Prog Rock Italiano – Prova d’appello

C’era molta attesa per la collana Prog Rock Italiano: annunciata da tempo, avrebbe permesso di accedere comodamente a uno dei filoni musicali che negli ultimi anni ha conosciuto un forte ritorno di interesse. Appunto il rock progressivo italiano, con il tramite di un supporto altrettanto apprezzato, il vinile da 180 grammi.

Tutto quello che si doveva fare era avere pazienza: non tanto per attendere l’arrivo di ogni vinile, quindicinale, ma per il completamento delle uscite, alla fine di una serie di ben 60 LP.

Chi ha letto l’articolo dedicato al primo LP sa che purtroppo le speranze sono andate in buona parte deluse.

In particolare per la qualità sonora, che in fin dei conti è la cosa più importante. Non che ci si attendesse chissà cosa, come  una fedeltà assoluta al suono delle stampe originali e tantomeno c’erano velleità di miglioramento. Per conto mio la differenza nei loro confronti, in peggio, si è rivelata davvero troppa.

Un minimo di “modernizzazione” nei confronti della timbrica, al limite, ci può stare: del resto i guasti causabili potenzialmente da una digitalizzazione eseguita con superficialità sono noti, ma arrivare alle esasperazioni messe in luce dal disco sottoposto all’ascolto la settimana scorsa, proprio no.

Non solo per quel che riguarda la timbrica ma anche e soprattutto la dinamica: una compressione simile, probabilmente introdotta in base alla volontà di tenere su il livello del segnale a qualsiasi costo, in ottemperanza ai dettami della loudness war da tempo in voga, significa innanzitutto non aver capito nulla di quello che è stato il rock progressivo, ma soprattutto di non avere idea di cosa siano concetti come rigore filologico e ancor più rispetto per l’opera d’arte e per chi l’ha realizzata, entrambi necessari per affrontare un compito come quello che ci si è prefissi con la raccolta di cui stiamo parlando.

Poi possiamo tirare fuori dal cilindro i numeri più convincenti, o meglio, roboanti che vogliamo: con la testardaggine che la contraddistingue, la realtà non cambia. Basta mettere il disco sul piatto e avere una vaga idea di ciò che si dovrebbe ascoltare per comprendere la situazione senza troppe difficoltà.

Ci sarebbe voluto davvero poco per fare molto di meglio: ad esempio andarsi ad ascoltare le riedizioni giapponesi più recenti, pubblicate oltretutto su supporto digitale, dei dischi della PFM e poi andare alla ricerca di qualcosa di simile. Invece di appiattire tutto, per timbrica e dinamica, per poi conferirgli la tipica sonorità urlante, si poteva provare a dare maggiore profondità ai suoni e soprattutto ai contrasti tra di essi. Cosa che tali esempi hanno dimostrato essere fattibilissima. Al limite si sarebbe potuto richiedere il permesso di utilizzare proprio quei master.

Insomma, la storia resta la stessa: le manopole a disposizione sono innumerevoli, ben altro è capire fino in fondo quali sono le conseguenze che derivano dal loro azionamento.

Certo, allo scopo sarebbero state necessarie almeno un po’ di umiltà e di considerazione. Questione di testa insomma, prima ancora che di orecchio, che se non ce l’hai non te li puoi dare. Si finisce allora con l’affrontare un compito simile con troppa leggerezza e presunzione, anche se la parole giuste sarebbero sciatteria e arroganza. Da cui i risultati che sappiamo.

Che poi certe genialate siano state eseguite non da chi si limita pubblicare la collana, comunque volendo far credere che si tratti di chissà che, ma dalle stesse case discografiche, non sposta di una virgola la materia del contendere. Semmai è un’ulteriore aggravante. Che la dice lunga sui criteri con cui queste gestiscono i cataloghi storici in loro possesso.

Tra l’altro sembra che la copia da me acquistata di “Storia Di Un Minuto”, caratterizzata da planarità e accuratezza di stampa impeccabili, oltreché da una quantità di rumore superficiale tutto sommato accettabile, sia stata di quelle fortunate. Infatti mi è giunta notizia di esemplari molto peggiori anche sotto questo punto di vista, gravati da problemi che non è stato possibile risolvere neppure dopo un cambio di vinile concesso dall’edicolante.

Questo spiega che un conto è inventarsi una bella stampigliatura da apporre in bella mostra sulla confezione, con tanto di motto inneggiante all’eternità del vinile, tra l’altro dopo che è stato dato per morto non so più quante volte. Cosa diversa invece è far si che quel pezzo di plastica funzioni come deve.

Mi è dispiaciuto molto dover constatare cose del genere, non in veste di semplice appassionato del genere musicale in questione, ma proprio di suo testimone oculare, avendo avuto la fortuna, per motivi anagrafici, di vivere in prima persona e in maniera approfondita quell’epoca irripetibile. Di essa ho un ricordo incancellabile e oltretutto ritengo abbia influito in maniera sensibile sul mio modo di vivere e vedere le cose.

Anche dal punto di vista del collezionista di vinili, la possibilità di avere a disposizione a costi accettabili una serie di titoli molto interessante era davvero allettante.

Le cose invece sono andate come sappiamo. Prima di dare definitivamente per persa quella che poteva essere un’occasione splendida, ho deciso di dare un’altra possibilità alla raccolta, con la verifica della seconda uscita che riguarda l’album d’esordio del Banco Del Mutuo Soccorso.

Dopo tanti anni si ripropone ancora una volta il dualismo tra Banco e Premiata: sotto questo aspetto possiamo dire che almeno dal punto di vista della successione delle uscite, il curatore della raccolta ha fatto la scelta giusta. A dirla tutta non mi trovo tanto d’accordo con la prossima, che sarà “Felona e Sorona” delle Orme, mentre la quarta sarà “Arbeit Macht Frei” degli Area. Avendo iniziato con i dischi d’esordio di quelli che sono stati i gruppi maggiori del genere, per le Orme si sarebbe potuto pubblicare invece “Collage”, attribuendo alla raccolta una maggiore coerenza anche a livello cronologico. (Come ha rilevato un lettore attento, che ringrazio, il disco delle Orme e quello degli Area sono previsti per le uscite 6 e 7, il che non influisce sul succo del discorso appena fatto.).

Si sarebbe fornita così l’occasione di confrontare su una base di maggiore pariteticità i valori artistici, creativi e di perizia esecutiva espressi da ciascun gruppo nella medesima fase storica.

 

Il salvadanaio

Se reperire il primo disco della raccolta, sia pure a oltre una settimana dall’uscita in edicola, mi è riuscito al primo tentativo, per il disco del Banco ho penato un bel po’ di più, malgrado mi sia mosso con maggiore tempestività. Le edicole cui mi sono rivolto l’avevano già esaurito e per recuperarne una copia ho dovuto girare parecchio. Probabilmente “Storia Di Un Minuto” è stato stampato e distribuito in un numero di esemplari maggiore.

Diversamente dall’album precedente, stavolta la copertina non è conforme all’originale. Cosa che del resto sarebbe stata parecchio complicata, da realizzare e da gestire. Pertanto la sua forma è quella usuale del quadrato da 32×32 cm circa, nel quale è inserita l’immagine divenuta forse l’icona più nota del prog italiano.

Peccato che dalla fessura a mezzaluna manchi almeno il simulacro della linguetta estraibile che nell’edizione originale era ancorata a un elastico e permetteva di estrarre dal salvadanaio i ritratti dei componenti del gruppo. Ulteriore testimonianza delle difficoltà di gestione di una copertina siffatta, persino da parte della stessa casa discografica che a suo tempo ne curò la pubblicazione.

Stavolta nella confezione c’è un po’ meno cartaccia, per il resto valgono le impressioni rilevate nella verifica della prima uscita.

La copertina quindi resta un po’ troppo leggerina per un vinile di questa tipologia, mentre la busta interna mantiene le prerogative che l’hanno fatta apprezzare poco più di una settimana fa.

Stranamente c’è una differenza di peso tra i due dischi. Quello del Banco è di alcuni grammi più leggero, aspetto dovuto proprio al vinile.

La superficie dell’LP anche stavolta è bella lucida. La prima delusione però arriva al momento di metterlo sulk piatto la planarità è ben lontana dall’essere ideale. Troppo scarsa è la protezione con la quale deve affrontare le insidie della distribuzione nei medesimi canali della carta stampata. Ne consegue un disco pesantemente ondulato, che vanifica le qualità e la consistenza della materia prima.

Mi chiedo se l’impiego di una confezione più adeguata alle necessità del contenuto avrebbe reso così inaccessibili i costi di realizzazione, e poi quelli al pubblico del prodotto finito.  

La silenziosità ancora una volta non è perfetta, ma è migliore del disco della PFM.

Per la verifica della sonorità di questo album ho ritenuto non fosse molto corretto fare un paragone con la prima stampa, dato che già da parecchio i “salvadanai” in buone condizioni vengono disputati a colpi di svariate centinaia di euro dagli appassionati di collezionismo vinilico.

Un confronto simile sarebbe comunque stato possibile, dato che ho disponibili due esemplari di quest’album in prima stampa.

Ben altro discorso è il reperire una stampa successiva del disco, in termini di difficoltà e di costi. Per cui stavolta ho reputato più indicato eseguire il confronto con una di esse, che tra l’altro ha evidenziato a suo tempo la buona similtudine con la sonorità delle copie più ambite.

Per quanto il lavoro di attualizzazione del suono sia evidente anche per il disco del Banco, i suoi esiti sembrano in qualche mìsura meno devastanti rispetto a quelli verificati per “Storia Di Un Minuto”. Probabilmente si è intervenuti con minore supponenza e mano più leggera, ma In parte potrebbe dipendere anche dalla sonorità del “salvadanaio”, alquanto più introversa e quindi meno incline a mettere in luce le conseguenze di certi interventi.

L’ascolto della ristampa prescelta come riferimento è caratterizzata ancora una volta da una sonorità di maggiore naturalezza, non essendo stata sottoposta alla digitalizzazione che allora era ancora di là da venire, e dalla timbrica meno enfatizzata. Soprattutto, nei passaggi più energici si dimostra scevra dalle esasperazioni che invece emergono di tanto in tanto lungo un po’ tutta la durata dell’album, nella sua versione “da edicola”.

Ovviamente non mancherà chi preferisce il suono di quest’ultima: personalmente ritengo che un’operazione del tipo di Prog Rock Italiano debba preoccuparsi in primo luogo del ripescaggio di album meritevoli artisticamente e non certo di rendere più o meno gradito il loro equilibrio timbrico. Non fosse per il fatto che, come abbiamo visto, imbarcandosi in certe imprese è più facile fare danno che altro.

Un certo appiattimento della dinamica, sia pure mimetizzato dietro un livello medio più alto, e una minore profondità emergono anche per il disco del Banco, sia pure in maniera meno plateale e stucchevole rispetto a quanto avvenuto con il suo predecessore. Ritengo sia in larga parte il frutto del combinare il processo di digitalizzazione alla quale purtroppo viene sottoposta la stragrande maggioranza dei vinili oggi in circolazione, che li si acquisti in edicola o meno, con la brutta abitudine di andare alla ricerca di una presenza maggiore sul medio-alto, denominatore comune di molte tra le riedizioni succedutesi dopo l’esordio dell’audio a codifica binaria.

Tale presenza dal mio punto di vista non è manchevole nella registrazione originale, deriva sopratto dall’incapacità del mezzo di riproduzione utilizzato di metterne in evidenza le prerogative.

Pensando di risolvere quello che è un falso problema, in realtà se ne crea uno peggiore, che anche e soprattutto con le macchine che hanno le probabilità maggiori di misurarsi con stampe del genere non ne rende l’ascolto più piacevole ma lo trasforma in uno strazio.

Del resto il mio pensiero al riguardo l’ho già espresso nell’articolo dedicato al disco della PFM, quindi non mi sembra il caso di ripeterlo qui.

Anche stavolta, comunque, se dovessi scegliere tra la riedizione da edicola e una ristampa dell’epoca in condizioni almeno discrete trovata sul mercato dell’usato, non avrei dubbi. Malgrado le lusinghe del formato da 180 grammi, elemento che ancora una volta fa riflettere sul significato ingannevole insito nel numero, con il quale si cerca subdolamente di suggerire un’idea di eccellenza per poi vendere qualcosa di peggio di quel che già era disponibile, mi dirigerei senza indugi sulla seconda. Lasciando il tipo di ristampe di cui stiamo parlando come ultima risorsa, quando del titolo cui si è interessati proprio non si riesce a trovare nulla.

Stiamo parlando in definitiva di un’operazione partita male e finita peggio. Un po’ per la faciloneria che evidentemente pervade il mondo dell’editoria e poi per l’arroganza di quella discorgrafica, che per il modo con cui si approccia al patrimonio storico presente nei suoi archivi non sarà mai deprecata a sufficienza.

Per conto mio, volendo entrare in possesso dei dischi più importanti del progressivo italiano, ma non desiiderando impelagarsi nelle insidie del mercato dell’usato, meglio rivolgersi alle riedizioni più recenti su CD edite in Giapppone, cui ho fatto riferimento in precedenza.

Molto più aderenti alle timbriche originali, riescono inoltre ad arricchirne e a renderne più vivide e profonde le sonorità, permettendo di apprezzare in maniera ben più godibile gli album storici di un genere musicale che ha dimostrato di reggere come pochi alle insidie del tempo. E che soprattutto non meritano di essere stravolti, o meglio vilipesi, da parte di discografici tanto saccenti quanto incompetenti, che dimostrano ancora una volta di essere alla ricerca di carne da macello sempre nuova da sacrificare al loro tornaconto economico.

Police verso, dunque, e lo dico ancora una volta con grande dispiacere, anche in questa prova d’appello.

Passiamo oltre.

 

 

 

 

2 thoughts on “Prog Rock Italiano – Prova d’appello

  1. Grazie per la generosa analisi che condivido abbastanza. Questi albuns hanno per lo meno un senso : pur con i loro limiti sono un alternativa alle vecchie stampe, spesso usurate, vendute da speculatori e fans del collezionismo (per i loro interessi). Ottimo il tuo invito a guardare ai CD. Sul vinile ondulato, come ho già scritto, l’edicola incrementa solo un po un fenomeno già esistente collegato con le nuove ristampe a 180g, anche se acquistate in negozio. In vendita sono disponibili ristampe della Btf.it che offre un buon catalogo, con Albums importanti che non vedo nel piano dell’opera. La qualità oscena di questi dischi mi fa pensare che DeAgostini abbia scartato le stampe peggiori. Sempre che non ci siano altri motivi. Grazie

    1. Grazie a te Jaemes per l’attenzione e il supporto.
      Spero di averti tra i frequentatori assidui di Il Sito Della Passione Audio.

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