Un altro grande se n’è andato. RIP Chuck Loeb

Lo scorso 31 Luglio Chuck Loeb ci ha lasciato. E’ stato uno tra i più grandi chitarristi degli ultimi decenni, anche se forse non ha riscosso il successo di pubblico che avrebbe meritato.

Tra gli addetti ai lavori, invece, godeva di grandissimo rispetto.

Chuck e Carmen

Era ancora giovane, aveva solo 62 anni. Se l’è portato via un tumore. Lascia la moglie, la cantante Carmen Cuesta che compare su numerosi suoi dischi, e due figlie, Lizzy e Christina.

Tutte e tre si possono ascoltare nel brano “Let It Be“, proprio quello dei Beatles, ri-eseguito nel disco “Mediterranean“, uno tra quelli che Loeb ha realizzato per l’etichetta DMP.

La prima volta che lo vidi in azione fu a Perugia, credo fosse il 1985. Li per li mi domandai cosa ci facesse un chitarrista, peraltro sconosciuto, con gli Steps Ahead. Poi eseguì un’introduzione di grande bellezza, semplicemente indimenticabile per poesia e ispirazione, a uno dei loro brani.

Da quel momento divenne uno dei chitarristi da me preferiti in assoluto e di conseguenza ne ho seguito la carriera con grande attenzione.

L’anno dopo tornò, sempre con gli Steps Ahead, e ricordo che Michael Brecker nella consueta presentazione al pubblico del gruppo, lo definì “The Rockman”, anche se in realtà di rockistico la sua esibizione non aveva avuto poi molto. Certo, nel brano “Trains“, che in quell’anno il gruppo presentava in anteprima, sarebbe stato pubblicato qualche mese più tardi sul loro album “Magnetic“, non si faceva pregare per tirare le corde a dovere. Tuttavia il suo era uno stile estremamente raffinato in cui retroterra jazzistico restava sempre ben evidente o meglio preminente.

Loeb inoltre era sempre molto restio a salire sopra le righe, cosa cui invece i chitarristi tendono spesso, e mostrava sempre un grandissimo senso della misura. Non solo nelle sue esecuzioni, ma anche per la sonorità pulita della sua chitarra.

Questo me lo ha fatto apprezzare ancora di più e probabilmente è stato il motivo per il quale venne inserito negli Steps Ahead, gruppo ai vertici assoluti nella storia del jazz moderno e della musica del nostro tempo, al di là di etichette e relative preclusioni.

Malgrado ciò in quel gruppo gli subentrò Mike Stern, scelta che personalmente non ho mai condiviso, il quale peraltro non riuscì mai a integrarsi a fondo nello stile del gruppo. Per quanto si tratti di un altro grandissimo chitarrista, il suo stile era fin troppo peculiare e per molti versi antitetico a quello degli Steps. Sia negli accompagnamenti, sempre un pò troppo marcati, sia soprattutto negli assoli, che per quanto pregevoli andavano a spezzare in maniera evidente la continuità del brano e dell’esibizione nel suo complesso.

Dal mio punto di vista Stern non fece altro che far rimpiangere la raffinatezza e il tocco felpato di Loeb, che proprio per questo lasciava ancor più il segno, invece di tramortire la platea con una sequenza di tonalità lancinanti.

Loeb, insomma, era forse più un uomo da jazz club etereo e per pochi intimi, piuttosto che una belva da curva sud.

Ecco perché reputo tra i suoi migliori lavori “My Shining Hour“, disco registrato dal vivo alla fine degli anni 80 per la collana Jazz City, nella quale è stata pubblicata una piccola serie di album ripresi per mezzo di un Nakamichi DAT 1000, e senza particolari interventi successivi in studio, per ritocchi o altro.

Quei dischi magari non avranno la perfezione formale che è possibile trovare in altri contesti, ma sono caratterizzati dalla naturalezza e dal realismo propri delle registrazioni in diretta, che causano un ascolto particolarmente godibile e rendono giustizia al vero ideale primigenio della cosiddetta hi-fi.

Proprio in quel disco Loeb e il suo gruppo si esibiscono in una esecuzione magistrale di “Maxine“, brano notissimo composto da Donald Fagen che figura nel suo album forse di maggior successo, “The Nightfly“. La semplicità e l’intensità con cui è riproposto da Loeb nelle sue linee basilari supera di parecchio l’originale e gli restituisce la bellezza messa in ombra dagli arrangiamenti ridondanti, sia pure basati sulle stratificazioni intriganti e multiformi tipiche del fondatore degli Steely Dan.

Insomma, se si vuole ascoltare il vero Chuck Loeb, quello appunto che si esibiva dal vivo e lasciò a bocca aperta il pubblico di Umbria Jazz, “My Shining Hour” è il disco ideale. Nell’album figura anche la moglie Carmen Cuesta, che canta in un paio di brani. La sua intepretazione forse non è assolutamente ineccepibile, ma proprio questo la rende più godibile e conferisce all’ascolto la sensazione di essere di fronte a qualcosa di vero, nei confronti del quale le registrazioni usuali finiscono con l’apparire come qualcos di sintetico e irreale.

Tra i suoi ultimi lavori, invece, uno dei migliori è “Bop“, dove rivisita i brani migliori di quel genere, insieme a una formazione di all stars, in cui figurano tra gli altri un redivivo Jeff Lorber al piano Fender, oltre a Brian Bromberg al basso e Randy Brecker a tromba e flicorno.

Tra le collaborazioni più importanti di Chuck Loeb figura anche quella con Stan Getz, agli inizi della carriera. E’ documentata dall’album “Billy Highstreet Samba“, pubblicato dalla Emarcy.

Con la DMP Loeb ha pubblicato a suo nome una serie di album piuttosto nutrita, iniziando con quello realizzato in coppia con il tastierista Andy Laverne, “Magic Fingers” e con il solo “Life Colors“. Già nel primo ma soprattutto in quest’ultimo, mise in luce un gusto per le atmosfere rarefatte che per certi versi potrebbero ricordare la new age, sia pure rivisitata in senso jazzistico.

 

 

 

 

 

 

 

Oltre a quelli menzionati, Loeb con la DMP ha pubblicato altri tre album, caratterizzati oltretutto dalle qualità di registrazione rimarchevoli tipiche dell’etichetta gestita da Tom Jung, nata appunto per mettere nell’evidenza migliore le doti peculiari del digitale. Quindi, oltre a essere molto godibili sotto il profilo artistico e musicale, i dischi di Loeb editi dalla DMP hanno dalla loro una resa sonora che definirei eccellente e non risente degli anni passati dall’epoca della loro pubblicazione a oggi.

Quando la DMP terminò la sua attività, Loeb passò alla Shanachie, con cui ha pubblicato numerosi altri album, diversi tra i quali parecchio interessanti. Inizialmente il passaggio sembrò edulcorare almeno in parte il discorso musicale del chitarrista, elemento in linea del resto con le tendenze di tale etichetta. Con la Shanachie, comunque Loeb ha proseguito la sua collaborazione per tutto il resto della sua attività. Tra gli album più meritevoli di quello che si potrebbe definire come secondo periodo, segnalerei “Silhouette” e “Plain ‘n Simple“. Entrambi hanno dalla loro una registrazione curata in modo eccellente e nel primo ci sono due brani cantati dalla figlia Lizzy.

Nel 2010 Loeb entrò a far parte dei Fourplay, sostituendo Larry Carlton. Altre sue collaborazioni riguardano il gruppo The Fantasy Band, che ha pubblicato tre dischi, di cui due con la stessa DMP, uno dei quali vede in formazione il già menzionato tastierista Andy Laverne.

Un altro suo progetto di rilievo è quello del gruppo Metro, realizzato insieme al tastierista Mitchel Forman.

Figura infine nel disco degli Steps Ahead “Steppin’ Out” pubblicato nel 2016 che riprende alcuni tra i brani più riusciti del gruppo, e vede la partecipazione della WDR Big Band di Colonia.

Grazie Chuck, per la musica che ci hai regalato.

 

4 thoughts on “Un altro grande se n’è andato. RIP Chuck Loeb

  1. Si Bellissimi ricordi con grande assolo su Pools con una roland sint 707 con gli steps ahead ad Umbria jazz 85 un Loeb indimenticabile.
    Aggiungo anche il pregevole lavoro che ha svolto sia come chitarrista che produttore con Michael Franks.
    Il vero “Mr Smooth” è proprio Chuck !

    1. C’ero anch’io quella sera a Perugia. Uno tra i concerti più indimenticabili tra tutti quelli che ho visto e non sono stati pochi.
      Loeb è stato un grande, del suo strumento e musicalmente in senso generale.
      Diversi tra i suoi dischi sono tuttora tra quelli che ascolto più volentieri.
      Grazie della tua testimonianza, Stefano.

    1. Ciao Dino e grazie del commento.
      Mi sono permesso di moderare il tuo commento, cosa che faccio estremamente di rado, solo perché l’appellativo da te usato era alquanto più forte.
      Anche in Italia abbiamo bravi chitarristi, soprattutto in ambito jazzistico.
      Poi, come sappiamo, è l’ambiente che fa l’evoluzione. Quindi nella sostanziale assenza di un terreno di coltura adatto, il fiore se c’è sboccia male o non sboccia affatto.
      E’ anche vero che di talenti di calibro simile non ce ne sono molti, anche a livello globale. Loeb è stato un grandissimo, pur se a volte malcompreso dati alcuni album che non per colpa sua sono stati prodotti più per piacere a un certo tipo di pubblico che non per realizzare grande musica. D’altronde la politica delle case discografiche statunitensi, grandi e piccole, è nota a tutti. Chi lo ha visto all’opera dal vivo però, credo abbia colto perfettamente la sua grandezza. Ora ci restano i suoi dischi, che personalmente ascolto con grande frequenza e piacere. L’ultimo proprio ieri sera.

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