Novembre 2018, il mese dei cinquantennali

Diciamocelo pure, senza tanti giri di parole.

Al giorno d’oggi la vita dell’appassionato medio di musica non solo non è esaltante, è anzi piuttosto grama. Ma siccome a tutto ci si abitua, si finisce con il non farci nemmeno più caso.

Si arriva così a farsi bastare le percussioni all’inizio di Hotel California o la voce in primissimo piano di qualche improbabile cantante di terz’ordine o pianista dalle fattezze androgine ma in posa vistosamente e perennemente scosciat. Fenomeno oggi tanto di moda non solo nella discografia “audiophile” ma persino nel mondo rarefatto della classica. Che se vuole sopravvivere deve prestarsi anch’essa all’irrinunciabile mercificazione fondata anche e soprattutto sul richiamo sessuale.

La logica è sempre la stessa: tutta l’importanza è monopolizzata dall’immagine, visto che ai ritmi di vita e con la mentalità di oggi, tempo e voglia per un approfondimento, anche minimo, non ce ne sono.

Tanto poi, dopo aver ascoltato quello, per 5-10 minuti e non di più, si è già fatto tardi e la mogliettina o chi per lei chiama che sono pronte le “Panatine Di Pollo” (anabolizzato), la “Pizza Ristorante” (da farine al glifosato) o qualche altra sorta di noncibo premasticato come quello che occhieggia dai banchi-frigo di un qualsiasi supermercato o discount. Anello finale di un processo industriale che finge di dedicarsi all’alimentazione del genere umano ma in realtà si occupa della sua alienazione, mediante un lento ma continuo avvelenamento e istupidimento di massa.

La logica è per nulla dissimile da quella che ha devastato la cinematografia di cassetta, tramutatasi da arte visiva a sfondo letterario, quello necessario a realizzare il substrato fatto di sceneggiatura e dialoghi capaci di avvincere lo spettatore, in una mera sequela di chiassosi effetti speciali e di scene dominate o meglio ideate apposta quale  pretesto per una violenza gratuita ma contagiosa, secondo uno schema insulso e irritante per la sua prevedibilità, ma dal risvoloto sociale devastante.

A volte però capita qualcosa che porta, o meglio costringe proprio, a fare paragoni. Tanti magari non se ne saranno neppure accorti, ma ci troviamo di fronte a una situazione del genere. Nel mese di novembre 2018, infatti, cade il cinquantennale dalla pubblicazione di un discreto mucchietto di dischi storici dal grande valore artistico.

Nel momento attuale parrebbe non incredibile ma proprio al di là dell’immaginabile dalla fantasia più fervida e generosa che un tesoro simile, in termini musicali, abbia visto la sua pubblicazione nell’arco di soli 30 giorni. Oggi non basterebbero 10 anni non dico per avere tanto, ma neppure una parte di tanta cornucopia.

L’elemento che reputo più sorprendente, però, è che all’epoca cose simili si dessero per scontate. A dimostrazione che solo a distanza di tempo si può osservare in maniera corretta la realtà in cui ci si è trovati e attribuirle il suo valore concreto.

Per conto mio la precedenza assoluta in questo elenco di riedizioni celebrative è da attribuire a “Electric Ladyland” di Jimi Hendrix. Album doppio riguardo al quale è stato detto detto di tutto e di più, quindi non vale la pena di stare qui a ripetere l’ovvio.

Neppure però si può sorvolare sul fatto che ha rappresentato il punto nodale per l’evoluzione della storia musicale del ventesimo secolo, vero e proprio spartiacque che ha suddiviso tutto quanto era venuto prima da ciò che sarebbe arrivato dopo.

In genere si attribuiscono a “Sgt. Pepper” dei Beatles, al primo album dei Procol Harum, quelli di “A Whiter Shade Of Pale” e a “Days Of Future Passed” dei Moody Blues i natali del rock progressivo. Intendendo con tale definizione una forma musicale basata sostanzialmente sul recupero degli stilemi tipici della classica, e quindi invece di progredire guardava al passato con grande intensità. La sua ricetta contemplava inoltre l’impianto di respiro orchestrale per composizioni ed esecuzioni, l’usanza, di articolare le composizioni nella forma nota come “suite”, talvolta abusandone, e il rifiuto di qualsiasi limite stilistico o di ricerca dispirazione e contaminazione tra i generi più diversi e all’apparenza in opposizione.

Se questo è assolutamente vero e comprovato dall’evoluzione successiva della cosiddetta musica rock, non è però del tutto esaustivo. Da quell’elenco manca proprio “Electric Ladyland”.

A rigore non avrebbe nulla a che vedere con il progressive. Quantomeno se lo si intende esclusivamente come forma stilistica o linguaggio musicale. Se invece a “progressivo” si attribuisce il significato più ampio del termine, come credo sia inevitabile, intendendolo in primo luogo come abito mentale, e in quanto tale vera origine del fenomeno che al di là di un certo barocchismo di maniera avrebbe trovato sul terreno della musica moderna la sua forma di attuazione se non più efficace quantomeno più vistosa, allora “Electric Ladyland” ne è davvero una delle opere prime. Pur se arrivata con un anno di ritardo rispetto agli album menzionati.

Il terzo disco di Hendrix, infatti, racchiude in sé la vera essenza progressiva. Non in termini di sonorità o di regole stilistiche più o meno arbitrarie, che in quanto tali sono fatte apposta per essere superate o meglio infrante. Il loro rispetto, anzi, è sconfinato a volte in una forma di malintesa ortodossia, portando in pochi anni il rock progressivo a un’involuzione che ha finito con il segnare il destino di quell’esperienza irripetibile. Salvo poi, a distanza di un paio di decenni, andarne a ripescare ogni frammento per farne il soggetto di un recupero d’interesse per molti versi emblematico. E poi utilizzarlo come retaggio di modalità espressive che purtroppo non sono mai riuscite a ripetere i fasti dell’epoca d’oro di quel genere musicale. Si sono ridotte quasi sempre a una riproposizione meccanica di sonorità spesso ibridizzate e poste in parte o del tutto fuori contesto, come quelle del cosiddetto neo-prog. In quanto tali non sono mai riuscite a replicare la concretezza e la profondità dello spessore artistico e ispirativo del vero rock progressivo.

La sostanza progressiva di “Electric Ladyland” invece,  non è questione di linguaggio o di sonorità, ma di approccio e di intenzione. Meglio ancora, di mentalità e predisposizione nei confronti dell’opera musicale, anche la più felice e ispirata, per farne appunto il terreno ideale di ricerca ed evoluzione. La musica contenuta nel doppio album costituisce uno sviluppo sostanziale che la rende non più paragonabile con il contenuto dei primi due album di Hendrix, per quanto caratterizzati da un’espressività dirompente e da una comunicatività altrettanto spiccata.

Doveroso dunque, in questa puntata del cinquantennale, dare la precedenza e l’immagine d’apertura proprio al grandissimo disco di Jimi Hendrix. In assenza del quale non può esistere collezione discografica che meriti di essere definita come tale.

La riedizione del cinquantennale di “Electric Ladyland” si articola su 6 LP, rimixati da Eddie Kramer e masterizzati da Bernie Grundman.

I primi due racchiudono l’album originario, i secondi due le demo e le prime esecuzioni dei brani che poi ampliati e sviluppati ne avrebbero fatto parte. Gli ultimi due infine presentano l’esibizione di Hendrix all’Hollywood Bowl del 14 settembre 1968.

Il cofanetto è pubblicato da Sony CMG e sarà nei negozi a partire dal 9 novembre.

Sarà affiancato dalla versione digitale dello stesso, articolata su CD e sul solito Blu Ray comprendente le versioni dell’opera in audio surround.

Nello stesso tempo, Analog Production ha ristampato in SACD i primi due album del chitarrista, “Are You Experienced”, attribuendogli a quanto sembra la copertina dell’edizione a suo tempo pubblicata sul mercato americano, ben più suggestiva e soprattutto psichedelica rispetto a quella più banale dell’edizione europea, e “Axis Bold As Love”.

Axis è disponibile dal 29 ottobre, mentre l’album d’esordio di Hendrix arriverà nei negozi il 14 dicembre prossimo.

 

 

The Beatles “White Album”

Se vogliamo, il disco bianco dei Beatles, altro doppio LP leggendario, ha una valenza iconica persino superiore a quella di “Sgt. Pepper”, ritenuto a sua volta il picco massimo del gruppo a livello artistico e ispirativo. “White Album” ne è stato il seguito, oltre a mostrare i primi segni di sfaldamento del gruppo, che di li a poco più di un anno si sarebbe sciolto.

Non solo a livello musicale, riguardo al quale il disco bianco dà l’idea di essere più un album realizzato da personalità distinte invece che da un organico coeso, ma anche a livello d’immagine. Le foto di copertina ritraggono singolarmente i quattro, invece che tutti insieme come avvenuto fino ad allora.

Nondimeno il doppio bianco è un album di grande bellezza e intensità, espresse sovente su un piano più introspettivo rispetto alle prove precedenti. Anche di esso sta per arrivare l’edizione celebrativa per il cinquantennale della sua prima uscita.

In occasioni simili mi viene sempre da pensare che se “White Album” mantiene la sua attualità, sia pure a tanti anni di distanza, al momento della sua uscita un disco di anzianità pari a quella che ha oggi sarebbe risalito nientemento che al 1918. Come tale sarebbe apparso in maniera irrimediabilmente anacronistica alle orecchie di qualsiasi ascoltatore del 1968.

In determinati ambiti allora si potrebbe sospettare che, a seconda delle epoche, il tempo scorra a velocità variabile. Ma forse è solo che determinate forme d’arte erano molto più avanti rispetto al periodo in cui hanno visto la luce. O magari quanto avvenuto successivamente, dopo una prima, forte, accelerazione durata per tutta la prima metà degli anni settanta, ha conosciuto in seguito un ancora più vistoso rallentamento. Se non addirittura un’inversione del senso di marcia.

Tanto è vero che soprattutto in ambito rock, alcuni tra i linguaggi oggi più diffusi traggono la loro origine dall’hard rock che durante gli anni 70 venne sostanzialmente rifiutato dalla maggior parte del pubblico, perché ritenuto giustamente sorpassato e privo di sbocco.

Anche la riedizione del cinquantennale di “White Album” arriverà nei negozi il 9 novembre prossimo e sarà disponibile in diverse versioni. La più completa annovera 6 CD e un Blu Ray, oltre all’immancabile materiale letterario e iconografico.

I primi due CD contengono il remix 2018 dell’album, curato di Giles Martin, figlio di George Martin, produttore dei dischi dei Beatles e Sam Okell. Il terzo propone brani tratti dalle sessioni tenutesi nell’abitazione in casa di George Harrison a Esher nel Surrey, note appunto come “Esher Sessions”.

Gli altri 3 CD presentano ulteriori brani,buona parte dei quali inediti, tratti dalle sessioni che diedero luogo al “White Album”. Il disco Blu Ray infine comprende il mix originale mono del disco e quelli in PCM Stereo e a 5.1 canali in formato Dolby e DTS.

Le altre versioni del cofanetto si articolano rispettivamente su 2 o 4 LP e su 3 CD.

 

Stones e Moody Blues

Questo mese ci sono anche altre riedizioni del cinquantennale decisamente interessanti. Si tratta di “Beggar’s Banquet” dei Rolling Stones e di “In Search Of The Lost Chord” dei Moody Blues.

Entrambe le riedizioni sono realizzate su vinile da 180 grammi. Quella degli Stones comprende l’artwork concepito in origine ma censurato, in quanto raffigurante l’interno di un gabinetto con l’usuale corredo di graffiti. E’ inserito all’interno della copertina poi data alle stampe, la cosiddetta “RSVP”. La registrazione è rimasterizzata e la confezione comprende inoltre un flexi disc che riporta l’intervista a Mick Jagger del 17 aprile 1968, oltre a un secondo vinile da 12 pollici con inciso il mix originale mono di “Sympathy For The Devil”.

 

La riedizione dell’album dei Moody Blues è invece basata sul mix stereofonico originale dell’album, secondo una scelta oggi più unica che rara, ma che personalmente ritengo preferibile. E’ curata da UMC e sarà disponibile nei negozi dal 2 novembre prossimo.

Proseguiamo con le anteprime iniziando dal nuovo album di Mark Knopfler, “Down The Road Wherever”, che uscìrà il 16 novembre. E’ il nono album solista del chitarrista fondatore dei Dire Straits, per il quale si è avvalso di una formazione piuttosto ricca che annovera anche sassofono, tromba, trombone e flauto, oltre a due chitarristi, due tastieristi, un percussionista e una completa sezione voci.

Per la stessa data è atteso il nuovo album degli Smashing Pumpkins, “Shiny and Oh So Bright, Vol. 1 / No Past. No Future. No Sun”. Il nuovo album fa seguito all’uscita del singolo “Solara”, avvenuta la scorsa estate, che ha riunito i membri fondatori dopo la separazione e il conseguente periodo di silenzio.

 

Il 7 dicembre vi sarà l’uscita del quarantesimo album di Van Morrison, “The Prophet Speaks”. Per l’occasione reinterpreta una serie di classici di Solomon Burke, Sam Cooke e John Lee Hooker, tra gli altri. Il disco include anche sei brani inediti dello stesso Morrison. La formazione che ha realizzato il disco annovera anche l’organista jazz Joey De Francesco.

 

Sempre per il rock, Vinyl Lovers ha appena ristampato su vinile da 180 grammi la versione pubblicata sul mercato statunitense del primo LP dei Traffic, anch’esso risalente al 1968, arricchita con tre brani extra.

Dei Procol Harum è stato pubblicato “Live In Concert With The Edmonton Symphony Orchestra” in un’edizione ampliata comprendente quattro tracce in più rispetto all’originale, tratte dalle prove eseguite dal gruppo insieme all’orchestra in preparazione al concerto. Il disco è stato realizzato da Esoteric Records.

 

MFSL

Per le riedizioni audiophile, Mobile Fidelity Sound Lab segnala l’uscita di “Parsley, Sage, Rosemary and Thyme”, forse il disco più bello realizzato da Simon and Garfunkel. Si tratta di un Super Audio CD ibrido, comprendente quindi anche la traccia CD per chi non dispone di sorgenti in grado di leggere quel formato.

Con l’occasione l’etichetta segnala anche la prossima uscita del nuovo disco, stavolta in vinile, realizzato secondo la tecnica Onestep che semplifica il processo di stampaggio, da cui una maggiore fedeltà alla registrazione originaria. Si tratta di “Texas Flood” di Stevie Ray Vaughn, che per le limitazioni tipiche del nuovo procedimento di stampa sarà edito in 7.000 copie numerate singolarmente.

Da notare che i titoli precedenti della serie Onestep sono andati esauriti praticamente all’istante, malgrado il loro costo, tuttaltro che contenuto.

Alla descrizione della tecnica Onestep è stata dedicata una puntata della rubrica I dischi del mese, in occasione dell’uscita del primo album realizzato per il suo tramite.

A breve, sempre per la serie Onestep sarà ristampato anche “What’s Goin’ On” di Marvin Gaye, in una tiratura di 7500 copie.

MFSL comunica inoltre che è di nuovo disponibile in catalogo “Kind Of Blue” di Miles Davis, l’album più popolare in assoluto del genere jazzistico, che a quasi 60 anni dalla sua uscita rimane tra i più richiesti.

L’edizione è quella su doppio vinile da 180 grammi a 45 giri.

Sempre per il jazz merita una menzione la ristampa di “Les Stances à Sophie” dell’Art Ensemble Of Chicago. E’ stato il primo di una lunga serie di album registrati dal gruppo nella sua permanenza a Parigi. Divenne in seguito la colonna sonora del film omonimo, non ancora girato all’epoca della registrazione, ed ha tra gli interpreti anche la cantante Fontella Bass, moglie di Lester Bowie, il trombettista del gruppo.

L’Art Ensemble Of Chicago si è espresso secondo una forma di jazz radicale e oggi forse poco digeribile. All’epoca rappresentò una tra le principali direzioni di sviluppo per la musica afroamericana. Il gruppo era parte dell’Association for the Advancement of Creative Musicians (AACM), formata a Chicago nel 1965 da Muhal Richard Abrams con i suoi futuri membri e altri nomi del calibro di Anthony Braxton e Amina Claudine Myers. 

L’AACM ha esplorato le possibilità espressive della musica sperimentale ed ha promosso concerti, l’insegnamento della musica e della storia del popolo nero, offrendo una guida spirituale ai giovani della comunità di Chicago.

Un altro disco molto interessante in ambito jazzistico è “Indeed”, album d’esordio del trombettista Lee Morgan nell’anno 1957. Morgan sarebbe divenuto in breve uno tra i personaggi più influenti nella scena jazzistica, che avrebbe dominato alla fine dei 50 e nel decennio successivo.

 

 

 

 

 

 

Tra le riedizioni jazzistiche più interessanti c’è anche “Stratus Seekers” del George Russell Septet. L’album comprende uno tra i brani più frequentati del genere, “Blues In Orbit” del quale è celebre la reinterpretazione di un altro grandissimo arrangiatore come Gil Evans. Della scaletta fa parte anche “Stereophrenic” titolo che malgrado sia stato ideato alcuni decenni fa può essere posto tuttora in parallelo con la situazione odierna della riproduzione sonora amatoriale..

Un paio di segnalazioni per il blues: il nuovo album del chitarrista Robben Ford, “Purple House”, in vendita già da un paio di settimane; e la riedizione di “Goin’ Way Back” di Muddy Waters. I brani in esso compresi derivano da una registrazione estemporanea che ha avuto luogo a Montreal, in una camera d’affitto durante il tour canadese del 1967. Sono eseguiti esclusivamente per mezzo di chitarre acustiche, con cui si cimentano tutti i componenti del gruppo, compreso il pianista Otis Spann. Testimonianza interessante e fuori dagli schemi, riprende le radici della musica del Delta del Mississippi, che il bluesman di Chicago non ha mai abbandonato.

  

 

 

 

 

 

Chiudiamo con due album di musica classica: il primo è il “Concerto per piano numero 3 in do minore op.37” di Ludwig Van Beethoven, eseguito da Glenn Gould accompagnato dalla Columbia Symphony Orchestra diretta da Leonard Bernstein. L’edizione è su vinile da 180 grammi, pubblicata da Speakers Corner. Da Yo Yo Ma arriva “Six Evolutions”, triplo LP comprendente le Suite per violoncello di Bach, edito da Sony Music.

Per questo mese è tutto.

2 thoughts on “Novembre 2018, il mese dei cinquantennali

  1. Sono in attesa dell’ ultimo Knopfler, il precedente Tracker per me notevole..
    Rimane il dramma che degli eredi capolavori da te elencati di questi tempi è impossibile vengano concepiti.

    1. Ciao Fabrizio e grazie del commento.
      Quello che dici purtroppo è molto vero. Per fortuna di bei dischi da sentire ce ne sono tanti e anche se oggi si produce poco d’interessante, possiamo continuare a variare parecchio il menu dei nostri ascolti.

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