Come Volevasi Dimostrare

Subito dopo la pubblicazione di “… Proprio in questa direzione, temo“, l’amico Emanuele ha postato un commento, che ritengo emblematico sotto diversi punti di vista.

Vediamo di cosa si tratta:

Mi ritrovo perfettamente nella tua descrizione: nel 2008/2009 ero un giovane nuovo arrivo nel pubblico “audiofilo”, e ne ho passate di tutti i colori, se non fossi stato davvero motivato avrei desistito.

Hanno provato a fregarmi in tutti i modi bastonandomi perché mi ribellavo alla fregatura.

Hanno provato a farmi fare un sistema scarsissimo, col chiaro intento di farmi cambiare tutto almeno 4 volte facendomi dilapidare denaro, mentre io volevo acquistare, uno alla volta, componenti per me definitivi, senza sostituire ogni componente più di una volta.

Hanno provato a farmi sentire un cretino perché nella musica voglio la gamma bassa, mentre loro volevano catechizzarmi al suono secco e iper-analitico dei tanti frustrati che ci restano invischiati senza più riuscire a fare un passo indietro.

Hanno provato in tutti i modi a propinarmi roba costosissima di marchi sconosciuti, spesso italiani e/o cantinari, che poi li vedi fallire e ti resta in mano un pugno di mosche.

Ora, dopo aver scelto sapientemente oggetti davvero (per le mie tasche) definitivi e di qualità di marchi che offrono sia storia e tradizione che ricerca e sviluppo, dedicando massima attenzione a ció da cui tutto parte (corrente elettrica -rigeneratore di tensione- e sorgente digitale -l’oggetto più costoso della mia catena, e non illogicamente ciò che c’è a valle, diffusori e ambiente, che non possono inventarsi ciò che non c’è alla fonte, né correggere quello che nasce malato-) e al cablaggio (il 99.9% del percorso del segnale, determinante nel pilotaggio dei diffusori) c’è chi prova a farmi sentire un disadattato perché sono FELICE e (a parte un paio di cavi) non voglio cambiare piú niente, godendomi la musica, millantando che non lo faccio perché non avrei i soldi, o perché non sarei un vero audiofilo o perché avrei gettato la spugna (!!!) cambiando interessi.

In particolare, ci sono audiofili bassofobici che vorrebbero, per accettarmi tra di loro, che spendessi almeno 10 mila euro per cambiare le mie vecchie autentiche B&W (un diffusore scelto per la vita) con quei mini totem senza basso che vanno per la maggiore oggi.

Quando ho invitato un appassionato a casa e mi ha detto che dovevo ascoltare coi controlli di tono attivati e i bassi a zero, ho capito che viviamo in mondi diversi, e non c’é niente che si possa fare per salvare questo pubblico e questo settore.

 

Come spesso accade, Emanuele con il suo vero e proprio atto d’accusa nei confronti di tutto un sistema, ha toccato una serie di punti che per essere analizzati, non dico a fondo ma almeno per lo stretto necessario, avrebbero bisogno di una quantità di spazio tale da dissuadere dalla lettura la maggior parte delle persone.

Cerchiamo allora di esaminare almeno i punti chiave della questione.

Inizierei col dire che se a quasi dieci anni dall’accaduto i ricordi sono ancora così vivi in lui, non può che trattarsi di fatti vissuti con particolare disagio. Cosa del tutto comprensibile.

Il primo elemento è quello riguardante i troppi operatori che dopo aver ammazzato il mercato e la passione di tanti, fingono di dimenticare il loro cospicuo contributo alla crisi che lo attanaglia e se ne lamentano, in particolare per il mancato ricambio generazionale. Poi che siano stati loro stessi i primi a fare di tutto per allontanare le nuove leve da questo settore, sembra essere qualcosa che non li riguarda. Del resto se fossero nelle condizioni di eseguire un minimo di autocritica, la realtà raccontata da Emanuele non esisterebbe.

E’ anche vero, d’altro canto, che agli esordienti si tende in genere a consigliare un impianto economico con cui si possano “fare le ossa”, per poi migliorarlo in seguito un pezzo alla volta.

Forse il voler “bruciare le tappe”, secondo una capacità di analisi e uno spirito critico sopra la media, ma che gli operatori del settore non sono abituati a trovare negli appassionati più giovani e alle prime armi, potrebbe aver giocato a sfavore di Emanuele, destando in lui la sensazione che si tirasse sempre e comunque a fregarlo.

Ancora una volta, avere esigenze di livello superiore alla media o solo diverso, non può essere una colpa dell’appassionato, esordiente o navigato che sia. E’ un preciso compito del rivenditore saper inquadrare la persona cui si trova di fronte e attivare le risposte più adeguate ai suoi bisogni. In questo vediamo un altro limite tipico di troppi commercianti, abituati a fornire risposte standardizzate che si pretende vadano bene per tutti, quando invece la riproduzione sonora e l’approccio ad essa è qualcosa di estremamente personale.

Se questo richiede tempo, occorre dedicarglielo al di là dei costi che comporta. Se non si comprendono neppure cose simili, tanto vale cambiare settore merceologico. Soprattutto, è necessario avere l’approccio adatto a rapportarsi con ogni appassionato in modo da fornire il supporto più adeguato alle sue richieste. Se non lo si vuole fare, inutile poi lamentarsi che i pochi acquirenti rimasti comperino soprattutto in rete.

Per contro, è altrettanto necessario che l’appassionato sia disposto a riconoscere e ad accettare i costi insiti nel servizio di consulenza eventualmente prestato, cosa della quale molti non vogliono neppure sentir parlare, avendo come unico obiettivo l’acquisto al prezzo minore possibile. Che proprio perché fatto in base alle leggi del denaro, che nulla hanno a che vedere con quelle della riproduzione sonora, quasi sempre si rivela sbagliato. Equivalendo in sostanza ad aver buttato via i propri soldi, o almeno la parte di essi che si perde all’atto della rivendita di un oggetto non gradito.

Non sarebbe meglio, allora, spendere in partenza qualche decina di euro in più per avere maggior sicurezza di soddisfazione?

Eccoci ancora una volta a parlare di inadeguatezza, in primo luogo a livello concettuale, e su entrambi i lati della barricata. Per un verso riguardo all’approccio che porta a vendere oggetti di un certo tipo come fossero cassette di pomodori al mercatino rionale. E dall’altro per quello che spinge ad acquistare con una forma mentale ancora peggiore. Proprio perché anche la più sprovveduta delle massaie sa perfettamente che un buon pomodoro ha i suoi costi. E quindi il suo prezzo non può essere minore di tanto.

Le conseguenze di un atteggiamento fin troppo diffuso sono proprio che il rivenditore, a furia di tagliare per fronteggiare la concorrenza di internet, si riduce all’incapacità di fare correttamente il proprio mestiere. Che non contempla solo l’elemento di compravendita ma si basa su una lunga serie di elementi a monte, i quali a loro volta per essere formati necessitano di esperienza, di capacità e hanno ancora una volta i loro costi. Dal canto suo l’acquirente, proprio nell’ostinarsi a cercare soltanto il prezzo più basso, è lui stesso a costringere il rivenditore a trascurare una serie sempre più lunga di elementi che, per quanto collaterali, hanno un’importanza tutt’altro che marginale. A dimostrazione ancora una volta che le leggi del capitale non sono adattabili a quelle della riproduzione sonora e si rivelano invece assai proficue alla sua regressione verso le forme “mcdonaldizzate”, che oggi non a caso sono le più diffuse. Dovendo rispondere innanzitutto a criteri di massificazione, sono per forza di cose insoddisfacenti per qualsiasi utente pretenda cose non equivalenti a un panino fatto di plastica e ripieno di una polpetta apparentemente gustosa ma composta in massima parte di scarti di macellazione e ammoniaca.

Insomma, Emanuele non si è voluto adeguare alla logica del “tutto e subito” oggi imperante che il più delle volte è un’impostura, dato che invece del tutto si riceve in cambio un bel nulla, come insegna la storia di Davide. Ad essa ha preferito un approccio maggiormente ponderato e volto a spendere magari somme maggiori per avere in cambio prodotti che gli dessero in primo luogo la ragionevole sicurezza di aver investito in modo adeguato il proprio denaro.

Per questo ha subito un trattamento che lui stesso definisce di bastonatura, proprio a dimostrazione che oggi il sistema consumistico non tollera più modalità di scelta e di acquisto difformi da quelle che sono per esso le più convenienti e pretende un continuo afflusso di denaro. Naturalmente a senso unico e oltretutto in un contesto in cui la distribuzione della ricchezza e quindi il valore effettivo di stipendi e retribuzioni vanno sempre più a ridursi, sia pure a fronte di impegni lavorativi che si fanno di giorno in giorno più gravosi. Si tratta di una tra le contraddizioni stridenti del sistema capitalista, rese tanto più insanabili quanto esso giunge ai livelli più elevati del proprio perfezionamento. Innalzandole dunque al rango di una vera e propria dicotomia e dimostrando così la sua definitiva insostenibilità, per poi pretendere di scaricarne i costi sugli stessi soggetti che già le patiscono in prima persona.

Ancor peggio, vediamo che qualunque sia l’approccio, quello utilitaristico di Davide o quello basato su una maggiore volontà di spesa di Emanuele, si sbaglia o comunque si è costretti a subirne le conseguenze.

Il che dimostra ulteriormente che questo settore è impegnato prima di tutto a sopprimere le sue residue possibilità di sopravvivenza.

Passiamo oltre e vediamo l’elemento successivo, quello che riguarda la gamma bassa. Non è questo lo spazio più adatto per analizzare a fondo le questioni inerenti l’ascolto e i giudizi che ne derivano, spesso influenzati da una serie di percezioni non del tutto corrette e, peggio, da un numero ancora maggiore di luoghi comuni. Spesso creati dalla pubblicistica di settore, nella sua necessità di incensare qualunque cosa le venga sottoposta, in quanto veicolo non di informazione ma di pubblicità occulta.

La riproduzione delle frequenze basse è forse la più controversa, proprio perché la complessità degli elementi che concorrono alla sua formazione e la difficoltà della sua emissione causano una serie di problemi che spesso vanno a gravare anche sul funzionamento di impianti molto costosi. Nel corso degli anni ho potuto verificare che si tende a confondere le sue componenti effettive con gli elementi spuri causati dalle limitazioni dell’impianto e da quelle dell’ambiente. Così spesso si prende per gamma bassa quello che invece è soltanto un rimbombo, lamentando la sua mancanza se viene non dico a mancare ma solo ridotto al minimo possibile.

Diversi appassionati, dunque, pretendono ciò che in realtà è un difetto marchiano, come quello appena descritto. In realtà la gamma bassa è tra le più complicate da riprodurre, come dimostra l’incapacità di emetterla con naturalezza anche da parte di catene di gran classe. Che quasi mai riescono a far sentire il vero suono della pelle della grancassa o del contrabbasso, sostituiti rispettivamente da una specie di sorda legnata, magari efficace a livello di effetto speciale, e da un confuso ammasso di risonanze.

Le motivazioni sono numerose, prima di tutte l’approccio tipico alla realizzazione dei dispositivi atti alla sua emissione, sempre più spesso condotta in maniera fin troppo sbrigativa secondo modalità automatizzate, cui si sono attribuite per convenzione capacità fin quasi taumaturgiche. Delle quali si va poi a comprovare l’efficacia mediante sistemi di verifica che favoriscono proprio le conseguenze negative di tale approccio, invece di evidenziarne le limitazioni. O meglio, non permettono di distinguere il segnale utile dal resto. Per non parlare del fatto che ormai si ritiene più necessario rendere apprezzabile il contenitore invece del contenuto, ostinandosi a trascurare che quanto è gradito all’occhio quasi mai lo è dall’udito. E proprio da quest’orecchio non si vuol sentire: prima di tutto da parte di progettisti e fabbricanti, e poi da parte degli appassionati, che temono le ire di mogli sempre più indisponibili ad accogliere i desideri del coniuge, e guai se le casse non fanno un pendant con l’arredamento del salotto che vada oltre la perfezione. Senza andare a scomodare concetti come l’inversione dei ruoli di coppia, o soltanto quelli di tolleranza, apprezzamento  e incentivazione dei rispettivi interessi, sarebbe ora di iniziare a ficcarsi nella capoccia che il famigerato WAF, tanto idolatrato dalla pubblicistica di settore, va d’accordo con le leggi della riproduzione sonora nello stesso identico modo con cui lo fanno le leggi del denaro.

Pertanto, una gamma bassa rimbombante e sbrodolata, oppure secca e legnosa come vogliono tanti appassionati suddivisi in fazioni contrapposte, è semplicemente inadeguata. Checché ne dica Il Coro Degli Entusiasti A Prescindere, sempre pronto a incensare sia l’una che l’altra, a seconda della convenienza del momento.

Il basso dovrebbe essere in primo luogo naturale, cosa difficilissima da ottenersi, e soprattutto non essere riassumibile con il gergo utilizzato dai cantori della pubblicistica di settore, proprio perché gli stessi termini utilizzati in tal sede sono la riprova migliore della mancanza di naturalezza. Infatti, nel momento in cui ci si ritrova a parlare di bassi, di medie e di acuti, con tutti gli aggettivi del caso, si ha semplicemente la conferma di trovarsi di fronte a un impianto inadeguato. Dato che il suo scopo è quello di emettere musica, ossia il suono degli strumenti, appunto nel modo più naturale possibile, che non va d’accordo con le perifrasi coniate al riguardo, atte a descrivere quelli che in maggioranza sono soltanto difetti o al più effetti speciali. Quindi incompatibili con il realismo della riproduzione e quel che è peggio riprese pari pari dagli appassionati con tutto il corredo di castronerie e inadeguatezza concettuale, in primo luogo necessaria a poter parlare bene sempre e di tutto. Ci si infila così nell’imbuto che conduce nella selva di luoghi comuni molto comodi da ripetere in automatico, efficacissimi per illudersi di aver acquisito una qualche facoltà di giudizio, ma dai quali poi è oltremodo complesso liberarsi. Elemento a sua volta necessario per avere la possibilità di riuscire finalmente a definire i valori in campo con un minimo di concretezza e attendibilità

Preferirei inoltre tralasciare le questioni che legano storia e tradizione con ricerca e sviluppo. Purtroppo gli eventi succedutisi in questo settore dimostrano proprio il contrario rispetto al pensiero comune: i nomi cui si attribuisce la tradizione maggiore, per forza di cose sono proprio quelli che spingono maggiormente affinché tutto resti immutato e il più a lungo possibile, proprio perché ogni cambiamento porrebbe a repentaglio le posizioni di preminenza che detengono.

Dunque se di ricerca si tratta, è soprattutto quella volta a utilizzare le quantità più elevate di controreazione, così da eliminare la possibilità di percepire nella riproduzione ciò cui si teme sia attribuita la valenza di difetto, da parte dell’orecchio che vuole innanzitutto il suono “riposante”, credendolo sinonimo di qualità e non a caso magnificato fino alla nausea dalla pubblicistica di settore. Del resto sono proprio quei marchi a commissionare le quantità maggiori di pubblicità che poi è la cosa su cui campano le fonti di informazione allineate.

A questo proposito credo necessario invitare ancora una volta alla lettura di “La percezione della qualità“, per poi rilevare che l’effettivo valore intrinseco di un’apparecchiatura destinata alla riproduzione sonora non sta nella quantità di denaro che è possibile procurarsi rivendendola, ma in ciò che può dare in termini ancora una volta e prima di tutto di naturalezza nel suo impiego primario. Che è appunto quello di riprodurre musica. Questo almeno nell’accezione originaria del concetto di riproduzione sonora amatoriale, destinata appunto a dare l’illusione di trovarsi di fronte all’evento reale, da cui la denominazione di hi-fi, ossia alta fedeltà.

Questo concetto è stato poi rinnegato a più riprese dalla stessa pubblicistica di settore, la quale pur di non ammettere la sostanziale inadeguatezza degli oggetti che magnifica da decenni, e di conseguenza la menzogna reiterata che propala con tanta disinvoltura, ha preferito sostenere si tratti di un’utopia, preferendo puntare sulle questioni estetiche, di prestigio, sul misurismo acefalo che non distingue quantità da qualità e altre cose che con la riproduzione sonora hanno ben poco a che fare.

Credo poi sia giusto riflettere per qualche altro istante sul fatto che il valore di un’apparecchiatura audio non è dato dalla sua rivendibilità o dalla quantità di denaro che altri sono disposti a spendere per entrarne in possesso. Nella mia esperienza, anzi, ho imparato che si rivendono prima e meglio, in termini economici, proprio gli oggetti peggiori sotto l’aspetto della qualità sonora. Per il semplice motivo che non di rado sono i più pompati dalla pubblicità, non importa se palese o occulta.

Pertanto, il valore concreto di un oggetto destinato alla riproduzione sonora sta nel piacere che riesce a procurare nell’ascolto di musica e nel grado di realismo che infonde all’emissione musicale. Questo, almeno, se la passione che si ha è davvero per l’ascolto di musica e non per l’accumulazione di denaro o l’adorazione più o meno conscia di feticci.

Un altro invito che ritengo giusto formulare è quello di non cedere all’autorazzismo oggi spinto fino all’esasperazione da parte di fonti ben precise, cui è stato affidato il compito di diffondere il sentimento di rassegnazione al destino neo-coloniale che è stato deciso per il nostro paese, che si vuole raffigurare come ineluttabile.

Ci sono marchi italiani molto validi e alcuni addirittura che nel loro genere non hanno trovato rivali al mondo. Che poi a un certo punto abbiano dovuto abbassare la saracinesca non vuol dire assolutamente nulla. Anzi spesso significa che realizzavano un prodotto fin troppo valido, e quindi costoso, per il prezzo di vendita a cui lo proponevano. A significare ulteriormente che le leggi del denaro e dell’economia funzionano in genere in maniera contraria a quelle della riproduzione sonora. Proprio perché l’azienda più florida è quella che riesce a estrarre il ricarico maggiore dal proprio commercio. Il che non può significare altro dal vendere oggetti il cui valore intrinseco è quanto di più lontano dal prezzo di listino imposto al pubblico.

Rispetto all’elemento della nazionalità inoltre, nove volte su dieci e senza che il prezzo o la classe di appartenenza facciano differenza alcuna al riguardo, se un marchio può avere una collocazione geografica a piacere, la provenienza effettiva dell’oggetto che vende è sempre la stessa, ossia dal luogo cui da tempo si è affidata la realizzazione della quasi totalità delle merci in circolazione. Più che mai di quelle incluse nel settore dell’elettronica. E anche se il prodotto inalbera un orgoglioso “made in” dove si vuole, il trasformatore, il transistor finale o l’altoparlante restano comunque prodotti in Cina.

Gli ultimi due elementi sollevati da Emanuele riguardano la gerarchia dei componenti dell’impianto in relazione alla sua qualità sonora e il dividersi degli appassionati in fazioni diverse in perenne contrasto tra loro, oltre ai riti iniziatici cui è necessario sottostare per essere cooptati da ciascuna di esse.

Al riguardo diciamo che la dote più importante di un impianto è l’equilibrio tra i suoi diversi componenti, fermi restando gli elementi fondamentali, come appunto la qualità dell’energia necessaria al loro funzionamento. E’ evidente che se forniamo all’impianto una corrente “sporca”, ben difficilmente potrà darci in cambio una sonorità pulita. Concetto questo che richiama quanto da sempre noto nel settore informatico, riassunto nell’acronimo GIGO: Garbage In – Garbage Out. Significa che se si introduce immondizia in ingresso, non si può trovare qualcosa di diverso in uscita.

Il problema è che per insinuarsi nell’impianto, tale immondizia ha una quantità enorme di strade e pertugi, alcuni dei quali parecchio subdoli. Al punto che le fazioni di appassionati più legate all’ortodossia ne rifiutano addirittura l’esistenza. Salvo poi ritrovarsi con degli impianti che suonano in maniera pietosa, proprio in conseguenza del rifiuto cosciente di prendere atto della situazione. Finendo così col sostenere che impianti che suonano in maniera meno pietosa dei loro non possano proprio esistere. In parte hanno ragione, data la mediocrità esibita anche da quelli molto costosi, che sono tali proprio perché si insiste a non tenere conto di determinati elementi di degrado.

Quanto all’attribuzione d’importanza a ciascun componente, spesso ne viene attribuita di più a quelli che lo sono di meno, in base a considerazioni del tutto accessorie, come avviene in genere per i diffusori. La varietà delle differenze di carattere timbrico che esibiscono i diversi modelli della categoria viene presa appunto come dimostrazione del loro influsso per la qualità sonora dell’impianto. A tale riguardo non si tiene conto innanzitutto che il contesto timbrico è quello che definisce l’aspetto qualitativo al suo livello più superficiale, o se vogliamo terra – terra. Inoltre il diffusore è un elemento passivo, come tale fortemente influenzato dalle caratteristiche del segnale che viene posto al suo ingresso. Anzi, più è valido e più si allinea fedelmente sulle caratteristiche del segnale che gli viene fornito.

L’elemento della catena non diciamo più importante, ma di sicuro più critico è invece la sorgente. Proprio perché qualunque cosa non sia da essa rilevata non potrà essere introdotta in seguito, mentre ogni suo difetto o errore non potrà essere corretto in una fase successiva. Inoltre, proprio per la sua posizione nella catena, il segnale in uscita dal sorgente è quello maggiormente passibile di degrado, da parte di tutti gli altri componenti. A partire dai cavi, entro i quali il segnale che proviene da giradischi o lettore digitale è destinato a compiere metri e metri di strada, che può essere parecchio impervia.

Chiudiamo con il discorso della bassofobia, rilevando un paio di aspetti. Il primo è che con una timbrica tendente a favorire il medioalto si possono esaltare la resa del dettaglio e l’impressione di vitalità della riproduzione, che se si deve ricorrere a trucchi del genere si dimostra solo quanto siano manchevoli. La seconda è che in tal modo si inganna l’ascoltatore, facendogli credere di essere di fronte a una riproduzione più pulita ed esente da disturbi di quanto non sia in realtà. Per non contare il fatto che un basso pronunciato tende a coprire la gamma media degli impianti meno validi e controreazionati, anche se spesso molto costosi, che quindi dimostrerebbero appieno la loro mediocrità.

Ecco perché i mini totem, come li chiama Emanuele, e più in genere le sonorità più o meno esasperate sul medio alto restano sempre di moda. Anche se va riconosciuto che diffusori siffatti hanno i loro vantaggi, in primo luogo in termini di superficie esposta, elemento di cui si trascura in genere l’influenza nefasta ai fini dell’emissione più precisa e realistica.

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