Prog Rock Italiano

Se ne parlava da parecchio e alla fine è arrivata: stiamo parlando della nuova raccolta discografica De Agostini, che fa seguito a quelle dedicate al jazz e al blues che hanno avuto un buon successo.

Dedicata come spiega il titolo al rock progressivo italiano, si articola su ben 60 uscite. Qui salta fuori il primo dubbio, sia pure da parte di un sostenitore storico come me di questo genere musicale: ci saranno 60 album di prog italiano davvero meritevoli di essere collezionati?

La risposta credo sia legata maggiormente a criteri di profittabilità dell’iniziativa nel suo insieme che non all’esistenza di un numero simile di opere davvero significative. D’altra parte il recupero di album minori, potenzialmente passati inosservati al momento della loro prima pubblicazione, ne permette la riscoperta creando l’occasione per approfondire senza troppe difficoltà la conoscenza di un fenomeno musicale di rilievo simile. Basta solo avere la pazienza di attendere, dato che il calendario delle uscite copre un intervallo di due anni e mezzo.

La prima uscita è “Storia Di Un Minuto” della Premiata Forneria Marconi, mentre la seconda riguarderà il primo album, omonimo, del Banco Del Mutuo Soccorso. Ovviamente non sarà possibile replicare la forma della copertina originale, il salvadanaio divenuto una sorta di icona del progressive italiano, che sarà raffigurato su una copertina di formato usuale, come avvenne del resto per le ristampe di quel disco.

Arriveranno poi “Pollution” di Battiato, “Concerto Grosso” dei New Trolls, “Aria” di Alan Sorrenti, “Arbeit Macht Frei” degli Area, “Felona e Sorona” delle Orme e così via. Le prime venti uscite e le date di pubblicazione sono consultabili sulla pagina internet dedicata alla raccolta, cui si accede dal sito dell’editore.

Il primo disco della serie costa 7,99 euro, che per un vinile da 180 grammi non è niente male. Si sa però che per l’esordio delle nuove raccolte le case editrici fissano un prezzo allettante che non ha molto a che vedere delle uscite successive. Costeranno infatti 16,99 euro.

Se ci si prenota per ricevere a casa tutti i dischi della raccolta, il prezzo della seconda e della terza uscita si dimezza, quindi le si riceverà a 16,99 euro totali. Dalla quarta in poi ogni disco lo si paga 16,99, + 1,90 di spese postali. Se si desiderano anche i tre contenitori per i dischi, a ogni uscita occorre aggiungere un ulteriore euro, prezzo che appare decisamente eccessivo.

Con quei soldi si compera uno scaffale Ikea in cui i dischi ci stanno tutti e avanza pure dello spazio.

A condizioni simili oltretutto non si vede per quale motivo ci si dovrebbe impegnare all’acquisto di tutta la collezione, dal momento che se la si acquista in edicola volta per volta si spende meno, permettendo oltretutto a una persona di guadagnarsi il pane.

In sostanza se si accetta di acquistare tutta la collezione si ha un disco in omaggio, oltre a una spazzolina puliscidischi e a un paio di auricolari, se si decide di saldare mediante carta di credito. Davvero dei geni del marketing, questi della De Agostini.

Per ogni disco ricevuto è possibile recedere dall’acquisto o avere la sostituzione se dovesse arrivare in cattive condizioni. E’ altresì possibile interrompere la raccolta in qualsiasi momento si desideri, previa comunicazione.

 

Storia di un minuto

Iniziamo col dire che mi sono procurato il disco con colpevole ritardo, a circa una settimana dall’uscita in edicola, avvenuta lo scorso 23 Settembre. Presso l’edicola in cui mi sono recato erano disponibili soltanto copie già aperte. Il gestore mi ha confermato che gli sono arrivate tutte così.

La copertina del disco, comunque, aveva l’incellofanatura perfettamente integra

All’interno della confezione è presente una quantità inverosimile di carta. Oltre al fascicolo che accompagna l’LP c’è un poster che raffigura una sorta di albero genealogico del prog rock italiano, le radici più profonde del quale sono attribuite a “Le Stelle” di Mario Schifano e ad “Amore Non Amore” di Battisti, per arrivare sul ramo più alto a “Carnascialia“, passando per una serie di LP piuttosto nutrita ma tralasciandone diversi altri. Non è possibile del resto raffigurarli tutti, sia pure nelle ampie dimensioni del poster, che dà l’impressione di essere stato incluso soprattutto per illustrare alcuni tra gli album compresi nell’opera non menzionati altrove.

Ci sono poi varie indicazioni inerenti il calendario delle prossime uscite, una lunga serie di cartoline, tra cui quella da inviare per posta volendo aderire all’offerta relativa alla raccolta completa, cosa possibile anche per via telematica, la pubblicità relativa alla pagina FB dell’iniziativa editoriale, strutturata sotto forma di una sorta di club per vinilisti, oltre a un questionario assai complesso che va a realizzare una profilazione fin troppo intrusiva dell’acquirente.

Come sempre in casi simili il mio consiglio è di non rispondere: chi desidera i nostri dati personali e quelli delle nostre preferenze e abitudini li acquisti, in questa come in ogni altra occasione. Si tratta di merce ricercata, per la progettazione delle campagne di vendita che ci martellano da ogni dove e oggetto di scambio a titolo oneroso.

Come ogni iniziativa che si rispetti non può mancare il concorso a premi: allegata al resto c’è una cedola con il codice che, se immesso all’apposita pagina internet, può far vincere un anno di abbonamento a Spotify.

Tutto l’insieme desta l’impressione che i manager delle case editrici siano convinti che il loro prodotto sia destinato a degli immaturi. Chissà, forse sono soltanto ligi al più noto tra i passaggi di quello che un tempo fu il berlusca-pensiero: il pubblico è composto da persone a livello degli alunni di quarta elementare che siedono agli ultimi banchi.

Il tono tra l’entusiastico e il favoleggante dei testi all’interno, immerso in una salsa propagandistica alquanto densa, va a corroborare questa impressione.

Del resto l’imperativo è vendere, quanto possibile e al più presto, ma soprattutto convincere l’acquirente della prima uscita a proseguire la raccolta, o meglio a completarla. Tuttavia il battere così ostinato su quei tasti, dal mio punto di vista genera per forza di cose il dubbio che neppure l’editore sia convinto appieno: della validità del suo prodotto e del richiamo insito nel soggetto dell’opera, che resta innegabile almeno per un appassionato di musica.

Se non lo è in primo luogo il suo realizzatore, come può esserlo il potenziale acquirente?

Se poi si ambisce a vendere il prodotto anche al pubblico non interessato più o meno direttamente a questo genere musicale, ho idea che nemmeno allegare un altro quintale di carta variopinta a ogni uscita permetterebbe di raggiungere un obiettivo simile.

Forse allora, invece di cercare di risparmiare all’osso per poi buttare via quantità di denaro ipotizzabilmente rilevanti per un volantinaggio a tappeto che prenderà all’istante la via della pattumiera, forse sarebbe stato il caso di affidarsi a qualcuno che di comunicazione ne capisce veramente. E come tale chiede una parcella magari rilevante, ma almeno non parte piatto trattando come un sottosviluppato il destinatario dell’opera.

Sicuramente nella confezione c’è anche dell’altro, che al momento non mi sovviene: non mi ritengo uno specialista di questo genere di iniziative, ma a parte i suoi significati indiretti tutta questa carta mi sembra inutile o meglio controproducente e fastidiosa. Finirà immancabilmente per intasare ulteriormente le discariche di questo paese, già da tempo sul punto di essere sommerso dai suoi stessi rifiuti.

Simbolo dell’insostenibilità di un modello commerciale assolutamente folle, dove non esiste praticamente più merce o derrata che non abbia un imballo dal costo vicino se non eccedente quello del contenuto, riversato sul prezzo al pubblico e che oltretutto non sappiamo come smaltire.

Mentre la plastica sgorga ormai persino dai rubinetti di quella che un tempo era acqua potabile.

A fronte di tanto spreco di carta e inchiostri, che oltretutto generano confusione nell’acquirente, come mi è successo personalmente, la confezione in cui viaggia l’LP non è adeguatamente protettiva. Si, c’è il trasparente plastificato sul davanti, scopo del quale è soprattutto far vedere la copertina dietro di essa, ma il cartoncino che fa da sostegno al tutto è fin troppo sottile. Va bene che il vinile da 180 grammi tende meno a deformarsi rispetto ai formati di consistenza inferiore, ma insomma.

Anche sulla grammatura del cartoncino della copertina si è lesinato alquanto. E’ più sottile del dovuto, soprattutto in considerazione del fatto che deve contenere un disco di peso non indifferente. Inappuntabile invece è la busta interna, robusta e foderata in polietilene, che evita di graffiare il disco quando lo si estrae e lo si ripone. La costa è di ampiezza sufficiente, anche se non esagerata come avviene di frequente per le stampe viniliche attuali. Permette di rintracciare con buona sicurezza il disco desiderato quando si trova in mezzo a numerosi altri.

Per quanto riguarda la grafica, si apprezza la vicinanza delle tonalità alla stampa all’originale, problema che ha interessato in passato numerose ristampe di altra provenienza.

L’apertura attraverso la quale fuoriesce il disco è rivolta verso l’esterno, diversamente dalla versione originale che l’aveva verso l’interno.

 

Il vinile

Il vinile è bello lucido e a prima vista fa un’ottima impressione. Non sembra particolarmente affetto da cariche elettrostatiche come avviene di solito per i dischi nuovi. Per quanto apprezzabile, questa caratteristica desta il quesito riguardante l’origine del supporto.

Le scritte sulla “dead wax”, la parte tra incisione ed etichetta, in ogni caso sono specifiche per questa pressatura. Anche l’etichetta riprende con buona fedeltà i colori e i caratteri dell’edizione originale, fatte salve le piccole scritte ai suoi margini, disposte in senso circolare, che sembrano rimandare agli impianti di stampaggio inaugurati di recente, nei confronti dei quali la stampa più o meno specializzata ha profuso le sue lodi. Non prima naturalmente di aver inneggiato a suo tempo al supporto digitale, come simbolo di progresso, modernità e perfezione assoluta

Verifichiamo innanzitutto la planarità del disco, elemento che genera il dubbio di fondo nei confronti della distribuzione attraverso il canale delle edicole. L’esemplare che ho acquistato sotto questo profilo è inappuntabile. Quindi malgrado la confezione da cui è scarsamente protetto, il vinile sembra in grado di reggere alle sollecitazioni cui viene per forza di cose sottoposto nella fase di distribuzione.

Una volta poggiata la testina sui solchi esterni si può apprezzare la buona silenziosità di fondo, il che almeno idealmente depone a favore della qualità della materia prima utilizzata per lo stampaggio del disco.

Non mancano comunque alcuni tic soprattutto nei primi istanti del brano iniziale, che tuttavia vanno a diradarsi col proseguire dell’ascolto, ma senza scomparire del tutto. Di tanto in tanto capita anche qualche “pop”: si tratta forse delle conseguenze di una pulizia del vinile successiva alla fase di stampaggio non proprio perfetta. Molto probabilmente eseguendo un lavaggio del disco si potrà ovviare al problema, anche se è difficile che l’acquirente tipico di raccolte come questa sia fornito di macchina lavadischi.

La precisione di stampaggio è anch’essa valida: almeno per l’esemplare in mio possesso, i fenomeni di “stitching” che al loro comparire hanno gravato a lungo le stampe a 180 grammi sono del tutto assenti.

Nel complesso, quindi, lo stampaggio sembra realizzato con la dovuta accuratezza. Il che non è poco, considerando che stiamo parlando di dischi che seppure da 180 grammi sono comunque da edicola.

Le note dolenti vengono invece da quello che c’è all’interno dei solchi.

La registrazione è stata sottoposta a un’opera diciamo così di modernizzazione per quel che ne riguarda il suono, che chiunque conosca il disco in questione può rilevare agevolmente fin dai primissimi istanti di riproduzione.

Personalmente mi sfugge proprio il senso di pubblicare un’edizione su supporto vinilico, oltretutto curandola come abbiamo verificato per la procedura di stampaggio, se poi la si fa suonare come un CD. O più precisamente per farne somigliare il suono a quello del supporto digitale, coniugando in sostanza il peggio di entrambe le tecnologie.

Se voglio sentire il suono di un CD mi prendo un CD, che almeno è esente dalla delicatezza e dai fenomeni di usura tipici del formato vinilico, oltre a non avere il problema dell’accumularsi della polvere nei solchi. Viceversa, se decido di affrontare la sfida dell’LP e le sue conseguenze, lasciate almeno che possa godere del suo vero suono.

In tutta onestà questa ristampa evidenzia in alcuni momenti una sonorità apprezzabile: per le voci, che escono fuori con decisione dai diffusori, e nei raddoppi, in cui ognuna di esse mantiene la sua incisività, quantomeno nell’ascolto con un impianto di qualità. E’ altresì possibile rilevare qualche incertezza nell’esecuzione di Pagani al violino che nell’edizione originale passava inosservata.

Per contro si rileva una compressione evidente della dinamica, che deriva probabilmente dalla volontà di “tenere su” il livello della riproduzione lungo tutto l’arco della sua durata, mentre l’insieme delle elaborazioni effettuate sulla registrazione ha comportato un netto scadimento per le doti di nitidezza e di realismo dei singoli strumenti e della registrazione nel suo insieme.

A questo proposito il confronto con il vinile di prima stampa, in mio possesso fin dalla sua uscita, è disarmante e pone in un’evidenza notevole i disastri che si possano compiere nelle operazioni di remastering di una registrazione, magari presumendo di apportarvi chissà quali miglioramenti. Nei confronti di una seconda stampa, pubblicata qualche anno più tardi rispetto all’originale, le impressioni non cambiano.

Nessuno pretende il suono di una prima stampa da una riedizione di questo tipo, ma da lì a operare stravolgimenti simili ce ne corre.

Mi è stato detto che il master utilizzato per questa stampa deriva dalla elaborazione dei file in formato 24/192 in possesso della casa discografica: eccoci di fronte all’ennesima dimostrazione che i numeri non valgono nulla, anche se a volte possono rivelarsi utilissimi per indurre aspettative che poi vengono disattese. Un master ricavato da un semplice 44/16, se trattato con le dovute accortezze sarebbe stato ben più godibile.

Forse sarebbe ora di capire una volta e per tutte che se a suo tempo le cose sono state fatte in un certo modo, c’è senz’altro un buon motivo. Questo vale non solo per le ristampe del genere musicale che stiamo considerando, ma anche per quelle distribuite attraverso i canali più consueti.

Per esperienza personale so perfettamente che questo discorso può suscitare veri e propri attacchi d’ira in certi “addetti ai lavori”. Al di là delle chiacchiere e dei tentativi di discredito, che come sempre hanno quale origine la mancanza di argomenti migliori, a mettere le cose nella loro prospettiva concreta ci pensa la realtà. Che ha il bruttissimo difetto di essere oltremodo testarda e soprattutto refrattaria a mistificazioni e a narrazioni più o meno interessate.

Ora mi chiedo: se si è deciso di far ascoltare al grande pubblico gli album migliori del rock progressivo italiano, perché offrirglieli per il tramite di un’estetica sonora che non ha più nulla a che vedere con l’originale e ne stravolge totalmente i canoni e l’essenza?

Se si pubblicasse una retrospettiva sulle opere maggiori della storia italiana dell’arte pittorica, a chi verrebbe l’idea di modernizzare La Gioconda facendole vestire occhiali da sole e vesti variopinte, mostrandola intenta a compulsare lo schermo di un telefonino, per poi pretendere che si tratti ancora dell”opera originale?

Anche nel momento in cui si è deciso che una modernizzazione del suono di quei capolavori, o meglio del bilanciamento dei livelli attribuiti ai diversi strumenti, dei quali peraltro era una componente di importanza primaria, perché spingersi a tal punto?

Ci voleva tanto poi a eseguire, oppure ad affidare a personale competente, un riascolto delle rimasterizzazioni attraverso mezzi di d’indagine idonei per comprendere che l’intervento effettuato non è inadeguato ma proprio distruttivo?

Si, forse a chi ha uno di quei giradischi plasticoni con testina da 20 euro che integrano pre phono e uscita usb al loro interno, la sonorità di questa ristampa potrà apparire di buona chiarezza. Ma per tutti gli altri, che ritengo siano tuttora la maggioranza, un intervento simile è semplicemente dannoso.

In sostanza allora, con la raccolta Rock Progressivo Italiano si è persa un’ottima occasione: far ascoltare ai suoi acquirenti quel che è stato davvero il prog italiano. Una delle sue caratteristiche distintive era appunto la contrapposizione, e a volte la vera e propria collisione, tra le sonorità e le dinamiche degli strumenti utilizzati, qui sostanzialmente annullata.

Se ne ripropone una versione sfigurata, dall’attinenza agli originali praticamente nulla per quel che riguarda la timbrica dei singoli strumenti e la sonorità generale dell’opera. Essendo costituita dagli equilbri reciproci originariamente attribuiti ad essi in fase di registrazione e di missaggio, ne rappresenta a tutti gli effetti un elemento primario, paritetico alla scrittura e all’arrangiamento delle sue parti. E forse ancora più importante, dato che un intervento siffatto va proprio a modificare quanto previsto dall’autore.

Sarebbe auspicabile insomma un maggiore rispetto nei confronti dell’opera musicale, tale da sconsigliare di alterarne a tal punto il contenuto originale.

Chi vuole ascoltare per davvero “Storia Di Un Minuto” e il resto degli album più importanti del prog italiano, se desiderla farlo attraverso il vinile e con la necessaria attinenza all’originale, deve continuare a rivolgersi al mercato dell’usato, oltretutto caratterizzato dai prezzi che sappiamo.

Peccato, davvero.

12 thoughts on “Prog Rock Italiano

  1. Salve, mi chiamo Innocenzo Alfano (ho già commentato un altro suo articolo). Trovo interessanti le sue osservazioni riguardo all’ambiguità di certe iniziative editoriali. Per la riscoperta del vinile, ma forse è più corretto dire del “suono del vinile”, sarebbe infatti necessario che tutto il processo di produzione dei dischi fosse conforme a quello in uso durante l’epoca d’oro di questo supporto fonografico, al fine di riproporne i risultati in maniera fedele (all’originale). Avendo alcuni lp stampati negli ultimi 4-5 anni e venduti nelle edicole (per lo più edizioni De Agostini), posso dire che, in generale, sembra anche a me che queste ristampe, anche quando suonano bene, non abbiano propriamente il “suono del vinile”, cioè il tipico sound degli lp degli anni ’60 e ’70. E in qualche caso hanno addirittura un suono indecifrabile, come mi è capitato di osservare ascoltando “Live At The Isle Of Wight” dei Taste pubblicato nella collana “Blues in vinile” (e potendo confrontare questo lp, stampato nel 2017, con una prima stampa italiana Polydor del 1972 e con un cd, sempre Polydor, degli anni ’90).
    Credo però, altresì, che gli acquirenti di tali prodotti, influenzati dallo status di certi gruppi e artisti storici, siano attratti soprattutto dalla componente visuale, dal fascino della confezione, cioè dalle mitiche copertine di cm. 31×31 (meglio ancora se apribili), e non si curino molto di sapere se la resa audio assomigli tanto o poco a quella delle versioni originali di quei dischi. D’altronde, come ha giustamente osservato anche lei, in alcuni generi musicali – per esempio nel rock progressivo – la parte grafica degli lp non era, molto spesso, meno intrigante di quella musicale. In ogni caso, se decidessero di concentrarsi sulla natura dei solchi, immagino che non riuscirebbero a notare tanto facilmente le differenze sonore che lei ha messo bene in evidenza, anche perché, in effetti, può non essere una cosa semplice. Ma più che altro, come ho già detto, penso che non siano interessati ad indagini, diciamo così, filologiche. Per tutti quelli che invece sono interessati, il problema che lei ha sollevato resta.

    Cordiali saluti.

    1. Ciao Innocenzo e bentornato.
      Anche stavolta hai puntualizzato una serie di elementi fondamentali nella realtà attuale del supporto vinilico e di quanti sono ad esso maggiormente interessati.
      Rispetto a 40 o 50 anni fa molto è cambiato, quindi non ci si può aspettare un approccio sovrapponibile a quello che avevamo noi, ai nostri tempi, nei confronti dei dischi LP.
      Molti neo appassionati di analogico, oltretutto, hanno costruito la loro esperienza sul supporto digitale e sulla sua asetticità di fondo, già a partire dalla confezione che non ha più permesso quella forma di arte parallela, inerente la grafica di copertina, che non di rado ha avuto un’importanza non dico pari ma spesso confrontabile con quella dell’opera musicale immortalata su disco. In ogni caso ha contribuito a connotare la musica di ogni singolo album, costituendo di fatto una sorta di anteprima visuale che preparava l’ascoltatore alle delizie che di lì a poco sarebbero fuoriuscite dal disco e dall’impianto.
      Un utilizzatore abituato alla povertà grafica obbligata dalle copertine dei CD, se ha un minimo di sensibilità artistica non può che essere folgorato dalla ricchezza visuale propria di tanti LP, in particolare di rock progressivo.
      In merito alla qualità delle ristampe, il discorso è sempre lo stesso. Peggio ancora per le collane progettate per la vendita nelle edicole, penalizzate dai ripetuti trattamenti di digitalizzazione e rimasterizzazione eseguiti nel corso del tempo, che si pretende addirittura costituiscano un di più, quando invece sono un elemento di palese degrado per l’opera così come era stato concepita all’origine. In termini di sonorità e di equilibrio fra i timbri dei vari strumenti.
      Per questo sostengo che la scelta più conveniente sia quella dell’usato, sopratutto per i titoli non particolarmente presi di mira dall’interesse collezionistico, proprio perché li si può almeno ascoltare così come concepiti in origine.
      Altrimenti è meglio acquistare il CD, per il semplice motivo che il formato sulle cui caratteristiche sono state eseguite determinate operazioni finisce spesso col suonare in maniera più credibile rispetto alle ristampe viniliche similmente imbastardite.
      Certo in questo modo viene meno il rituale vinilico, del quale molti tra quelli che ne hanno vissuto l’epoca d’oro di persona ritengo possano fare volentieri a meno. in ogni caso, se devo scegliere al rituale preferisco di gran lunga una sonorità più vicina all’originale, ottenuta spesso e in maniera alquanto inverosimile con il CD, ulteriore paradosso che conferma come il mondo della riproduzione sonora sia di essi una fucina di efficacia impareggiabile.
      Giacché mi ci trovo, ti segnalo che ho affrontato il problema anche in alcuni altri articoli inclusi nella categoria Musica e supporti.
      Grazie e a presto.

  2. Ottima analisi, (complimenti) sarebbe bello vederla aggiornata e ampliata con l’uscita del fascicolo 2 (Banco del Mutuo Soccorso)
    vorrei aggiungere che questa “garanzia” che offre il formato 180g non la vedo, specie sul fatto che possa essere ondulato e questo non dipende dal fatto che sia esposto in edicola. I vinili da 180g acquistati in un negozio hanno stessa percentuale di rischio (alto)
    Il fascicolo 2 – Banco del Mutuo Soccorso suona come un CD ma il problema è che DeA utilizza stampe già esistenti e già in commercio. Quindi stesso suono.

    1. Grazie per l’attenzione e per il commento.
      Ti dirò, ho pensato anch’io di prendere diversi tra i vinili della raccolta, compreso quello da te menzionato, che peraltro già ho in tre esemplari, due salvadanai e una seconda stampa.
      Anche se la prima esperienza mi è bastata e avanzata, purtroppo, una seconda opportunità non la si nega a nessuno.
      Nei prossimi giorni vedrò di procurarmi una copia del secondo disco della raccolta da sottoporre a verifica, sperando che gli esiti siano diversi rispetto a “Storia Di Un Minuto”.
      Sono stato per decenni un acquirente compulsivo di vinile, nell’ultima fase numerosi da 180 grammi. Nella mia esperienza questo formato ha dimostrato di essere molto meno tendente a deformazioni e ondulazioni rispetto alle grammature inferiori.
      Quindi tenderei a pensare che anche la perfetta planarità dell’esemplare da me verificato, sia pure dopo le peripezie della fase di distribuzione e la permanenza in edicola per più di una settimana, non sia casuale.
      Poi, certo, se ai dischi prima di rivenderli gli si fa prendere la tintarella, o comunque li si conserva in ambienti a temperatura fin troppo elevata, credo che di grammi non ne basterebbero neppure 280! 😉
      La “dead wax” del disco verificato riporta indicazioni che fanno pensare a una tiratura specifica per questa uscita. Notoriamente la fase di realizzazione del master analogico da cui si effettua lo stampaggio dei vinili ha influenza sul suono del disco, ma almeno altrettanta ce l’ha il nastro o il file di partenza. L’amico Saverio Caccavale, che approfitto dell’occasione per salutare ed è persona appassionata e affidabile, mi dice che nel sito dell’editore è specificato che il vinile verificato in questo spazio trae origine dai file digitalizzati a 192/24 in possesso della casa discografica, sottoposti a ulteriore elaborazione.
      Poi come sempre più che i numeri e il formato di uscita contano il manico, la qualità delle apparecchiature utilizzate e la volontà di rispettare le sonorità originali di chi esegue determinati interventi, per quanto le incertezze e le insidie tipiche del processo di digitalizzazione dei master analogici siano ben note.
      Riguardo alle riedizioni dei dischi di rock progressivo, devo dire di essermi trovato molto meglio con le giapponesi rispetto a quelle realizzate qui da noi, anche per quanto riguarda gli album della PFM, sia pure ascoltate su supporto digitale.

      1. Grazie Claudio della tua risposta ! E’ difficile trovare articoli o commenti su internet scritti da persone con competenza o per lo meno esperienza, come la tua. Ho acquistato qualche decina di ristampe di cui possiedo gelosamente antiche stampe originali, anche prime stampe. Di confronti ne ho fatti. Non sono molto ottimista su un buon ritorno al vinile nel rispetto della sua autenticità poiché troppi fattori ne ostacolano il buon esito.
        Tra questi c’è questa cosa che scrivi : “file digitali sottoposti a ulteriore elaborazione” … Quell’ulteriore elaborazione può essere solo causa di ulteriore peggioramento ..
        Acquistare il secondo fascicolo (Banco) può darti ulteriori basi per scrivere i tuoi articoli. Vorrei tanto un accurata recensione basata sul confronto con i dischi originali. Grazie

        1. Carissimo Jaemes, il tuo apprezzamento mi fa grande piacere.
          Cercherò di fare in modo da pubblicare quanto desideri nei prossimi giorni.
          A presto.

    2. Bella recensione, non lascia scampo.
      Ma parlando sempre di queste ristampe, vale la pensa di prendere il vinile del banco in edicola a 17 euro rispetto a quello proposto da Amazon a 19 euro?
      Certo nel calendario Delle uscite ci sono dischi che non si trovano neanche in ristampa, ma altri che si comprano regolarmente online.
      Che ne pensi?

      1. Caro Alberto, hai colto il nocciolo del problema.
        2 euro non fanno la differenza, anche se poi andrebbero considerate le spese di spedizione, che se non si acquista di frequente sul sito da te menzionato rendono il divario più corposo, anche se non decisivo.
        A favore dell’uscita in edicola c’è il fascicolo, almeno quello curato da chi sa il fatto suo. Tutto sta a vedere quali e quante differenze ci sono nei confronti delle ristampe “ufficiali” che spesso e volentieri hanno dimostrato anch’esse di non brillare particolarmente.

  3. Ottima lettura, analisi personale, ma da persona che guarda le cose a 360 gradi, ce ne fossero di piu’ di persone cosi’.
    Comunque, scorrendo i titoli in uscita devo dire che il principale referente è la Sony, detentrice dei diritti RCA, all’epoca la label di riferimento del Prog italiano.
    Visto che vendo vinili prog da almeno 15 anni, e quindi questa operazione la concepisco per quella che è …. da edicola … l’unica mia curiosita’ è quel Rovescio della Medaglia – Contaminazione, a tutt’oggi uno dei pochi dischi non ancora ristampati, e personalmente uno di quelli che mi piacciono di piu’.
    Per il resto tutto materiale in commercio nei migliori negozi di dischi …. a 20 euro!
    Grazie ancora e ti seguiro’ nei prossimi tuoi scritti.
    nello

    1. Grazie dell’attenzione e del commento, Nello.
      In effetti da qualche anno Sony sta effettuando un’acquisizione ad ampio raggio per quel che riguarda il rock italiano.
      Quanto alla raccolta di cui abbiamo esaminato il primo numero, si tratta certamente di un’operazione da edicola. Il che però non impedisce di fare le cose in un certo modo, basta volerlo e ovviamente esserne in grado.
      Sarebbe sato sufficiente solo un minimo di attenzione e di rispetto in più: per l’opera e per gli artisti che a suo tempo la realizzarono, cosa che avrebbe attribuito un’immagine migliore all’editore e alle sue iniziative. Che invece, dati i presupposti siamo costretti a considerare soltanto come azioni volte alla ricerca di utili, senza andare troppo per il sottile. Sfruttando nella fattispecie il grande ritorno di interesse per il vinile verificatosi negli ultimi anni, in partrallelo a quello per il progressivo italiano, che però si fa del proprio meglio per affossare.
      In particolare agli occhi del pubblico generalista, il quale potrebbe credere che quello dei dischi contenuti nella raccolta sia il vero suono analogico.
      Ti dico la verità: insieme a diversi altri, “Contaminazione” è uno dei titoli che ha destato anche il mio interesse. Dati i presupposti però, credo che guarderò altrove.
      Un’ultima considerazione di carattere tecnico: a parte la sapienza con cui si effettuano determinati interventi sul segnale audio, ognuno di essi ha un suo potenziale distruttivo, ineliminabile. Nella fattispecie si è partiti da un master che come ogni cosa di questo mondo è gravato già in origine dai suoi compromessi ed è stato digitalizzato una prima volta. Il file 24/192 da cui si è partiti per questa edizione deriva a sua volta da quello originale in analogico o è un ricampionamento di una digitalizzazione precedente? A tutto questo si è aggiunta la famigerata “elaborazione”, riguardo cui non indaghiamo sulle modalità di effettuazione.
      Si è arrivati così a risultati simili che purtroppo parlano da soli, potenzialmente senza neppure rendersi conto di quello che si stava facendo, dato che voglio continuare a pensare che nessuno rovini opere del genere per divertimento.

  4. Grazie Claudio della esaustiva disamina dell’ argomento. Se dovessi cercare qualcosa della PFM ho a chi rivolgermi, un amico che su questo ha costruito un discreto business, fornito spesso di prime stampe a prezzi decenti….

    1. Grazie a te Fabrizio per l’attenzione e il commento.
      Devo dire che riponevo grandi speranze in questa raccolta. Purtroppo sono state vanificate, con mio grande rincrescimento.
      A presto

Rispondi a Claudio Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *