprendere la loro funzione, quindi i motivi della loro esistenza. Non solo, si perderà la capacità d’immaginare una fruizione dell’opera musicale che non sia legata alla dipendenza da uno dei fornitori globali del servizio.
Questo spossessamento vale la comodità di non dover essere costretti a cambiare sempre di marcia, cambiare CD o girare l’LP per ascoltarne la seconda facciata? Dette azioni sono una reale costrizione o invece concepirle come tali è solo la conseguenza di scelte deliberate appositamente per portarci a desiderare la scomparsa loro e dell’intero involucro di cui fanno parte, riducendoci infine, un passo alla volta, all’incapacità di utilizzare qualsiasi strumento non sia virtuale o operante a mezzo display, quindi di essere dipendenti e controllati in tutto e per tutto, così da poter essere disconnessi a piacimento, all’occorenza quindi impossibilitati di fatto a sopravvivere, secondo il tipico procedimento di problema – reazione – soluzione?
Funziona così: si causa un problema, in modo che produca una reazione, tale da spingere a sua volta a una soluzione che poi è quella cui chi ha dato origine al problema intendeva arrivare fin dall’inizio. Fingendo invece che a determinarla sia stata la richiesta, oltretutto pressante, dal popolo. Di sua sponte, secondo la finzione ormai trascesa a livelli plateali inerente la sua sovranità e poi concessa in virtù della graziosa magnanimità di chi risiede colà dove si puote.
La libertà è schiavitù, diceva George Orwell, vero profeta della realtà dei nostri tempi, insieme ad Aldous Huxley e a una serie di altri scrittori, riuniti nel filone distopico. Ora che le loro previsioni si stanno avverando, una dopo l’altra, nessuno si chiede se la realtà che stiamo vivendo sia anch’essa tale. Viceversa, un numero di fonti in crescita perenne recita di continuo il mantra asfissiante volto a convicere che si stia vivendo nella migliore delle realtà immaginabili, secondo una contraddizione davvero curiosa a cui credere però fa ancora una volta tanto comodo.
Insieme agli slogan “La guerra è pace” e “L’ignoranza è forza”, “La libertà è schiavitù” era parte del trittico su cui era imperniata l’ideologia del Socing, forma degenerata di socialismo volta ad attribuire ogni potere a una casta d’intoccabili, mentre il resto della popolazione era costretta a dibattersi in una povertà crescente, abbinata alla sottrazione dei criteri minimi di libertà e democrazia, gestita con il pugno di ferro o meglio secondo modalità zootecniche.
Curiosamente oggi ci viene assicurato da tutte le fonti ufficiali che dare armi come se non ci fosse un domani a un paese in guerra, oltretutto nel mezzo di una crisi economica catastrofica e irrisolvibile senza un cambio radicale di paradigma, è il modo migliore per assicurarci la pace.

Nello stesso tempo l’ignoranza dilaga, coltivata scientificamente per mezzo di un sistema didattico svuotato di contenuti e ridotto a sistema d’irreggimentazione e discriminazione tra chi è pronto a obbedire, mediante abdicazione all’utilizzo della materia grigia fornitagli da Madre Natura, e chi no, già in tenera età. Ossia quando le menti sono più ricettive e influenzabili. E’ abbinato a una propaganda asfissiante eseguita con ogni mezzo, il cui scopo primario è spingere alle forme più compulsive di consumismo, trasformato in strumento primario di affermazione sociale e di annichilimento concettuale, mentre i salari medi dei lavoratori italiani sono più bassi rispetto a quelli di 30 anni fa, caso unico al mondo. Persino nella Grecia della carestia e della strage degli innocenti definita come il miglior successo dell’Euro sono progrediti.
A chi è troppo vecchio per andare scuola pensa un sistema di comunicazione il cui unico scopo è eseguire una forma di lavaggio del cervello ancor più che asfissiante, a botte di telegiornali che si dividono tra il terroristico e il fatuo, di serie TV atte ad affermare modelli sociali e comportamentali totalmente degenerati, inframmezzati da un bombardamento pubblicitario cui non è più possibile sfuggire e ci fa suo bersaglio in ogni luogo. La sua finalità primaria non è più la vendita del prodotto ma il candeggio irreversibile delle meningi. Appunto destinato a rendere unfirmi e prevedibili i comportamenti, dunque controllabili con la facilità maggiore.
I metodi con cui malgrado tutto il Socing manteneva il suo potere, malgrado imponesse condizioni di vita intollerabili, erano ancora una volta tre: una propaganda asfissiante centrata sulla guerra permanente, per cui qualsiasi cosa era definita “della Vittoria”, dal gin e dal caffé di qualità infima e provenienza ignota riservati alle masse, mentre ai componenti delle élite erano forniti gratuitamente generi della migliore purezza, alle abitazioni fatiscenti in cui le popolazioni erano costrette a vivere; un inganno eseguito ancora una volta a tappeto, dove il Ministero dell’Abbondanza curava in primo luogo che non vi fossero mai merci e derrate sufficienti al reale fabbisogno della popolazione. Ogniqualvolta diminuiva le razioni concesse, la propaganda del ministero della Verità annunciava con toni trionfalistici che le si era aumentate.
Quello dell’Amore si occupava di reprimere il malcontento residuale, incarcerando e torturando dissidenti e presunti tali, scovati per mezzo di un sistema spionistico, di delazione e di controllo capillare, tale che ciascuno vivesse nel terrore.
Il ministero della Verità infine si occupava di produrre le informazioni rigorosamente false destinate al controllo e alla direzione del pensiero delle masse, di cancellare tutto quanto potesse ricondurre alla consapevolezza che in passato le cose fossero andate in maniera diversa dalle condizioni miserevoli in cui si viveva, mediante una riscrittura della storia altrettanto minuziosa, e di conseguenza la speranza che in futuro le cose potessero cambiare: chiunque vi si abbandonasse, in quanto colpevole di psicoreato veniva preso in carico dal Ministero dell’Amore e fatto oggetto del trattamento riservato ai dissidenti.
“Chi controlla il presente controlla il passato. Chi controlla il passato controlla il futuro”.
Per mettere alla prova i presunti tali si faceva circolare la voce riguardo all’esistenza di un movimento clandestino, La Fratellanza, facente in effetti capo agli stessi vertici del Ministero dell’Amore. Esattamente come nella realtà che conosciamo partiti e movimenti destinati a farsi interpreti del malcontento popolare hanno finito regolarmente con l’incanalarlo ai fini della sua neutralizzazione e peggio metterlo a sostegno di quel che avversava, mostrando il loro vero scopo, come nel caso di scuola dei Cinque Stelle e prima dei partiti ambientalisti, dei radicali e dei partiti di sinistra, storicamente dediti a curare gl’interessi del grande capitale..
Non a caso proprio questi ultimi sono stati i propugnatori di tutti i provvedimenti destinati alla precarizzazione e alla disoccupazione di massa, alla revoca di ogni diritto sul posto di lavoro e all’impoverimento drastico dei ceti salariati residuali. Proprio Berlinguer, il santo laico per eccellenza di ogni bravo progressista, ha scritto due libri in cui non ha solo inneggiato all’austerità ma l’ha definita il solo destino cui le classi lavoratrici dovessero guardare. Non poteva non sapere chi e cosa ne avrebbero pagato tutte le spese e chi invece era destinato a trarne ogni vantaggio, come dimostra la realtà attuale. E se per caso non lo sapeva era ancora più colpevole, in quanto inadeguato e incapace, di conseguenza velleitario e avventurista.
Al Ministero della Verità era attribuito anche il compito di compilare e rinnovare di continuo il Dizionario della neolingua, essenzialmente per mezzo della cancellazione progressiva di tutti i vocaboli per mezzo dei quali si potesse comporre un pensiero non allineato alla volontà del Partito, insieme allo svuotamento e al capovolgimento del significato dei vocaboli che si era deciso di mantenere in uso. Proprio come ai vertici di quel sistema sociale si definiva Abbondanza, col relativo ministero, per significare carestia, Amore per repressione, Verità per menzogna. Il tutto per mezzo di un sistema indistinguibile da quel che oggi viene definito il politicamente corretto: così in auge da risultare imprescindibile e per conseguenza massimamente efficace nel condurre al pensiero unico di massa.
In un quadro del genere, un ruolo era attribuito ovviamente all’intrattenimento delle masse: vediamo cosa ha scritto Orwell al riguardo, nel suo “1984”, opera fondamentale non solo del genere distopico, ma per comprendere la nostra realtà attuale.
“A sua volta, poi, l’Archivio (quello in cui lavorava Winston, il protagonista della storia narrata dal libro N.d.A.) non era che un ramo del Ministero della Verità, il cui scopo primario non consisteva nel rifabbricare il passato, ma nel fornire ai cittadini dell’Oceania giornali, film, libri di testo, programmi televisivi, opere teatrali, romanzi, insomma nel fornire loro informazione, istruzione e divertimenti di ogni genere: si andava dalla statua allo slogan, dal poema lirico al trattato di biologia, (anche la falsificazione della scienza era già prevista N.d.A.) dall’abbecedario al dizionario di neolingua. Il Ministero non aveva solo il compito di rispondere alle svariate esigenze del Partito, ma doveva anche ripetere l’intero procedimento a un livello inferiore, specificamente rivolto al proletariato. Un’intera catena di dipartimenti autonomi si occupava di letteratura, musica, teatro e divertimenti in genere per il proletariato. Vi si producevano giornali-spazzatura che contenevano solo sport, fatti di cronaca nera, oroscopi, romanzetti rosa, film stracolmi di sesso e canzonette sentimentali composte da una specie di caleidoscopio detto versificatore“.
Oggi e nel prossimo futuro un numero sempre maggiore di compiti vengono e saranno attribuiti all’automazione e alla cosiddetta intelligenza artificiale, che non a caso viene magnificata in tutte le salse e occasioni. Tra questi possibilmente anche la composizione ed esecuzione di musica, attività che ben si presta alle potenzialità di quella tipologia di dispositivi.
I risultati che ne deriveranno saranno possibilmente caratterizzati da una sostanziale uniformità, come lo sono del resto le funzioni creative e progettistiche attribuite all’informatica o che di questa si avvalgono in misura sempre crescente. Caso tipico il design dei mezzi di trasporto e quello di gran parte degli oggetti complessi, in cui i diversi prodotti in vendita tendono a rassomigliarsi sempre più. Appunto in funzione delle istruzioni date al sistemi di calcolo di cui ci si avvale per quegli scopi, ma soprattutto in assenza dell’estro, esclusivo dell’uomo ante normalizzazione.
Se a livello del fruitore tipico questa tendenza all’uniformità potrebbe lasciare perplessi, ai piani alti, ossia laddove le cose vengono decise e il controllo sempre più stringente e di massa è obiettivo primario che viene perseguito con ogni mezzo, primo fra tutti proprio quello dell’inganno, è vista come ingrediente essenziale. Proprio perché ogni elemento unificante è in tutta evidenza propedeutico alle funzioni di controllo e d’ausilio considerevole alla loro semplificazione, sempre secondo il criterio del “One size fits all”, ossia della taglia unica che va bene per tutti.
In questo momento siamo ancora in una fase preliminare e tuttavia già sufficientemente avanzata: la cosiddetta musica liquida sta conquistando fasce di pubblico sempre più ampie, del tutto disinteressate o rese persino incapaci di comprendere già a livello di semantica che funzione primaria del liquido è appunto quella di liquidare.
Per conseguenza il repertorio costituito dall’intero scibile musicale è stato messo in liquidazione, così mediante il pagamento di una somma in apparenza alla portata di tutti, ma che non lo è più quando sommata al resto degli altri abbonamenti che siamo chiamati a pagare mensilmente, anche solo per sentirci all’altezza dei nostri simili quando invece si tratta di forme di controllo vieppiù asfissianti che oltretutto paghiamo pure, è possibile accedere ad archivi sterminati, per mezzo dei quali è possibile ascoltare musica di ogni genere, oltretutto con grande facilità.
Che ai detentori dei diritti delle singole opere siano riconosciuti compensi oltraggiosi prima ancora che irrisori per la loro esiguità, tali da non permettere più le attività di composizione, esecuzione e produzione, stanti i costi della vita attuali e quelli di strumenti e macchinari necessari al riguardo, è cosa che l’utilizzatore e ancor peggio l’entusiasta del sistema di liquidazione della musica non tiene in conto alcuno.
A lui interessa il prodotto, che sia disponibile nelle quantità più ampie, per non dire sterminate e come tale inflazionato oltre ogni limite, e con la massima facilità, da cui la proverbiale comodità che oggi è il principale elemento di affermazione per qualsiasi cosa presso una popolazione resa appositamente fiacca e inflaccidita.
Dunque delle possibilità di prosecuzione delle attività proprie di musicisti, esecutori e tecnici, e quindi della continuazione dell’esistenza delle relative forme d’arte, a quel pubblico infiacchito non solo nella muscolatura ma ancor più nei concetti e nella volontà, non interessa nulla.
Del resto di musica a disposizione ce n’è talmente tanta che non riuscirebbe ad ascoltarne neppure una parte minima del corso della sua esistenza. Perché dunque preoccuparsi che se ne possa realizzare altra, che in quanto tale sarebbe ridondante, se non addirittura inservibile?
Come vediamo, allora, quelle figure professionali sono già oggi obsolete, pertanto sostituibili senza difficoltà da un sistema che già solo istruito a pescare un frammento qui e un altro là potrebbe essere più che sufficiente per assemblare una parvenza di prodotto potenzialmente assorbibile da un pubblico reso sordo e desensibilizzato a tal punto nei confronti degli elementi essenziali e caratteristici di una forma d’arte che non riconosce più quale elemento culturale destinato alla propria elevazione, se mai lo ha fatto, ma al quale attribuisce essenzialmente una valenza di ordine consumistico.
Fin qui ci siamo occupati di fruizione domestica, ma anche per quanto riguarda l’esecuzione dal vivo o la pseudo tale le cose potrebbero non andare molto meglio. L’industria della robotica ha fatto negli ultimi anni passi da gigante: quanto tempo sarà necessario affinché siano resi disponibili dispositivi antropomorfi coi quali sostituire i musicisti in carne e ossa? Quelli veri del resto, ossia contraddistinti da un bagaglio tecnico, artistico e ispirativo degno di rilievo stanno avviandosi più o meno tutti verso un’età avanzata, senza che vi sia un ricambio non dico alla loro altezza ma almeno degno di nota.
Gli esempi della realtà attuale li conosciamo, sia pure di fama, e sono quanto di più deteriore si possa immaginare. Tra l’altro nel momento in cui al musicista o allo pseudo tale in carne e ossa si potrà sostituire un dispositivo meccanizzato, lo si potrà istruire affinché ponga in atto comportamenti tali da oltrepassare di gran lunga persino gli atteggiamenti più fintamente trasgressivi messi in atto dai campioni attuali della specialità, bene o male limitati dall’esistenza di tabù comportamentali, sia pure residuali. Nelle condizioni date oggigiorno, infatti, per un briciolo di notorietà, e per i relativi introiti, si sarebbe pronti a tutto o quasi.
Che sappia suonare non ve n’è bisogno alcuno, il playback del resto è stato inventato qualche era geologica fa.
Figuriamoci quale presa potrebbero avere quei macchinari nei confronti di un pubblico appositamente abbrutito e reso dipendente dal consumo di spazzatura, peggio ancora sintetica, che come tutte le sostanze di questo mondo è destinata a creare dipendenza. Ancora una volta non sto dicendo niente di nuovo, sto anzi facendo un discorso vecchissimo, tanto è vero che negli anni 60 del secolo scorso gli Who misero in scena in “Tommy”, anche nella sua versione cinematografica, il personaggio di un musicista burattino, vestito da cowboy, di fronte al quale le ragazzine andavano in delirio.
Dunque quel che sembra ancor più che modernissimo e futuribile è in realtà già vecchio, anzi decrepito, trattandosi di roba escogitata almeno una sessantina di anni fa. Ma solo per quel che possiamo ricordare, quindi è possibile che altri esempi del genere siano ancora più remoti. Un colpo insopportabile per chi idolatra progresso e tecnologia, che come tutto quanto viene proposto o meglio imposto per il sollazzo del pubblico e il suo conseguente annichilimento intellettivo e sensoriale, non possono che essere rigorosamente falsificati.
Dal punto di vista gestionale e commerciale simili droidi sarebbero un affare colossale. Basterebbe acquistarli e istruirli per farli esibire ovunque, anche conteporaneamente su piazze diverse col medesimo programma, cosa impossibile per i musicisti in carne e ossa, che malauguratamente non sono provvisti del dono dell’ubiquità.
Le tappe delle loro tournée potrebbero essere molto più serrate e prolungate pressoché all’infinito, almeno fin quando il robottino non si scassa, potendolo comunque sostituire con un altro senza difficoltà.
Così a nessuno verrebbe in mente di scrivere brani come “Ladies of the road” (Zappa), “Is she waiting?” (McDonald and Giles) o “Song for a sad musician” (Mark – Almond) , ispirati appunto dai disagi delle tournée e della vita sulla strada.
Niente necessità di alberghi, e relative stanze distrutte, con le relative spese, come da leggende degli artisti maledetti, fermo restando che verificandosene il bisogno per motivi propagandistici, anche nelle funzioni di distruzione un dispositivo elettromeccanico programmato a dovere rischia di essere ben più efficace dell’umano che vorrebbe scimmiottare.
Una volta finita la serata il robot lo rimetti nella sua scatola, anzi ci va per conto suo, per uscirne solo al momento opportuno la serata successiva. Invece di rompere le scatole in giro e doverlo trasportare in prima classe lo metti nella stiva, con ulteriore compressione dei costi, mentre il biglietto lo si potrebbe far par pagare persino di più, e molto anche, proprio perché le funzioni che gli possono essere attribuite vanno ben oltre quelle che un qualsiasi umano sarebbe disposto a eseguire.
Vuoi un concerto di sei ore? Che problema c’è, quando il più motivato degli umani a due, due e mezza non ce la fa più e ovviamente necessita poi dei tempi di recupero, non necessari per qualsiasi macchinario.
Di contratti poi, e delle conseguenti pretese da prime donne degli artisti affermati, manco a parlarne: un vero bengodi.
Soldi a palate quindi: aspettate che l’impresario se ne accorga, genere d’individuo solitamente famelico, o solo gli venga data la possibilità concreta di servirsi di quei dispositivi, e poi vedrete.
Attenzione però, dato che non tutto riesce ad andare secondo le previsioni: è notizia di questi giorni l’ammissione da parte di un alto grado dell’aviazione USA che durante una simulazione un drone controllato da IA avrebbe scelto di uccidere il suo conduttore perché ” d’intralcio alla missione”. E’ bene quindi che tutti quanti hanno intenzione di utilizzare i servigi di quei dispositivi si accertino di non porsi sia pure inconsapevolmente nel mezzo dei loro obiettivi, perché l’esito potrebbe essere spiacevole.
Ovviamente è arrivata a stretto giro la smentita, ufficiale. Ci mancherebbe altro, non vorremo mica che l’asse portante del radioso futuro e dei suoi destini magnifici e progressivi sia messo in discussione da simili quisquilie.
In realtà anch’essa, malgrado sia una notizia di questi giorni, è storia non vecchia ma decrepita. E’ proprio quello che ci è stato raccontato da Stanley Kubrick in “2001 Odissea nello spazio”: in mezzo a una serie quasi infinita di diversivi, l’elemento centrale del racconto è proprio quello, ossia il tentativo di Hal 9000, in tutto e per tutto un sistema di intelligenza artificiale, di eliminare la parte umana dell’equipaggio della navicella spaziale della quale gli è stato affidata la conduzione, stante la percezione che possa essere d’intralcio o persino rendere impossibile il compimento della missione per cui è stata lanciata.
Stava quasi per riuscirci e quindi aveva eliminato con un trucco o con l’altro tutti i membri dell’equipaggio. Tranne uno, Bowman, che aveva indotto a recarsi fuori dalla navicella, nel tentativo di salvare un suo compagno deliberatamente ucciso, per poi chiuderlo fuori. Solo l’aver preso un rischio impossibile, farsi sparare dentro il portello di emergenza dal seggiolino eiettabile del modulo esterno, e poi richiudere il portello evitando di essere risucchiato nel vuoto, ha permesso a Bowman di rientrare nella nave e poi disabilitare tutti i dispositivi superiori di Hal, per lasciare attivi solo i servizi di base adibiti alla navigazione. A quel punto L’IA mostra sentimenti umani, come la preoccupazione e la paura, e tenta di blandire chi a quel punto non vede più come ostacolo potenziale al compimento della missione ma come suo giustiziere.
Si parla insomma d’intelligenza artificale, ma a me sembra più che altro deficienza. Anche l’ultimo conduttore di autobus sa che non deve ammazzare i passeggeri che salgono sul mezzo da lui guidato: se non per questioni etiche, perché altrimenti anche l’utilità della sua occupazione verrebbe inevitabilmente meno.
Cosa avranno voluto suggerirci con quel passaggio gli ideatori del racconto? il suo autore, Arthur C. Clarke, spiega nel libro uscito insieme al film o poco dopo, che il problema era dovuto in realtà agli errori commessi nella programmazione di Hal, inevitabilmente di origine umana.
Ancora una volta il tecnocrate, che si distingue dai suoi simili per il cervello trapanato dalla tecnologia che crede di padroneggiare ma della quale in realtà si è reso succube, compie l’azione fatidica: idolatrare la sua stessa creatura, attribuendole qualità semidivine e comunque ponendosi in sottordine ad essa, proprio perché la ritiene impossibilitata a sbagliare. Dunque se lo fa è esclusivamente per un errore umano, secondo la forma di narcisismo assoluto che a sua volta è la deriva più tipica dello scienziato pazzo.
Allora, magari solo per questa volta potremmo evitare di ripetere a pappagallo le scelleratezze propinateci dal sistema di propaganda & asfaltatura delle menti e, in uno sforzo da considerarsi ormai sovrumano, cercare di eseguire un’analisi, sia pure approssimativa ma condotta in autonomia, di quello che ci viene venduto come sempre per uno sviluppo inevitabile ma che sarà l’artefice di un destino radioso e dalle prospettive incommensurabili.
I mezzi per eseguire quell’analisi li abbiamo tutti e anche se la cultura potrebbe non assisterci, magari perché l’unico libro che abbiamo letto è quello di uso e manutenzione dell’auto o le barzellette di Totti, basta usare la memoria: quante volte, da alcuni decenni a questa parte ci è stata raccontata la stessa storia ma invece di pervenire ai destini magnifici che ci è stato giurato si sarebbero immancabilmente verificati, le cose sono andate sempre peggio, la realtà che ci circonda è divenuta sempre più alienante e noi ci siamo ritrovati sempre più poveri, anche a livello umano?
Poi, se per caso non siamo più in grado di usare neppure quella, vorrà dire che sarà la selezione naturale a fare il suo corso. Come dice la scritta qui sotto, le tue capacità sono insostituibili. A patto di possederne, naturalmente.
Quanti, oggi, possono dire di averne almeno una? E cosa succede se va via la corrente o se i cavi che la trasportano e relative centraline finiscono a mollo?
