L’hi-fi al tempo della crisi

Accompagnati per molto tempo dagli annunci che hanno dato la ripresa per sicura, ma sempre a partire dall’anno venturo, siamo nel decimo anno di una crisi economica giudicata da molti come irreversibile.

Dopo essere andati avanti a lungo con quella farsa, infine è balenato il sospetto che insistendo ancora si sarebbe varcata la soglia del ridicolo, oltre a quella dell’abuso della credulità popolare.

Così, col pretesto dello zero virgola di crescita del PIL dopo che per anni è stato in caduta libera, da qualche tempo le fonti ufficiali proclamano che siamo in piena ripresa. Tralasciando minuziosamente di rilevare che quello zero virgola dopo il segno più lo si è ottenuto soltanto dopo aver inserito nel conteggio del PIL i proventi, di prostituzione, spaccio e malavita.

Un tempo c’erano le tre I del Berlusca, che stavano per Impresa, Inglese e Internet. Invece i governi piddini succedutisi dal 2011 cavalcano le tre P. Quelle di Pizzo, Pere e ‘u Pilu.

Ci siamo talmente abituati alla crisi, che non ci si fa più nemmeno caso. Ormai è una condizione del tutto naturale e non si riesce neppure più a immaginare una possibilità alternativa.

In realtà i suoi primi segni sono arrivati alcuni anni prima del 2008, data in cui se ne fa risalire l’inizio a livello ufficiale, ossia quando hanno iniziato a palesarsi le conseguenze di una moneta dal corso insostenibile.

A chi convenga uno stato di crisi permanente, condizione in cui la disponibilità di denaro va sempre più a rarefarsi, non è difficile capirlo: riducendo la disponibilità di un elemento, è la stessa legge della domanda e dell’offerta ad aumentarne il valore. Le conseguenze sono la concentrazione della ricchezza in un numero di mani sempre minore.

La scarsità di circolante, tanto più esasperata e distruttiva laddove ce n’è sempre stato poco, obbliga chi ne viene colpito a svendere beni reali in cambio del poco denaro, in realtà carta straccia resa sempre più cara da chi ne detiene il controllo, che serve per tirare avanti in qualche modo, nell’assenza accuratamente calcolata di qualsiasi forma di ammortizzatore.

Al peggiorare delle condizioni di vita, fino a livelli impensabili in passato, corrisponde la negazione sistematica delle conseguenze della crisi da parte del sistema di informazione e propaganda, che proprio in occasioni simili accentua il suo martellamento e l’opera di distrazione e anestetizzazione sistematica delle coscienze, al fine di sviare l’attenzione pubblica dalle tematiche non desiderate.

In quel modo si causa uno scollamento progressivo della percezione per la realtà concreta, nella massa dei singoli individui, che sfocia poi in un vero e proprio rifiuto nei suoi confronti.

La foto di apertura è emblematica: ritrae una famigliola pasciuta e sorridente, protesa verso un futuro quantomai roseo, riassunto dagli slogan che proclamano l’inesistenza di un sistema migliore da quello americano, poi imposto a livello planetario, dato che permette lo standard di vita più alto.

Sotto a quel gioioso cartellone, a sottolineare la crudezza dell’altra faccia della realtà propagandata da quegli slogan, c’è una lunga fila di diseredati, nell’attesa di qualche forma di provvidenza atta a rispondere in maniera estemporanea e calcolatamente non risolutiva all’emergenza del momento. Più quale forma di controllo dell’ordine pubblico che non per una reale volontà di condivisione della ricchezza disponibile e di rispetto della dignità individuale.

Salari da terzo mondo per costi della vita occidentali.

Mai come oggi al denaro è stato attribuito tanto valore. Non soltanto in termini economici ma anche sociali e culturali, Per esso si è sempre più disposti a passare sopra e sotto a tutto, mentre gli oggetti che rappresentano un segno della sua disponibilità sono i più ambiti. Chi può se li disputa come se non esistesse un domani, nell’urgenza di dimostrare per quel tramite una sorta di superiorità antropologica. Non a caso, uno tra i capisaldi della dottrina propria dell’attuale liberismo sfrenato sta proprio nel colpevolizzare le sue vittime, fatte precipitare deliberatamente nella voragine dell’impoverimento.

Nella civilissima Europa del ventunesimo secolo ci sono 122 milioni di poveri, stando ai dati Eurostat risalenti al 2015. Quindi oggi, dopo altri due anni di crisi, sono sicuramente di più: non basterebbero due Italie per mettere insieme tanta gente.

Nel 2016 12 milioni di nostri concittadini hanno dovuto rinunciare a curarsi perché non ne avevano la possibilità economica. Altri 10 milioni di persone circa si sono dovute indebitare allo scopo, ricorrendo a prestiti e all’apertura di mutui. Non riuscendo a far fronte agli oneri conseguenti, di esse 1,8 milioni sono precipitate in povertà.

Il totale di queste cifre corrisponde alla realtà del paese in cui più di un quarto della popolazione è a rischio di povertà, mentre la metà delle famiglie fatica ad arrivare a fine mese (dati Oxfam).

Sono questi i risultati dell’assolutismo capitalista che, una volta neutralizzati i concorrenti ideologici e politici, ha infine mostrato la sua vera faccia. Mascherato da democrazia, pretende di giustificare sé stesso sventolando con orgoglio la sua modernità, che produce regressione nel modo più rapido verso una società di stampo Dickensiano, o per meglio dire neo-feudale.

Proprio la velocità è un elemento sul quale chi pilota questa tendenza conta primariamente, affinché il corpo della società non si accorga pienamente di quanto accade, e di conseguenza non possa reagire con tempestività sufficiente. Ritrovandosi alfine con una realtà ormai ben radicata, quindi più difficile da rimuovere, e senza nemmeno comprendere come sia potuto accadere.

Oggi ci troviamo immersi nella crisi economica più lunga della storia moderna, che ha superato per durata e conseguenze persino quella un tempo proverbiale del 1929. Siccome l’esposizione prolungata a qualsiasi fenomeno causa assuefazione, più nessuno trova da ridire se per salvare le banche i 20 miliardi necessari sono saltati fuori all’istante, mentre per dare la parvenza di un ricovero al 10% dei terremotati che ne avrebbero bisogno si ricorre a una riffa indegna, non sapendo come distribuire le quattro baracchette che si è deciso di acquistare. Innescando una guerra fra poveri di quelle che piacciono tanto alle élite, quando di fronte a simili enormità dovrebbe scoppiare una rivolta.

Tutto questo trova ulteriore addentellato in un altro tra gli elementi suggeriti dalla foto di apertura. Riguarda l’assoluta noncuranza della propaganda, che ha per scopo la manipolazione del pensiero e dell’immaginario comune, nei confronti di qualsiasi forma di paradosso, non importa quanto stridente, come quello costituito dall’immagine del cartellone nei confronti della realtà materializzata dinnanzi ad esso. Tende anzi a cancellare quella parola dal vocabolario, quindi a negare la possibilità di formulare qualsiasi pensiero al riguardo, da cui l’impossibilità di riconoscerne uno, qualora ci si trovi al suo cospetto.

 

Monaco Hi-Fi

Forse è per questo, allora, che nessuno o quasi trova da ridire sulle foto circolate in rete dell’ultima kermesse bavarese e sulla realtà delirante che hanno illustrato. Da esse si ricava l’impressione che un gran numero delle apparecchiature esposte non fosse neppure più destinata ai nababbi, ma proprio agli oligarchi.

E’ vero che chi non vive certe realtà tende a sottovalutare il numero dei potenziali acquirenti di oggetti simili, oltre al loro potere d’acquisto smisurato. Tuttavia è inevitabile chiedersi se a fronte di un’offerta tanto ampia vi sia davvero una ricettività potenziale, oppure se chi appronta roba simile abbia deciso di partecipare a una “Ruota della fortuna” del tutto demenziale: se il colpo va bene è sufficiente vendere un solo impianto per sistemarsi per tutta la vita. Dovesse andar male, almeno ci si sarà provato.

Se sono queste le prospettive attuali del comparto riguardante la riproduzione sonora amatoriale, mi convinco sempre più che invece di audiofilia si debba parlare di audiofollia.

Credo sia necessario opporre un netto rifiuto nei confronti di tendenze simili, efficaci soprattutto per dimostrare come le crisi economiche e la conseguente rarefazione del circolante producano esiti fortemente distruttivi a livello etico, sociale e concettuale. Per non parlare della limitatezza e della vera e propria assurdità delle prospettive che in condizioni simili si finisce col darsi.

Con presupposti del genere non è che mi sia appassionato più di tanto per gli esiti della mostra. Tuttavia non ho colto una sola voce commentare nel modo che merita un simile sprezzo della realtà vissuta dal 99,9% delle persone.

Men che mai da parte del “Coro Degli Entusiasti A Prescindere”, che d’altronde stanno li per avallare e incensare qualsiasi cosa, anche la più inverosimile. Inutile rilevare che da parte dei cosiddetti appassionati è arrivata la consueta pioggia di “mi piace”, tale da chiedersi quale sia il vero oggetto della loro passione: la possibilità concreta di una riproduzione qualitativamente inappuntabile di musica o l’adorazione di feticci secondo una sorta di istinto para-religioso?

Un’altra domanda, se vogliamo ancora più scontata, riguarda i contenuti tecnici e musicali di apparecchiature del genere, e come riescano a giustificare in qualche modo i loro costi.

Posizione se vogliamo un po’ naive, dato che a quel livello la qualità sonora e l’eccellenza di circuiti e componentistica contano meno di zero. Quello che importa davvero è che siano efficaci nel mettere sotto la luce più fulgida lo status sociale dei loro proprietari. Figurarsi se gente intenta a impoverire milioni di propri simili, per accumulare altro denaro oltre a quello che già non sa come spendere, possa avere la sensibilità per riconoscere un violino, un sax o un pianoforte davvero ben riprodotti rispetto a qualcosa di più vicino al rumore di una motosega.

Di conseguenza oggi si ragiona in maniera neppure più distorta, ma capovolta, proprio in base alle condizioni che stiamo vivendo. Ecco allora che di un’apparecchiatura destinata alla riproduzione audio il valore effettivo, che dovrebbe essere rappresentato dall’eccellenza riguardo allo scopo cui è destinata, è ritenuto trascurabile. L’importante è soltanto il suo valore economico.

A questo proposito credo sia indicativa la diatriba in cui mi sono imbattuto qualche giorno fa tra due appassionati. Uno chiedeva lumi sull’opportunità di sostituire il suo pre con un altro, rinomato e di prezzo parecchio maggiore. Qualcuno gli ha risposto rilevando la sonorità impeccabile del modello che possiede, anche se poi commercialmente il suo valore potrebbe essere molto basso. Quindi, invece di rivenderlo per comperare qualcosa che non è detto valga la differenza di spesa, forse sarebbe meglio sottoporlo a un intervento atto a migliorare ulteriormente le sue doti.

Risposta condivisibile dal punto di vista tecnico e musicale, ma soprattutto indicativa della capacità di ragionare tenendo i piedi ben piantati a terra.

Invece il possessore di quel preamplificatore si è offeso a morte, per poi aggiungere che chi dà risposte simili non merita la benché minima considerazione.

Morale, oltre al fiero rifiuto della realtà di cui abbiamo appena parlato, oggi un’apparecchiatura audio può suonare benissimo o fare letteralmente schifo, non ha importanza alcuna. Per il suo possessore conta soltanto la quantità di denaro che ne può ricavare vendendola. E guai a chiunque si azzardi a metterne in discussione il potenziale commerciale. Non so davvero se questa si posa considerare ancora passione per la riproduzione sonora.

Se lo è, riguardo alla consapevolezza delle persone che la condividono, è precipitata in un baratro dal quale non riesco a immaginare come possa risollevarsi.

In ogni caso l’accaduto rappresenta l’esempio ulteriore delle conseguenze insite nell’attribuire al denaro l’unico valore degno di considerazione.

 

Prospettive di miglioramento nella situazione attuale

Mi si tacci pure di essere un retrogrado passatista, incapace di stare al passo coi tempi, ma per conto mio il valore di un’apparecchiatura destinata alla riproduzione sonora non è data dal suo costo, dalla rivendibilità, dall’estetica più o meno tirata a lucido o dalla capacità di simboleggiare nel modo più eloquente le capacità di spesa di chi la possiede.

Sta invece nelle sue doti sonore e ancor più in un elemento non altrettanto tangibile che però è il più importante di tutti. E’ dato dalle potenzialità che potrà esprimere una volta messa nelle condizioni indicate allo scopo. Sia pure se sono difficilmente calcolabili a priori, ma possono essere verificate solo dopo un intervento che permetta di concretizzarle.

A questo proposito, l’esperienza che ho potuto fare nel mio piccolo suggerisce un paio di cose, entrambe molto interessanti.
La prima è che se si interviene in un certo modo, ossia con un minimo di accortezza, i risultati che si ottengono vanno regolarmente oltre le più rosee aspettative. La seconda è che interventi del genere hanno costi pari a una frazione di quelli che sarebbe necessario affrontare qualora si volessero ottenere risultati simili coi sistemi canonici, ossia mediante il passaggio da un’apparecchiatura a un’altra.

Inutile girare intorno alle questioni: la crisi economica ha tolto a molti gran parte delle possibilità di spesa. In particolare per quelli che vengono definiti generi voluttuari, tra cui rientrano anche le apparecchiature hi-fi. Quindi è stato giocoforza diradare, o addirittura soprassedere, ai cambi di componenti sui quali era imperniata la crescita dell’impianto. Questo significa rinunciare al miglioramento delle condizioni in cui ascoltiamo la nostra musica preferita?

Non proprio, anzi quasi per nulla: facendo le scelte opportune si può continuare tranquillamente a migliorare l’impianto. Tuttavia nel momento in cui i cambi a ripetizione sono divenuti se non impossibili quantomeno poco raccomandabili, proprio per i costi sempre più elevati connessi a operazioni siffatte, peraltro a fronte di contenuti tecnici e sonori via via meno in grado di giustificare le cifre richieste, occorre orientarsi verso un percorso di crescita diverso. Per quanto sia meno dispendioso, ha ottime probabilità di rivelarsi più proficuo rispetto a quello cui eravamo abituati.

 

Una nuova mentalità

Per ottenere prestazioni più elevate da un qualsiasi sistema, in genere si effettua la sostituzione di uno o più componenti che di esso fanno parte.

Questo procedimento, in campo audio, ha dimostrato storicamente di essere in gran parte inadeguato, tranne forse per quel che riguarda la vanità e il piacere del cambiare fine a sé stesso. Non a caso proprio li cercano di colpire le apparecchiature del giorno d’oggi, che hanno nella cosmetica l’elemento calibrato con la cura di gran lunga maggiore e anche la voce di spesa più consistente.

Ciò ha prodotto risultati evidenti per chiunque abbia intenzione di osservarli, ossia quella che a tutti gli effetti è la sindrome numero 1 degli appassionati di riproduzione sonora: l’eterna insoddisfazione e peggio il rimpianto per qualcosa che a suo tempo si è rivenduto e solo in seguito si è capito che non lo si sarebbe dovuto fare. Ma a quel punto era troppo tardi.

Quali sono i motivi di tali sentimenti?

Quello primario, tranne rarissime eccezioni, è il permanere degli stessi problemi di fondo, non importa cosa si comperi e che cifra si spenda. Magari possono cambiare le sembianze con cui si palesano, ma la sostanza non cambia. Sonorità innaturali, poco realistiche, anche se spesso spettacolari, ma soprattutto chiuse oppure strillate. Non di rado si riesce persino ad avere le due cose insieme, per non parlare della vera e propria incapacità di confrontarsi con alcune tipologie di strumenti.

Caso tipico, gli ottoni.

Facciamoci caso: imbattersi nella dimostrazione di un impianto con musica eseguita da quella famiglia di strumenti, soprattutto quando ce ne sono molti insieme, è in pratica impossibile.

Si tratterà di una coincidenza? Poco probabile. Chi esegue tali dimostrazioni sa benissimo che è meglio evitare i segnali in grado di mettere nell’evidenza migliore i limiti del prodotto che si cerca di vendere. Se per caso un impianto riesce in qualche modo a passare indenne da quel campo minato, finisce quasi invariabilmente col mostrare carenze di vitalità inaccettabili nella riproduzione di registrazioni di altro genere.

A nulla vale salire col prezzo dell’impianto. Spesso, anzi, si ha l’impressione che più il suo costo è elevato e più i problemi ingigantiscano, invece di ridursi. Elemento che sarà analizzato presto in un articolo dedicato all’argomento.

Il perché di questo stato di cose è presto detto: si  vanno a cercare i problemi laddove non risiedono. Pretendendo di risolverli, oltretutto, mediante strumenti che sono i più costosi ma non hanno la possibilità di farlo. Un po’ perché le loro limitazioni sono sempre le stesse, e poi proprio perché i problemi che si vorrebbero risolvere originano altrove.

Nel momento in cui si prende atti di questa realtà e delle sue contraddizioni, si inizia a capire che la soluzione non può essere rappresentata dal cambio delle apparecchiature.

Occorre invece cambiare mentalità.

Quella con cui si esegue l’approccio al problema riguardante il miglioramento delle doti sonore dell’impianto.

Un Copland 266 dotato di nuovi condensatori di uscita.

L’approccio mirante a porre ciò di cui si dispone nelle condizioni di esprimere il meglio delle sue potenzialità, è quello tipico della scuola inglese, non solo in campo audio, e spesso ha dimostrato di essere più economico e più efficace.

Rivolgendo la nostra attenzione al settore della riproduzione sonora, sappiamo che la sostituzione di un amplificatore, una coppia di diffusori eccetera comporta spesso il superare i limiti propri di quel che si aveva in precedenza, ma con il contrappasso dato dal frequente comparire di problemi nuovi, prima inesistenti.

Questo è tipico del nostro settore e un altro dei motivi per cui gli appassionati non riescono mai ad arrivare a un appagamento che sia davvero tale. Anzi, continuano sovente a cambiare apparecchiature a ripetizione, restando sempre alquanto delusi e, come abbiamo già rilevato, finendo con il rimpiangere il tale amplificatore, lettore o diffusore, a suo tempo venduto sperando di fare il fatidico salto di qualità.

Che puntualmente non si è verificato.

Proprio perché si cerca di risolvere i problemi laddove non risiedono.

A questo proposito va tenuto presente che se riconoscere l’esistenza di un difetto può non essere così difficile, ben altro è capire quale sia il vero responsabile, tantopiù nella grande complessità dei fenomeni che si verificano all’interno di una catena di riproduzione audio.

Questo accade anche a persone di grande esperienza. Anzi, più se ne accumula e più ci si rende conto, se si è in grado di trarne un insegnamento, e magari per combinazione, che quasi mai i problemi hanno origine laddove si crede. Ovvero, un certo difetto che si imputava ai diffusori, si scopre che invece era dato dalla sorgente o dall’amplificatore.

Ciò non toglie che cambiando diffusori si possa ottenere il mitigarsi di un dato difetto, proprio per il gioco complesso delle relazioni tra le diverse apparecchiature, il loro comportamento e i fenomeni che intervengono nella loro funzionalità. In quel caso non avremo risolto il problema, ma solo introdotto un palliativo o più probabilmente un errore di segno contrario al precedente, che per forza di cose si trascina a sua volta in altri aspetti non del tutto proficui o prevedibili, dei quali magari ci si può accorgere solo a distanza di tempo, poco o tanto che sia.

Risultato, il trovarsi di nuovo punto e daccapo. Tra l’altro questo è uno dei motivi del disamoramento di tanti appassionati, i quali non riuscendo a risolvere i problemi, proprio a causa delle difficoltà conseguenti all’approccio errato nell’affrontarli, un bel giorno si stancano e vendono baracca e burattini. Salvo poi, tempo dopo, ricominciare daccapo. Finendo però con il percorrere ancora una volta la stessa strada, anche perché è difficile trovare una fonte che ne suggerisca una diversa dal cambia-cambia.

Un’altra tipologia di motivazioni riguarda le apparecchiature diciamo così commerciali, ovvero quelle realizzate dai marchi che si dedicano alla produzione in serie più o meno grande.

Qui arriviamo al punto: come rilevato più volte in questa sede, la produzione di serie è caratterizzata da limitazioni di fondo che si ritrovano un po’ a tutti i livelli di prezzo, al di là della genialità e dell’apertura mentale più o meno evidente dei progettisti. Che spesso finisce con l’essere mortificata dagli uffici marketing.

Tali limitazioni derivano quasi sempre da questioni di logica industriale, che ha come primo obiettivo il comprimere per quanto possibile i costi di produzione, scelta necessaria in un sistema basato esclusivamente sul profitto. Non importa quanto possano suonare bene o essere meritevoli le apparecchiature di un dato costruttore: se da esse non ricava un guadagno sufficiente a tenere in piedi la baracca, prima o poi sarà costretto ad abbassare la saracinesca. Sovente dopo aver rimesso quantità di denaro cospicue.

Va rilevato inoltre che al giorno d’oggi dire qualcosa di nuovo a livello circuitale è difficile e quindi il rinnovamento si limita spesso alla veste estetica delle apparecchiature che si sostituiscono nei listini dei diversi costruttori, o tuttalpiù su variazioni di dettaglio.
Di qui un altro elemento per l’importanza prioritaria attribuita alla cosmetica, tranello nel quale cadono volontariamente molti appassionati. Non di rado si rivela molto più costosa da affinare rispetto agli elementi che contribuiscono in maniera più diretta al miglioramento delle doti sonore.

A questo proposito andrebbe tenuto a mente che qualsiasi spesa effettuata a favore dell’estetica va per forza di cose a sottrarre risorse alle modalità realizzative e di conseguenza alle doti sonore.

Dunque una veste particolarmente raffinata può essere anche molto gradevole, ma dal punto di vista dell’appassionato interessato soprattutto alla qualità sonora è da guardare con sospetto. Proprio perché i suoi costi, generalmente elevati, avrebbero potuto essere destinati a elementi più efficaci per il miglioramento delle sensazioni d’ascolto.

Il Phase Linear 4000, tipico preamplificatore di classe elevata dei primi anni 70, letteralmente infarcito di controlli dall’utilità dubbia.

In linea di principio, allora, la cosmetica ha una funzione non dissimile da quella delle miriadi di controlli presenti sul frontale delle apparecchiature degli anni 70. Li per li se ne venne affascinati e proprio l’ampiezza della loro disponibilità costituì uno tra i motivi primari di scelta. In breve però si comprese non solo che erano dannosi ai fini della qualità sonora, ma anche che erano quasi sempre le apparecchiature dalle doti più scarse a farne l’uso maggiore. Proprio per nascondere in qualche modo le loro manchevolezze in termini di qualità sonora, che senza di essi risultava sostanzialmente povera. Viceversa quelle davvero valide non avevano bisogno di nulla e suonavano bene al naturale.

La sola differenza è che oggi sembra molto più complicato comprendere cose di tale semplicità. E forse anche che l’obiettivo primario dell’appassionato medio non sta più nell’eccellenza delle doti di riproduzione ma risiede altrove. Ecco perché la questione della cosmetica e la sua tendenza al predominio assoluto va avanti ormai da oltre due decenni, senza che se ne veda la soluzione.

E’ evidente allora che in condizioni come quelle attuali, in cui l’elemento primario di diversificazione non è dato più dalle doti sonore ma dall’estetica e dalla ricchezza dei suoi ingredienti, fare dei veri passi avanti non sia difficile ma proprio proibitivo.

Per vero passo avanti va inteso qualcosa che non sia soltanto un diverso equilibrio timbrico, o un’esasperata spettacolarizzazione del segnale riprodotto, ma qualcosa che incida effettivamente sulla qualità della riproduzione, il che è ben diverso.

Certo, se un impianto è fortemente squilibrato a favore della gamma bassa, una scelta che produca sonorità più asciutte darà l’impressione di aver permesso un miglioramento anche molto consistente.

Qui però stiamo parlando di altre cose e soprattutto di altri livelli: la timbrica è solo l’elemento di base, o meglio terra-terra del complessivo prestazionale di un impianto audio: dato un livello qualitativo sotto al quale non ha molto senso interessarsi, modificarla in un senso o nell’altro rappresenta soltanto uno spostamento laterale.

Ovvio che poi andando a conseguire miglioramenti più sostanziali ne benefici anch’essa e non di poco. Si tratta comunque di un aspetto accessorio, conseguente appunto a incrementi qualitativi che vanno a incidere più in profondità nel modo di funzionare delle apparecchiature e dei diffusori.

 

Possibilità di intervento

In merito alle elettroniche, anche interventi se vogliamo marginali possono permettere salti in avanti considerevoli, proprio perché sottolineiamo ancora una volta che l’industria non ricerca il meglio delle prestazioni ma il massimo risparmio.

Lo stadio di uscita di un lettore SACD Cayin con nuovi condensatori di uscita.

A questo proposito va rilevato che l’impiego di un componente più costoso, che sul singolo esemplare posseduto dal privato ha un’incidenza irrilevante, una volta riportato al numero di esemplari della produzione di serie, e caricato dal moltiplicatore che dal puro costo di produzione va a costituire il prezzo di vendita al pubblico, finisce con l’essere inattuabile.

Questa purtroppo è la logica del mercato e volenti o nolenti dobbiamo accettarla per quello che è. Salvo poi saper adottare i correttivi opportuni, che possono migliorare fortemente le caratteristiche sonore di una qualsiasi apparecchiatura.

Queste sono cose che non si trovano nelle riviste, per motivi evidenti, e tantomeno sui forum o sui social, nei quali non solo sembra regnare la qualunque. Possono essere frequentati, o peggio pilotati, da persone i cui interessi sono i più vari e non proprio nella stessa direzione di quelli tipici dell’appassionato.

Per tutti questi motivi e per numerosi altri che tralascio per motivi di sintesi e leggibilità, la ricerca dell’innalzamento per le prestazioni dell’impianto migliorando quanto si possiede, può essere non solo la via meno costosa, ma anche la più efficace.

Crossover ottimizzato e cablaggio interno sostituito per una coppia di B&W 804 Matrix.

Per il suo tramite, inoltre, è possibile aumentare la consapevolezza dei fenomeni che hanno luogo nel complesso della riproduzione sonora, proprio perché si segue passo passo l’evoluzione dell’oggetto che si ha intenzione di migliorare e, se si agisce con criterio, ci si può rendere conto di come singoli accorgimenti influiscano sul suo rendimento.

L’esperienza così accumulata non ha alcun tipo di riscontro con quella realizzabile a forza di cambiare una scatola dopo l’altra, con la sola forza del portafoglio, o di leggere i superlativi e le locuzioni roboanti di cui la pubblicistica di settore fa uno spreco in perenne aumento.

In quell’ambito di crisi non si parla proprio: la fantasia dei redattori nel trovare le forme più suadenti per il pubblico degli appassionati sembra non avere limiti e di questo va loro riconosciuto. Per quanto necessarie, quando oltrepassano una data soglia le capacità di spesa finiscono a volte con il rivelarsi deleterie. Proprio perché la consapevolezza di poter fare ricorso ad esse ogniqualvolta lo si desideri produce una sensazione di onnipotenza. Che non solo resta ben lungi dal materializzarsi, ma fa credere di poter ottenere i risultati migliori proprio in forza di una disponibilità economica ragguardevole. Esponendo però alle maggiori probabilità di andare incontro a delusioni, per motivi evidenti.

Viceversa quando si ha poco o nulla da spendere, ma si desidera ugualmente migliorare il proprio impianto, occorre spremersi le meningi alla ricerca di possibili miglioramenti a costo zero, spesso andando a intervenire su elementi trascurati da chi è convinto si possa andare avanti solo a forza di quattrini, seguendo quel che la pubblicistica di settore suggerisce in maniera per nulla disinteressata.

Poi magari quando si ha qualche soldo a disposizione si compera il tal componente o il talaltro, accorgendosi che tante volte con un intervento ben mirato su quel che si possiede si ottengono risultati più appaganti rispetto al cambio tra un’apparecchiatura e l’altra. Queste magari possono avere un costo anche molto diverso ma utilizzano sempre condensatori di uscita, per fare un esempio, grosso modo equivalenti. Con una cinquantina di euro, invece, se ne possono comperare di migliori, e quando li si monta, sorpresa! Si ha un ascolto più godibile, per diversi aspetti non ottenibile con un modello di prezzo più elevato. Proprio perché i componenti che utilizza restano sempre nell’ambito della mediocrità. Che per quanto aurea, tale rimane.

Crossover di un diffusore a due vie di classe elevata. Malgrado il suo costo, in origine faceva ricorso a componenti di qualità migliorabile. Il montaggio volante dei componenti può apparire disordinato, evita però il ricorso a stampati più belli a vedersi ma dall’influsso deleterio per la qualità del segnale. Oltre ai condensatori è stata sostituita anche la resistenza in serie alla via superiore, con benefici ben percettibili nei confronti dei tradizionali componenti ceramici.

Lo stesso vale per i diffusori. Condensatori a parte, che sono fondamentali, magari sul tweeter o sul midrange c’è una resistenza in serie, per attenuarne il livello. Quelle utilizzate dai costruttori su larga scala sono quasi sempre le comuni ceramiche. Basta magari sostituirla con una più raffinata, dal costo di pochi euro, e ci si accorge del suo influsso positivo sull’emissione, che acquisisce non solo in nitidezza e precisione, ma un po’ a 360 gradi.

Sotto questo profilo ritengo sia il caso di rilevare come, per una somma di motivazioni, andando a intervenire sulla cella del tweeter ci ritrovi anche con una gamma bassa migliorata e viceversa. Da un lato perché i componenti sostituiti fanno parte di un circuito, e quindi si influenzano l’uno con l’altro, dall’altro perché le modalità con cui gli armonici di un dato segnale sono riprodotti hanno un influsso considerevole sulla sua percezione.

Anche comperando una cassa più costosa, la resistenza utilizzata ha ottime probabilità di essere sempre quella ceramica. Quindi il problema di fondo rimane, e anzi si acutizza, contrariamente alle aspettative, dato che più l’altoparlante che la segue è costoso e di qualità, e più è in grado di mettere in luce i problemi di quanto si trova a monte. Viceversa, intervenendo direttamente alla fonte di uno dei mille problemi legati alla riproduzione sonora, si ottiene di eliminarlo alla radice, oltretutto con una spesa irrisoria.

Quando si mettono insieme diversi di questi interventi, sostanzialmente elementari, succede che ci si ritrova con una sonorità radicalmente migliorata, proprio perché si acquista un 5% da una parte, un 3 dall’altra e così via. Quando si va a sommare il tutto, si hanno risultati che non è facile ottenere con il cambio di apparecchiature, per quanto continuo e costoso. Proprio perché se le estetiche cambiano, le scelte di fondo restano quasi sempre le stesse.

Un altro elemento fondamentale è quello che riguarda i cavi, ai quali sarà dedicato presto lo spazio che meritano.

Lo stesso vale per la cura dell’installazione.

 

Nel dettaglio

I punti sui quali è possibile intervenire sono numerosi e, se lo si fa con coscienza, non causano pregiudizio alcuno per l’affidabilità dell’apparecchiatura, che anzi ne viene spesso migliorata.

Da una parte perché i componenti interni, soprattutto delle elettroniche, hanno una vita di lunghezza ben definita e, date le economie di scala tipiche della produzione di serie, non sempre o meglio quasi mai si adottano quelle più longeve ed efficaci. Quindi nel caso di un’apparecchiatura che abbia già qualche anno sulle spalle, sostituendo alcuni dei componenti interni si ottiene di allungare la sua vita utile, oltre a migliorarne le doti sonore.

In pratica non esiste apparecchiatura che non possa essere migliorata. Non perché chi fa certi lavori è più bravo del blasonatissimo marchio tal dei tali, come si vede sostenere da parte dei saputelli che in rete e altrove non mancano mai.

Il motivo è un altro. Così facendo si va finalmente a rendere giustizia al lavoro di progettisti che quasi sempre sanno il fatto loro, a suo tempo mortificato da uffici marketing che il discorso della somma delle percentuali lo applicano al risparmio ottenibile mediante la scelta di componenti più economici. Allora si limano 10 centesimi qui e 20 di là, ritrovandosi infine con apparecchiature che hanno perduto buona parte del loro smalto, se non tutto.

Quindi, nel caso di interventi del genere non è corretto parlare di modifica, quanto di ottimizzazione. Proprio perché non si vanno a toccare le scelte di progetto, relative a topologie circuitali o ai valori della componentistica, ma solo a migliorarne la qualità complessiva.

Come ho già detto, ma è opportuno ripeterlo, operando con competenza e soprattutto cercando di non scimmiottare gli errori altrui, si ottengono risultati che vanno regolarmente oltre le aspettative più rosee.

Altrettanto importante è il senso della misura, quello che per ogni apparecchiatura va a suggerire gli interventi più appropriati. In base alle sue modalità realizzative, agli spazi disponibili e così via. Alcune di esse, allora, proprio perché lasciano un margine di manovra maggiore sono più indicate di altre. Su tutte, in ogni caso, si può fare qualcosa che ne migliori in maniera evidente la qualità sonora e quindi il piacere d’ascolto.

Sulle elettroniche il ritorno maggiore di solito lo si ha lavorando sulle alimentazioni: fornire alle circuiterie di segnale un’energia più pulita, e meno soggetta alle conseguenze delle scelte al risparmio tipiche dell’industria, permette miglioramenti sostanziali.

L’alimentazione di un lettore Sony completamente ricostruita, intervento consentito dallo spazio disponibile. Solo il trasformatore è rimasto quello di serie. Insieme a un intervento di dettaglio per lo stadio di uscita ha permesso un miglioramento radicale per le doti sonore, che ha messo una macchina di prezzo contenuto nelle condizioni di rivaleggiare e imporsi su esemplari di ben altro rilievo.

Sui diffusori invece si agisce su crossover, cablaggio interno e altri particolari, colli di bottiglia parecchio critici ma perennemente trascurati a favore degli elementi di maggior attrattiva per il compratore potenziale.

Arrivati a questo punto voglio sottolineare ancora che c’è modo e modo di eseguire determinati interventi. Dal mio punto di vista l’unico realmente valido è quello eseguito nel rispetto rigoroso delle scelte del progettista, che se sono state fatte in genere c’è un buon motivo. Fermo restando che le limitazioni imposte in base alle solite questioni di profittabilità possono causare scadimenti qualitativi di un livello consistente. Soprattutto nel momento in cui si decide che il rimanere all’interno di una soglia ben precisa riguardo ai costi di produzione ha un’importanza maggiore rispetto alle prestazioni ottenibili da un determinato prodotto, il che purtroppo avviene di frequente, se non nel 100% dei casi.

Dunque, il liberare le potenzialità di un’apparecchiatura cui sono state tarpate le ali per le solite questioni economiche, può condurre non solo a un livello di prestazioni impensato, ma anche a issare apparecchiature di costo abbordabile a livello di esemplari ben più costosi e persino di sopravanzarli. Proprio perché in un modo o nell’altro la produzione di serie, al di là della classe in cui va a inserirsi una determinata apparecchiatura, deve sottostare a precisi compromessi.

Avviene allora, a livello di scelta dei componenti, che le soluzioni potenzialmente più efficaci non siano neppure prese in considerazione, proprio perché causerebbero un innalzamento dei costi inaccettabile per la grande e media industria. Riportate invece nell’ottica dell’ottimizzazione di un singolo esemplare, possono rivelarsi molto convenienti.

Ecco perché, con una spesa tutto sommato contenuta, si possono ottenere risultati che eguagliano o addirittura superano quelli di esemplari che per essere acquistati imporrebbero l’impegno di ben altre cifre.

Se vogliamo, quello fatto fin qui è lo stesso discorso che teneva banco negli anni ’60 tra i possessori delle 600 Abarth, che erano quasi sempre 850 TC o persino 1000, e quelli delle Alfa GT. Sulla carta, e soprattutto in base ai prezzi di listino, alla potenza e all’aspetto, il paragone sarebbe apparso improponibile.

“La bellissima e signorile Alfa GT di Giugiaro contro la sgraziata e popolare 600, oltretutto con modifiche da tamarri, vogliamo scherzare?”

In realtà, quando si andava a ingaggiare un confronto su strada, la seconda risultava perdente, tranne che su rettilinei di chilometri. Non di rado, nel tentativo di reggere il confronto, il loro guidatore finiva contro un albero o in un fosso. A dimostrare ancora una volta che un conto è la teoria dei dati su carta e ben altro è la realtà concreta, dove l’equilibrio del complessivo prestazionale vale ben di più dei singoli picchi. Ai quali oltretutto, per tornare al nostro settore, si affiancano spesso carenze sostanziali nei punti critici del progetto.

Chiudiamo il discorso prendendo in considerazione l’errore prospettico parecchio diffuso quando si parla di cose simili.

Nel momento in cui ci si propone di eseguire determinati interventi non è da tenere in considerazione il valore di partenza dell’apparecchiatura che si vuole ottimizzare, ma il costo di un’apparecchiatura dalle prestazioni confrontabili con quelle che si andranno a ottenere.

L’intervento su un Graaf GM 20 che ha riguardato tutti gli elettrolitici e i condensatori in polipropilene da cui è equipaggiato.

Naturalmente questo discorso è valido se quello che interessa davvero sono le qualità audio. Se invece l’attrattiva maggiore risiede nella voglia di cambiare apparecchiatura tanto per, nello sfoggiare il modello superlusso con radiosi vu meter grandi come televisori, o anche arrivare finalmente a possedere l’oggetto di quel certo marchio per il suo blasone, per il prestigio che comporta o per far morire d’invidia gli amici, il discorso cambia.

Fondamentale è tenere presente ancora una volta che quando si parla di ottimizzazioni la differenza rispetto a modifiche vere e proprie è fondamentale, dato che non si va mai a stravolgere la realizzazione dell’apparecchiatura che si sottopone a tale procedimento ma la si lascia sostanzialmente inalterata, lavorando per così dire di cesello, migliorando gli elementi più critici per le doti sonore.

Dunque, con una procedura di ottimizzazione mirata e ben eseguita si possono ottenere risultati di portata maggiore rispetto alla sostituzione delle apparecchiature che si possiedono e a costi di gran lunga minori. Senza andare incontro a brutte sorprese, come quelle in cui ci si imbatte spesso nel passare da un oggetto a un altro, ma anzi potendo continuare a godere delle doti che si apprezzavano maggiormente dell’oggetto posseduto, trasposte però su un livello qualitativo neppure paragonabile e liberate da gran parte dei difetti che ad esse si accompagnavano.

Proprio quello che ci vuole, insomma, per una hi-fi sempre più godibile, sia pure in tempi di crisi e di tasche vuote come quelli attuali.

19 thoughts on “L’hi-fi al tempo della crisi

    1. Grazie dell’apprezzamento, Sandro.
      Spero che anche gli altri articoli pubblicati riscuotano il tuo interesse.

  1. Buon giorno, desidero confrontarmi con un argomento che mi ha visto pensarla in modo antitetici ai più.
    Ero ad una fiera dell audio dove si voleva dimostrare che una esecuzione dal vivo di una batteria fosse assai diversa dalla sua registrazione effettuata senza ritocchi. Mi é sembrata una idiozia perché sono due cose non confrontabili per via della loro natura diversa.la batteria senza amplificazione con una registrazione che é un segnale elettrico. Avrebbe avuto senso se la batteria fosse stata amplificata quindi trasformata in segnale elettrico per essere registrata e riprodotta nella stessa natura. Ovvio che la prova fosse riuscita a dimostrare le diversità.

    1. La storia della riproduzione sonora amatoriale riporta numerosi esempi simili a quelli descritti. Già negli anni 50 Wharfedale eseguiva di fronte al pubblico i suoi confronti dimostrativi “Live vs. Recorded”, con esiti che allora erano giudicati come stupefacenti. Nella fattispecie, la batteria è uno strumento capace di creare pressioni sonore molto sostenute, dal tipico andamento impulsivo. In condizioni come quelle in cui si è svolto quel confronto, al chiuso di un ambiente d’albergo, di amplicicarla non ce n’era alcun bisogno, e con ogni probabilità ne avrebbe snaturato in buona misura le sonorità. Tra tutte le possibilità di confronto, in quell’occasione è stata scelta la più complesa, proprio perché per sua natura la batteria è forse lo strumento più difficile in assoluto da riprodurre mediante apparecchiature pensate per l’uso domestico, non solo per questioni di dinamica. D’altro canto è la natura stessa del segnale riprodotto a essere diversa da quella della musica eseguita, quantomeno se con strumenti acustici. La musica dal vivo non è soltanto concerti rock più o meno iperamplificati, ma c’è molto altro. Se vogliamo, anzi, essa ne è solo una deformazione le cui origini non hanno nulla a che vedere con gli aspetti artistici e creativi su cui si fonda l’espressione musicale. In ogni caso la riproduzione sonora attuale non può prescindere dalla trasformazione delle onde in segnale elettrico, diversamente da quel che avviene per la musica eseguita dal vivo. Sono proprio cose diverse, le cui prerogative di fondo non possono essere aggirate.

  2. lei e una persona cortese e competente mi scuso per i toni da me usati forse un po duri.

    ho 56 anni e appasionato di musica e poi di sistemi per riprodurla, ho vissuto tutto il periodo dal mangiacassette alle fiere hi end ma allineato sempre a coerenze fra prezzi e reali benefici che a volte mi indispongono. ringrazio per le risposte illuminanti

    1. Ciao Alfredo, dato che siamo tra appassionati se sei d’accordo diamoci del tu.
      Non hai motivo alcuno di scusarti, dato che i tuoi toni hanno mostrato disappunto e convinzione nelle tue idee ma non mi sono sembrati assolutamente duri.
      Dai tempi che furono agli attuali sono cambiate molte cose. Tra le più importanti i volumi di vendita di ogni singolo modello, di amplificatore, diffusore e così via, sul quale si stabiliscono i margini che è necessario applicare. Se su mille esemplari può bastare una percentuale ridotta del prezzo al pubblico, vendendone solo cento deve essere ben più rilevante se si vuol continuare ad alzare la saracinesca ogni mattina.
      Questo comporta non solo un aumento dei prezzi, ma anche una maggiore ricerca per il contenimento delle spese, coi risultati che è facile immaginare. Moltiplicati nei loro effetti dall’agire sempre più esasperato sulla leva dell’estetica, che a sua volta assorbe una parte sempre più rilevante delle risorse disponibili.
      Tutto questo porta a una realtà che spesso sembra inverosimile, come hai rilevato giustamente.
      D’altronde gli occhioni blu continuano a tirare forte come sempre, a dispetto di costi poco o nulla proporzionati al ritorno che possono offrire, mentre altri marchi dalla politica più generosa nei confronti degli elementi legati a una fruizione soddisfacente hanno chiuso i battenti ormai da anni.
      Sono anche questi gli effetti dell’aver attribuito tutta l’importanza all’economia e al denaro, di fronte ai quali anche gli scopi primari di un qualsiasi oggetto, comprese le apparecchiature audio, perdono significato a favore del concludere l’affare, della rivendibilità e di cose che che con il bel suono hanno poco o nulla a che fare. Oggi è così: il nocciolo delle cose viene sempre più trascurato, a favore delle questioni collaterali, o meglio secondarie.
      Detta sinceramente, cosa me ne frega di poter rivendere il mio amplificatore dopo qualche anno di utilizzo a 3 o 400 euro in più e con maggiore facilità, se a questo devo sacrificare il piacere che ricavo dal suo ascolto, oltretutto tanto a lungo?
      Domanda cui è difficile dare una risposta e infatti a chiunque la fai ti guarda imbambolato, incapace di spiccicare più parola. Malgrado tutto si va avanti così e al riguardo sembra rimasto ben poco da fare, mentre i soliti noti battono sulla grancassa come se nulla fosse. L’unica è continuare a pensare con la propria testa, ad ascoltare con le proprie orecchie e a rifiutare gli atteggiamenti di massa, qualora non abbiano solide motivazioni alle loro spalle.
      Grazie a te per il contributo. Ovviamente gli spazi di commento del sito sono a disposizione tua e degli altri appassionati che desiderino dire la loro sugli argomenti affrontati in questo spazio.
      A presto!

  3. Non si capisce perché la qualità segue nei diffusori la dimensione negli ampli la Potenza quindi se non dispongo di uno spazio ampio e dedicato devo rassegnarmi alla mediocrità.la maggior parte delle persone vivono in alloggi di 80 mq e il mercato evidentemente non é pensato x loro

    1. Come ho scritto nella risposta a un tuo commento precedente, al salire della potenza crescono i costi, e quindi gli utili, ma spesso la qualità sonora cala, non di rado in maniera sensibile. Anche i diffusori di taglia maggiore hanno i loro pro e contro, malgrado si ritengano superiori quelli più grandi per via della facilità a emettere le frequenze vicine ai limiti inferiori dello spettro udibile per le maggiori dimensioni dei woofer e dei volumi di carico.
      Non è assolutamente vero che ricorrendo a oggetti più a dimensione d’uomo occorra rassegnarsi alla mediocrità. Anzi è più facile ottenere risultati più soddisfacenti con questi ultimi, oltretutto a costi minori. Proprio perché impianti piccoli problemi piccoli, impianti grandi… /
      C’è poi un problema di percezione. Abituato ad ascoltare determinate sonorità dagli impianti di costo maggiore, il pubblico tende a ritenerle di qualità più elevata, cosa che non è assolutamente vera.
      Ma dato il martellamento continuo eseguito dalla pubblicistica di settore, è molto difficile spiegargli che le cose stanno in maniera diversa.

  4. Salve
    Ritengo che gli investimenti sulla qualità di alcuni componenti risentano di logiche di base errate. Che senso ha progettare come MC INTOSH AMPLI DA 100 E PIU WATT QUANDO IN APPARTAMENTO ne basterebbero massimo 10???? Denaro investito x raffreddare transistor che lavoreranno al Max al 2/100 altrimenti disturberemmo i vicini???

  5. Vi é una tendenza x soddisfare esigenze di vita mutate a tornare a dispositivi compatti che prevedano in un unico apparecchio più funzioni. La collocazione in ambienti domestici del classico rack anni 70 80 é oramai fuori moda. Da qui l’industria ha la l’opportunità di creare oggetti validi ma facilmente collocabili. Infine lasciatemi sfogare contro il costo al watt. Inutili ampli con potenze che alle ore 21 di un qualsiasi appartamento risultano inutili. Ma pensate che x dissipare il calore di un 100 watt quante inutili risorse si sprecano quando in alloggio 2, 3 max 10 watt con diffusori da 92 db disturbano già i vicini. Caliamoci nel reale.

    1. Ciao Alfredo, grazie del commento.
      Sollevi una serie di questioni cui per rispondere in maniera esauriente occorrerebbero alcuni articoli.
      In parte quello che dici è vero, ma va tenuto in considerazione che la riproduzione sonora di qualità elevata trova il suo veicolo di maggiore efficacia nella specializzazione delle funzioni di ogni singolo componente dell’impianto.
      Riguardo alla potenza degli amplificatori, non va mai trascurata la natura estremamente dinamica del segnale musicale. Quantomeno nella sua forma originaria, poi oggi va di moda la cosiddetta “loudness war”, che per i motivi legati al suonare più forte possibile tende a comprimere tutto verso lo 0 dB, limite invalicabile dell’audio digitale.
      Ci sono poi da considerare le leggi del mercato e quelle inerenti il potenziale commerciale, elemento tenuto in considerazione assai maggiore rispetto alla realtà dell’utilizzazione più diffusa delle apparecchiature. Dal momento che oggi si cerca in ogni modo di ottenere una percezione di qualità attraverso una serie di dati numerici, perché ritenuti incontrovertibili, va da sé che più questi sono convincenti agli occhi del pubblico, preventivamente addestrato a rispondere in maniera prevedibile a determinati stimoli e soggetto a un continuo martellamento da parte della pubblicistica di settore a parte i siti non allineati come questo, e più è probabile che le vendite dell’oggetto che riguardano vadano per il meglio.
      Oggi quindi è necessario che un amplificatore abbia almeno un centinaio di watt per canale, per essere preso in considerazione dal pubblico, fatta salva la fascia sempre più residuale di appassionati realmente consapevoli. Poi, che in realtà si ascolti a livelli medi che in genere stanno sotto il mezzo watt continuo è un elemento che interessa poco, se non in funzione del compiacimento destato dalla tranquillità mentale di avere a disposizione riserve di potenza ridondanti. Che non solo non si useranno mai, ma se ci si azzardasse a farlo la sonorità dell’impianto diverrebbe inascoltabile.
      Un tempo era cognizione comune che più un amplificatore è potente e più farlo suonare bene è difficile e costoso, quindi volendo sonorità impeccabili era meglio rivolgersi ad amplificatori “piccoli”. Oggi non solo questa cognizione è andata largamente perduta, ma è proprio l’estetica predominante delle sonorità tipiche degli impianti audio a essere cambiata.
      Oggi è fatta di sonorità tronfie, prive di vitalità e realismo, specialità in cui le amplificazioni di potenza elevata e stracariche di controreazione che oggi predominano, trovano il terreno per esse ideale.

  6. Il salto di qualità avvenne nel 1970 passando dai dono valigia e mangia dischi agli impianti hi fi giapponesi dal prezzo abbordabili .Tutto il resto é FUFFA

    1. Ciao Alfredo,
      grazie dell’attenzione.
      Che il passaggio dalle fonovaligie degli anni 60 agli impianti hi-fi tipici del decennio successivo abbia comportato un miglioramento netto, anche a livello del prodotto diffuso fin quasi a livello di massa, non ci piove.
      Temo invece che il resto del tuo commento non tenga conto della realtà evidenziatasi nel periodo successivo, fino ai giorni nostri.
      In merito all’evoluzione del settore che riguarda la riproduzione sonora si può non essere d’accordo su un numero di cose pressoché incalcolabile. Tuttavia i miglioramenti ci sono stati eccome, di proporzioni del tutto inimmaginabili nel periodo cui ti riferisci.
      L’ascolto di un impianto attuale ben realizzato li pone in evidenza in maniera direi plateale per chiunque abbia la volontà di prenderne atto.
      Se lo desideri, la mia saletta è a tua disposizione, come di tutti gli altri appassionati, per una dimostrazione al riguardo.
      A presto

  7. Ciao Claudio, hai ancora quel vecchio LP dei Black Sabbath, che comprammo insieme nel lontano 1970/1971 in un noto negozio di dischi vicino termini ?

    1. Ciao Gabriele, è da un po’ che non ci si sente! 🙂 Si, i dischi che ho comprato sono tutti con me, a parte qualche desaparecido

    1. Grazie Roberto, il tuo apprezzamento mi fa molto piacere. Il supporto degli appassionati è fondamentale per mandare avanti un sito come il mio. Il compito che gli ho attribuito è anche quello di dimostrare che è possibile fare qualcosa di diverso rispetto alla linea dominante della pubblicistica di settore nel suo insieme, che ha responsabilità enormi per le condizioni attuali della riproduzione sonora amatoriale, ormai ai suoi minimi storici.
      Spero allora di poter annoverarti tra i frequentatori fissi di Il Sito Della Riproduzione Audio. 😉
      A presto!

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