La sindrome del cambia-cambia e la difesa di un modello insostenibile

La realizzazione di un impianto audio efficace è vista in pratica da sempre come una sorta di processo evolutivo. Si parte con un sistemino di prezzo più o meno abbordabile e mediante la sostituzione e l’innesto di componenti via via più costosi si dovrebbe arrivare a possederne uno migliore, talvolta di gran classe.

Per quanto si tratti di un metodo dai diversi aspetti positivi, che vedremo tra poco, non so fino a che punto, oggi, si debba fare un atto di fede nei suoi confronti, arrivando persino a imporlo a chi voglia regolarsi diversamente.

Una testimonianza al riguardo è quella dell’amico Emanuele. Mi ha raccontato di aver dovuto subire vere e proprie angherie, non essendo intenzionato a uniformarsi a tale modello. Il suo desiderio invece era quello di procedere all’acquisto che si fa una volta e per tutte, di un sistema all’altezza dei suoi gusti, delle sue ambizioni e perché no, delle sue possibilità di spesa.

Si potrebbe ritenere che il suo esempio sia alquanto poco comune, ma non per questo si deve essere obbligati a seguire il solito rituale che prescrive il partire dal basso e poi la crescita graduale attraverso una serie di cambi fin quasi infinita.

Se da un lato questo dovrebbe permettere, almeno in linea teorica, di farsi le ossa e migliorare gradualmente le proprie capacità di percezione e discernimento, dall’altro è anche la migliore assicurazione sulla vita per i dettaglianti di settore. Una volta messo insieme un certo numero di clienti ben fidelizzati, da accompagnare passo passo nel tragitto dall’impianto per esordienti a quello di vertice, per assurdo potrebbero campare di rendita.

Dunque, se la crescita progressiva dell’impianto dovrebbe permettere almeno in teoria di acquisire una maggiore consapevolezza e di affinare mano a mano i propri gusti, è altrettanto vero che comporta una spesa complessiva più elevata per giungere a un determinato obiettivo. Certo, la si affronta un po’ alla volta, finendo con il non accorgersi di essa o quasi. E’ anche vero però che in genere nessuno si mette a tavolino per fare una lista delle apparecchiature che ha posseduto, annotando a fianco i costi affrontati per ciascuna di esse.

Il che tutto sommato è un bene, per il semplice fatto che se si tirasse una riga sotto a quelle cifre incolonnate, la somma derivante potrebbe portare a conclusioni non proprio esaltanti.

Un altro appassionato con il quale sono in contatto ha fatto proprio questo, passandomi oltretutto il foglio su cui ha elencato tutte le apparecchiature che ha posseduto. Risultato, lo scoramento derivante dal rendersi definitivamente conto di aver provato di tutto e di più, senza però essere riuscito a ottenere finalmente una sonorità di suo gradimento. Conseguenza, l’abbandono della riproduzione sonora, sia pure provvisorio dato che in seguito è tornato sui suoi passi.

Dove c’è gusto non c’è perdenza, recita un noto adagio popolare. Tutto sta a vedere se per davvero questo gusto c’è stato o se per caso con quel tramite ci si è procurati soprattutto una serie di grattacapi praticamente infinita.

Tutto sommato inoltre, l’aver cambiato un gran numero di apparecchiature non sembra produrre in maniera automatica esperienza e la capacità di cogliere il nocciolo delle questioni inerenti la riproduzione sonora. A giudicare da quel che si legge in tante discussioni su forum e social dedicati a questo settore, cui partecipano persone che hanno accumulato ormai alcuni decenni di frequentazione del settore, si matura l’idea che la gran parte di esse sia legata tuttora a concetti opinabili, se non addirittura anacronistici.

Più volte nella mia esperienza personale mi sono imbattuto in estranei assoluti da questo settore che sono riusciti a esprimere valutazioni d’ascolto più centrate, approfondite e con maggior sicurezza rispetto ad appassionati “navigati”. Anzi, cose simili sono fin quasi una costante, che si verifica spesso quando capita che insieme ad appassionati di lungo corso si apprestino all’ascolto persone poco o nulla addentro alla riproduzione sonora.

L’ultima è proprio di questi giorni, con la figlia dodicenne di un appassionato che ha colto all’istante, e senza incertezze, elementi che il papà ha dichiarato di percepire con difficoltà, per poi descriverli con una scelta di termini e di similitudini così centrata da lasciare a bocca aperta.

Mentre ero intento a scrivere queste righe, l’amico Massimo Ruscitto, cui ho raccontato l’accaduto, mi ha detto che “l’audiofilia è soprattutto sovrastruttura. Gli appassionati sentono differenze abissali tra apparecchiature della stessa marca, ma sul resto non sentono niente”.

Personalmente mi ritrovo con il suo pensiero e per questo mi compiaccio di aver voluto intervistarlo, vincendo una sua certa ritrosia, e di aver pubblicato il testo di quella che è stata soprattutto una chiacchierata tra amici con la stessa passione.

C’è poi un altro elemento che gioca a sfavore del meccanismo di crescita per gradi dell’impianto, di cui ho già parlato nell’articolo “Impianti piccoli problemi piccoli, impianti grandi…“. Mano a mano che l’impianto cresce, per costi, dimensioni e complessità realizzativa del suo insieme e delle parti che lo compongono, pone dinnanzi a problemi di dimensioni crescenti, per forza di cose più difficili da risolvere. Questo a dispetto o forse proprio in conseguenza della qualità maggiore dei suoi componenti, che peraltro non è da dare per scontata all’aumentare dei costi.

Uno dei motivi è che quello che sulla carta sembra migliore, non è detto che dimostri di esserlo anche sul campo. Soprattutto quando le soluzioni realizzative adottate diventano più complesse e non di rado cervellotiche. Inoltre non si dovrebbe dimenticare mai che quantità e qualità sono cose del tutto diverse e quasi mai vanno di pari passo.

Ne parleremo in maniera più approfondita nel prossimo futuro.

 

La condizione attuale

Al di là delle spese affrontate nel loro complesso, e dei risultati ottenuti per il loro tramite, c’è un ulteriore aspetto poco considerato, riguardante l’elemento temporale. Va da sé che la realizzazione per gradi di un impianto di gran classe cui pervenire per gradi, al fine di concretizzarsi ha bisogno non soltanto della volontà dell’appassionato e della sua capacità di spesa crescente, ma anche delle condizioni adatte allo scopo.

In altre parole, non è detto che la realtà del settore, a qualche anno o persino decenni di distanza dal momento in cui si è iniziata l’opera di costruzione e successiva evoluzione dell’impianto, sia sempre la stessa. Anzi le probabilità maggiori sono che sia cambiata, magari radicalmente, e quindi i presupposti che potevano essere validi allora non è detto che lo siano oggi.

Se per alcuni decenni lo scenario del settore è rimasto grosso modo immutato, tale da rendere plausibile un modello di crescita graduale dell’impianto, e di pari passo del suo possessore lungo un arco temporale piuttosto ampio, negli ultimi due decenni le cose danno l’impressione di essere cambiate radicalmente. Proprio nello stesso modo in cui sono mutate attitudini, convenzioni e suddivisioni gerarchiche nella realtà di tutti i giorni, che a loro volta hanno prodotto un mutamento radicale dei rapporti sociali e di classe, ma soprattutto dell’ambiente stesso in cui viviamo.

Pertanto il modello evolutivo legato all’evoluzione progressiva che nello scorso secolo ha trovato un’applicazione efficace in una molteplicità di scenari, da quello lavorativo a quello educativo e culturale, a quello inerente il benessere sociale di fasce della popolazione via via più ampie, ed è stato applicato pari pari al settore della riproduzione sonora, ha subito non solo un arresto ma addirittura una brusca inversione di tendenza.

Così oggi per quanto si lavori, peraltro in un contesto di precarizzazione e disoccupazione di massa, è tutt’altro che improbabile regredire in termini di posizione sociale e di benessere materiale. Per quanto si studi ci si trova sempre più indietro nei confronti di un progresso scientifico e tecnologico che ormai pretende di giustificarsi per via della sua stessa esistenza e del giro d’affari che produce, piuttosto che in base all’utilità dei suoi ritrovati, spesso causa di un divario sempre più profondo tra chi vi ha accesso e chi no.

Con esso inoltre si riesce a stare al passo solo se inseriti in ambienti ben precisi, l’accesso ai quali diventa sempre più difficile e avviene esclusivamente per cooptazione. Quel che è peggio, i suoi frutti trovano riscontro quasi soltanto in ambiti esclusivi, rimanendo in una situazione di stallo, se non addirittura di regresso, per quel che concerne la maggioranza della popolazione.

Nei confronti di quest’ultima, anzi, l’impressione è che venga messo in campo un gioco di specchi, atto appunto a illudere la massa degli individui che le cose stiano in maniera sostanzialmente diversa.

Esempio tipico è quello del settore automobilistico, dove tutto il potenziale di innovazione sembra concentrarsi su elementi di poca o nessuna importanza. L’estetica delle auto più moderne le fa somigliare sempre più ad astronavi, anche se al di là delle apparenze non è che sia cambiato molto rispetto a qualche decennio fa. Il nocciolo della tecnologia sulla quale si basano è rimasto lo stesso,  con l’aggiunta dell’elettronica che ha reso molto più aleatorio il funzionamento di meccanismi ormai virtualmente indistruttibili. Le famigerate centraline infatti sono la prima causa di malfunzionamento delle automobili di oggi, che siano nuove o quasi, oppure abbiano accumulato un buon numero di anni e di chilometri.

Un altro esempio è quello dei fari, oggi strumento di pseudo-innovazione cui si attribuiscono le fogge più bizzarre, ottenendo soprattutto di accecare chi proviene in senso contrario e quindi peggiori condizioni generali di visibilità. Malgrado ciò, sono uno dei mezzi principali oggi utilizzati per sedurre l’acquirente potenziale. Nello stesso tempo però i costruttori non riescono neppure a stare al passo con le progressive restrizioni inerenti le emissioni inquinanti, oltretutto concordate in prima persona con le istituzioni. Così si trovano costretti a montare centraline che taroccano quei valori, onde ingannare i sistemi di controllo, omologazione e revisione, già di per sé parecchio compiacenti.

Addirittura si viene a sapere che quelli più celebrati dalla propaganda, per il preteso retroterra tecnologico di cui disporrebbero, hanno usato delle scimmie, costrette a inalare a oltranza gas venefici per poterne studiare le conseguenze sul loro organismo. Non è dato sapere come le si sia convinte a restare immobili per subire quel trattamento di grande civiltà, ma di sicuro non sono state trattenute a suon di cartoni animati come i media hanno cercato di far credere.

Sono pronto a scommettere che allo scopo si siano utilizzati invece metodi non dissimili da quelli del film Arancia Meccanica, per la rieducazione coatta del suo violento protagonista, ordinata però da soggetti che di fatto hanno dimostrato di essere enormemente più violenti di lui e su ben altra scala.

“Un’arancia a orologeria”, il libro di Anthony Burgess da cui è tratta la pellicola, merita un posto insieme agli altri classici del genere distopico come “1984” di Orwell e “Il mondo nuovo” di Huxley, che hanno anticipato con precisione impressionate la realtà in cui ci troviamo oggi.

Un tempo la figura dello scienziato pazzo, nonché bugiardo e criminale in quanto divorato dall’ambizione e dalla sete di potere e di denaro, era comune nell’immaginario collettivo. Oggi invece si è fatto in modo di cancellare quei significati. In base a quanto detto, ma volendo ci sarebbe molto di peggio, i motivi sono evidenti.

La ricerca scientifica, dunque, tollera sempre meno gli elementi di carattere etico che dovrebbero ragionevolmente delimitare i suoi campi di applicazione e i metodi che utilizza. Pretende anzi di sovraordinarsi rispetto a ogni altra cosa, in nome di un progresso sempre più fine a sé stesso e imposto in quanto tale. Assumendo in tal modo un’attitudine tirannica in cui si innestano tendenze non dissimili dall’intolleranza a carattere para-religioso o meglio da tribunale dell’inquisizione.

Sono gli aspetti tipici dell’attuale dittatura tecnocratica, che pretende non solo di imporre i propri ritrovati al di là della loro efficacia, ma pretende anche di dire come si debba pensare, quali siano le valutazioni consentite, cosa si possa leggere e via di questo passo. Trae le sue origini non più dalla scienza, intesa come patrimonio di conoscenza in perenne divenire ma dallo scientismo, che è ben altra cosa.

 

Degna dell’epoca dell’inquisione è la notizia dei giorni scorsi, riguardante la radiazione di un altro medico dall’Ordine per motivi di opinione, messo quindi in condizioni di non poter più esercitare la sua professione con metodi da psicopolizia. Quello stesso Ordine però non ha problemi a tenere al suo interno personaggi del calibro di Francesco De Lorenzo, Duilio Poggiolini, Pier Paolo Brega Massone e Norberto Confalonieri.

Esempi di tenore contrario, ben al di là del contesto di cui ci stiamo occupando, sono indicativi dello stato d’animo di persone dotate di una coscienza che ha creato in loro disagio nei confronti della realtà che intuirono stava per concretizzarsi. Sto parlando di Quirino Majorana e Federico Caffè.

Secondo Leonardo Sciascia, autore dell libro “La scomparsa di Majorana”, quello del fisico siciliano fu il rifiuto della scienza. Dovuto alla comprensione delle responsabilità enormi che sarebbero derivate dal proseguire lungo le strade in cui si stava indirizzando. Non avrebbero tardato a manifestarsi in tutta la loro crudezza pochi anni dopo la sua sparizione, per responsabilità di persone con cui aveva condiviso studi ed esperimenti nei laboratori romani di Via Panisperna.

Riguardo a Caffè, economista keynesiano, è stato protagonista a fine anni ottanta di una sparizione improvvisa non dissimile da quella di Majorana. Il suo allievo che gli fu più vicino, Bruno Amoroso, ha parlato della solitudine di un riformista. Inteso nel senso più nobile del termine e non di un artefice della restaurazione pre-ottocentesca come lo si intende nella neolingua attuale. Caffé ha preferito sparire piuttosto che accettare il dissolvimento dei valori e la regressione culturale già allora in atto.

Proprio in merito alla cultura, oggi sembra che la sua stessa concezione vada sempre più perdendo significato. Da un lato perché sembra essersi estinta la capacità creativa a tale riguardo, dall’altro in quanto una maggioranza di persone sempre più ampia è costretta a spendere la totalità della propria vita per mettere insieme il pranzo con la cena, quindi non ha proprio la possibilità, o meglio non ha più energie residue per pensare a cose simili.

Di tutto questo prendiamo semplicemente atto, non andando ad analizzare le cause, peraltro ben note, altrimenti non ne usciremmo più.

Al proposito ci troviamo a osservare come nel suo piccolo, anche il settore della riproduzione sonora amatoriale abbia conosciuto un’involuzione simile, benché mostri sempre più di essersi ridotto alla nicchia della sottonicchia.

A rigore è di infimo che si dovrebbe parlare, stanti alcuni fatterelli verificatisi di recente. Come i messaggi anonimi di minaccia inviati a questo sito, da chi in tutta evidenza agisce secondo la logica e l’etica del mafioso.

Dunque, anche nel nostro settore vediamo una netta inversione di tendenza già a livello della filosofia di prodotto, riguardo alla scelta delle soluzioni da attribuite agli oggetti destinati alle diverse fasce di mercato. Se fino a tutti gli anni novanta ha predominato il modello inclusivo, basato sul progressivo diffondersi verso le gamme intermedie delle soluzioni nate per i prodotti di vertice, a partire dal decennio successivo è andata affermandosi una realtà completamente opposta, volta a rendere sempre più profondo il divario tra il prodotto di massa e quello destinato alle élite.

Ne è derivata una regressione sostanziale, che ha avuto appunto quale conseguenza primaria il rendere inattuabile, e dunque obsoleto, il modello di crescita progressiva dell’impianto e dell’appassionato, sul quale si è basata per decenni la realtà del settore. O meglio la sua sopravvivenza.

Oggi predomina invece il concetto del chi è dentro è dentro e chi è fuori è fuori. Quanti hanno fatto a tempo a raggiungere determinati traguardi, consistenti nel possesso di apparecchiature di rango, li si trovano e vi rimangono. Chi invece non c’è riuscito ha ottime probabilità di restarne escluso definitivamente.

In sostanza si è fermato l’ascensore sociale, se così vogliamo definirlo, proprio come è accaduto nel mondo della società civile, in cui anzi ha iniziato ad andare in una discesa sempre più precipitosa, stante l’inversione di tendenza oggi in atto verso una realtà neofeudale.

Chi dispone delle risorse e delle energie necessarie a compiere il salto di qualità, che oggi si trovano alla portata di una minoranza sempre più risicata e facoltosa,  riesce a farlo tuttora con una certa facilità. Quantomeno a livello di apparecchiature, dato che in termini di qualità sonora la questione è ben diversa. Gli altri sono destinati ad accasciarsi al suolo, scoprendo non di rado di essere finiti a un livello persino inferiore a quest’ultimo.

In uno scenario siffatto, oltretutto, anche la maggior parte di quanti si trovano all’interno dell’empireo, avendo in qualche modo fatto in tempo a entrarvi, è messa nelle condizioni di non poter più proseguire nella crescita, o solo nel perfezionamento di dettaglio, stanti i costi ormai improponibili che si devono affrontare allo scopo.

Ai quali oltretutto corrispondono progressi, ammesso e non concesso che ve ne siano, del tutto marginali.

 

Prezzi, prestazioni e cosmetica

A un simile e preordinato restringersi per l’utenza potenziale di determinati prodotti, non può che corrispondere l’aumento esponenziale dei prezzi. Per il semplice motivo che portare avanti una produzione ha dei costi fissi, che oggi devono essere coperti da un numero di esemplari venduti molto minore rispetto al passato. Se i prezzi delle apparecchiature trovano da sempre difficoltà crescenti nel giustificare il livello prestazionale offerto in cambio, oggi sembrano conoscere un andamento sostanzialmente divergente rispetto ad esso: i listini salgono e la qualità sonora cala.

Di qui l’acquisizione, da parte della cosmetica, di un’importanza non più troppo rilevante ma addirittura trascesa oltre ogni limite e senso della misura, nel quadro di apparecchiature un tempo destinate a soddisfare in primo luogo il senso dellì’udito, ma delle quali oggi risulta difficile individuare l’effettiva destinazione.

Più che altro danno l’impressione di essere volte a soddisfare la volontà di affermazione narcisistica di chi se le può permettere, quale dimostrazione tangibile delle proprie capacità di spesa e dell’appartenenza a una casta di privilegiati.

Sempre al grido di “l’occhio vuole la sua parte”, naturalmente.

Esempio mirabile di come col pretesto di un concetto condivisibile e alla portata di chiunque si possa giustificare la devastazione a scopo di lucro e di regressione sociale di un settore un tempo florido ma soprattutto propedeutico all’ampliarsi della platea di fruitori potenziali di fenomeni culturali, quali sono a tutti gli effetti quelli legati alla riproduzione della musica.

Sono queste le piacevolezze della neolingua, secondo gli scopi che si prefigge chi fa del tutto per imporne i canoni, propagandando l’abdicazione al raziocinio. Il che equivale a dire istupidimento di massa. Prodotto oltretutto con i mezzi tipici della zootecnia.

Se “l’occhio vuole la sua parte”, allora, nessuno sembra in grado di dire fino a che punto questa parte possa e debba arrivare.

Tantomeno se è ancora una parte oppure è diventata l’intero.

Quel che più importa, non si deve neppure ipotizzare di domandarsi cose simili. Men che mai da parte della pubblicistica di settore, che anzi con il suo beneplacito a priori è il primo mezzo di diffusione per lle conseguenze dell’abdicazione al raziocinio.

Questo però è un argomento che affronteremo più avanti.

A questo punto è inutile dire che di valutare se e quanto una simile esasperazione degli elementi collaterali  possa essere producente alle finalità primarie di oggetti nati per la riproduzione della musica e alla qualità con cui viene eseguita, non se ne parla neppure.

Rispetto alla clientela potenziale di certi prodotti, inoltre, ritengo che oggi più che mai occorra iniziare riaffermando un concetto fondamentale e troppo spesso trascurato: l’economia è un gioco a somma zero. Pertanto alla grande ricchezza di certuni non può che corrispondere la riduzione in povertà di moltitudini sempre più rilevanti e l’appropriazione di risorse naturali, che a loro volta sono ricchezza condivisa, in proporzioni almeno pari.

Come ha detto qualcuno di cui non ricordo il nome, ma credo si tratti di un nativo americano, una volta che avremo completato la devastazione dell’equilibrio naturale del pianeta, cui ci dedichiamo con tanto accanimento a scopo di lucro, non potremo certo mangiare monete, banconote o lingotti d’oro.

Oltretutto la realtà degli impianti di classe più elevata presenti nelle case degli appassionati è improntata generalmente a un rendimento piuttosto lontano dall’ottimale. Date le condizioni attuali però, procedere ad affinarne le doti sonore, e quindi a una messa a punto tale da rendere giustizia al denaro speso per il loro allestimento si rivela il più delle volte proibitivo. Quantomeno procedendo lungo le strade consuete. Ossia quelle propagandate dalla pubblicistica di settore.

In sostanza oggi ci troviamo di fronte a una realtà in cui il concetto di crescita graduale dell’impianto è di fatto sorpassato. O meglio, spinto in maniera deliberata e con la più grande ostinazione all’obsolescenza: autolesionismo allo stato puro.

Ecco allora che l’aumento graduale delle risorse spendibili dall’appassionato medio non riesce più a stare al passo, o meglio a compensare la regressione prestazionale e in termini di qualità sonora che sta interessando le apparecchiature.

Per i motivi descritti poco fa, il continuo restringersi del mercato, proprio in conseguenza dell’aver messo da parte il modello di crescita progressiva, ciascun esemplare deve essere caratterizzato da una remuneratività molto maggiore rispetto al passato.

Questo si ottiene da un lato aumentando il prezzo di vendita e dall’altro comprimendo i costi di produzione.

I modi per farlo sono numerosi, a iniziare dalle economie di scala, intese secondo un approccio che anch’esso è divenuto l’opposto rispetto a qualche tempo fa. Allora si cercava di estendere l’impiego del componente destinato alla linea di vertice anche sui prodotti di gamma intermedia, magari destinando allo scopo quelli fuori tolleranza.

Oggi economia di scala significa in sostanza utilizzare la stessa componentistica del prodotto da battaglia su quello di vertice.

Laddove non lo si nota, ovviamente, secondo il principio del “Quello che si vede è di camicia“.

Un altro sistema per comprimere i costi è lo spostare la produzione nei luoghi in cui i costi della manodopera sono minori.

In quelle zone però, spesso anche le materie prime e in genere la qualità complessiva del prodotto sono tutt’altro che ottimali. Pertanto diventa sempre più difficile garantire caratteristiche sonore che non vadano anch’esse in calo.

Ecco allora che l’amplificatore o il diffusore da 1000 euro di qualche anno fa, non è detto sia inferiore a ciò che oggi ne costa 1500 o 2000. Vanificando così il potenziale di spesa che l’appassionato ha accumulato nel frattempo e quindi disarticolando il modello di crescita graduale che bene o male ha garantito la sopravvivenza del settore per tanto tempo.

 

La reazione degli appassionati

Venuti a trovarsi in un contesto che di fatto va a negare i punti fermi su cui si è basato fin qui l’afferrmarsi della riproduzione sonora amatoriale, e che a sua volta ha permesso di maturare la loro esperienza, per quale che sia, buona parte degli appassionati sembra aver accettato fin quasi supinamente la situazione attuale.

Oggi la componente fondamentale del fenomeno che riguarda questo settore sembra consistere principlamente nell’idolatria a sfondo feticistico per l’apparecchiatura. Che viene osservata, o meglio si anela ad essa, semplicemente in quanto tale.

Dunque come un oggetto fine a sé stesso e tuttalpiù all’appagamento dei propri desideri a sfondo consumistico e di affermazione personale, rispetto al quale la fruizione dell’evento sonoro sulla base di un qualsiasi criterio qualitativo ha perso quasi del tutto significato. Lo testimonia ancora una volta la realtà dei social, in cui basta postare la foto di un diffusore o un finale perché i mi piace piovano in automatico a decine.

Nessuno si preoccupa più di come suoni, di quali motivazioni concrete ne giustifichino l’esistenza o di quale sia il contesto ottimale nel quale possa trovare l’impiego più indicato.

Pertanto l’elemento culturale cui un tempo le apparecchiature audio sembravo legate indissolubilmente è venuto del tutto meno.

Ne consegue una platea di potenziali utilizzatori molto più malleabile e pilotabile a distanza da parte di chi tira le fila del settore, proprio in quanto è venuto a mancare l’elemento culturale, e quindi intellettivo, che un tempo costituiva l’ossatura del pubblico potenzialmente interessato alla riproduzione sonora.

Nel momento in cui un corpo viene privatoo della sua impalcatura ossea, non resta altro che una massa informe, il che a dire il vero è proprio l’impressione che si ricava dalla cronaca dei gruppi social dedicati all’argomento o di certi forum.

La conoscenza, la raffinatezza e la volontà di crescita e miglioramento che un tempo sono stati i caratteri primari di questo settore hanno lasciato il posto alla tifoseria berciante: i fautori del marchio X perennemente impegnati nella battaglia furiosa contro gli odiati seguaci del marchio Y, gli assertori del tutto è uguale e nulla cambia intenti a tacciare di allucinazione o stregoneria chiunque azzardi  a ipotizzare l’influsso di qualsiasi elemento non sia sorgente, amplificatore e diffusori sul rendomento dell’impianto nel suo insieme.

Ancora una volta, insomma, vediamo che nel suo piccolo questo settore replica tutto il peggio di ciò che è accaduto nel mondo dellla società (in)civile.

Altrettanto vero però che nessuno o quasi, almeno a livello ufficiale, ha offerto a quegli appassionati un’alternativa. Anche se, arrivati a un punto come quello odierno, è difficile dire quanti sarebbero disposti a percorrerla o solo a prenderla in considerazione.

La crescita è faticosa, dato che presuppone riflessione, impegno e capacità di mettersi in discussione, nonché di accettare l’eventuale fallimento e di trarne la lezione che fornisce.

La crescita è ancora più faticosa quando va perseguita al di fuori dei comodi tracciati predisposti alla bisogna dall’industria di settore e dal sistema mediatico che le fa da puntello, per sostenersi a sua volta su di essa. Secondo un meccanismo operante sul principio del “tienimi che ti tengo”, funzionale soprattutto ai suoi attori ma del tutto privo di utilità per la platea dei veri appassionati, nei confronti dei quali determina unicamente condizioni regressive.

 

Il cambia-cambia

Conseguenza ovvia, il cambio delle apparecchiature è diventato esclusivamente fine a sé stesso, oltreché spinto sovente a un ritmo parossistico e slegato da un qualsiasi ideale di crescita per la qualità della riproduzione.

Si cambia per il gusto di cambiare, badando non che l’oggetto acquistato permetta di fare un passo in avanti, magari piccolo, ma in primo luogo a che sia rivendibile nel tempo più breve e con lo sforzo minore. Ma soprattutto senza rimetterci un centesimo e possibilmente guadagnandoci sopra qualcosa.

Del resto, proprio affinché accetti di tutto, il pubblico degli appassionati è stato messo nelle condizioni di non saper riconoscere un miglioramento da quel che invece è una mera differenza e di accontentarsi dell’orgoglio derivante dall’appartenza al gruppo degli assertori della marca X o della marca Y. Roiguardo alle quali ormai si parla di “brand”, altro termine prediletto nel dizionario della neoligua, dato che fa più figo e riempie molto meglio la bocca.

Per forza di cose, in questo modo le doti sonore dell’apparecchiatura vanno a finire tra le varie ed eventuali. Quello che conta sono appunto il blasone dell’oggetto e il suo gradimento da parte del pubblico più ampio possibile, da cui discende appunto il parametro primario in base al quale è effettuata la sua scelta, quello della rivendibilità.

La qualità sonora ammesso che la si sappia riconoscere, non ha più importanza. Ad averne è solo la tenuta del valore sul mercato dell’usato, all’interno del quale si svolge ormai la stragrande maggioranza degli acquisti, essendo il nuovo divenuto in larga parte inavvicinabile.

Se ragionassimo così nei confronti di brani e opere musicali, dovremmo comperare soltanto il disco di “Il ballo del qua qua” e al massimo quelli con le filastrocche di Cristina D’Avena, o magari del vincitore dell’ultimo talent show deliberatamente progettato ai fini della lobotomizzazione di massa, dato che hanno avuto il successo maggiore nelle classifiche di vendita.

Tutto questo produce alcune conseguenze: la più vistosa è la salita delle quotazioni delle apparecchiature più appetite sul mercato dell’usato, che ancora una volta non hanno più nulla a che vedere con le loro prestazioni ed è arrivata ormai a livelli in cui ragionevolezza e senso della misura sono illustri sconosciuti. O meglio dimenticati, sull’altare degli dei del cambia-cambia.

La scelta in base al criterio della rivendibilità, inoltre, riduce di fatto ai minimi termini la rosa delle opzioni da prendere in considerazione, dato che nessuno si azzarda più a comperare nulla che non sia nel ristretto novero degli “eletti”.

Ne deriva l’irrecuperabile mediocrità di fondo di un numero di impianti sempre maggiore, e quindi il peggioramento sostanziale della qualità media degli impianti in attività, anche e soprattutto di quelli costosi, proprio perché allestiti mediante componenti scelti sulla base di criteri che non hanno più nulla a che fare con la qualità sonora espressa sul campo, ma con la nomea, il blasone, la popolarità del momento e altri elementi di significato aleatorio.

Va detto inoltre che le scelte predilette dalla maggioranza del pubblico, sovente in conseguenza dei battage pubblicitari più insistenti, ben di rado sono le più efficaci e anzi sono quasi sempre penalizzanti. Di conseguenza si compera con la prospettiva che in breve si dovrà rivendere, proprio perché ognuno è conscio in cuor suo che la scelta effettuata secondo i criteri elencati ha le probabilità maggiori di essere insoddisfacente in termini di musicalità.

Anche se si finge di ignorarlo, prima di tutto con sé stessi, secondo il meccanismo tipico dell’autoinganno orwelliano.

Proprio così si è diffusa a macchia d’olio la sindrome del cambia-cambia, ormai svincolata da qualsiasi scopo che non sia equivalente a quello del cambiarsi d’abito, a seconda dell’umore del giorno e delle stagioni.

La qualità sonora in condizioni siffatte non ha più motivo di essere e anzi diventa un concetto che finisce sempre più con il perdere significato. Di conseguenza anche il numero di persone che è ancora in grado di riconoscerla e di decodificare almeno in parte i parametri sui quali si esplica diventa sempre minore.

Tenendosi sempre pronti a scagliarsi, mediante l’impiego degli epiteti peggiori, contro chiunque provi a segnalare la presenza di una possibilità diversa da quella che conduce invariabilmente alla mediocrità.

Nondimeno si procede imperterriti sulla stessa strada, accettando più o meno coscientemente che la sostituzione appena fatta o quella che si sta per fare non porteranno miglioramento alcuno, ma con ogni probabilità solo uno spostamento laterale. Nell’attesa di procedere a un ulteriore cambiamento, effettuato con un fine esclusivamente ludico,  che non potrà mutare lo stato delle cose ma andrà soltanto a rinfocolare l’insoddisfazione. Che ormai è l’elemento dominante e il solo che resata a unire gli appassionati di riproduzione sonora.

Tanta richiesta per l’usato ha avuto per conseguenza primaria il recupero progressivo di oggetti sempre più anziani e obsoleti, che fino a pochi anni fa non voleva nessuno ma oggi sono divenuti particolarmente appetibili, rubricati sotto la dizione di “vintage”.

A questo fenomeno, anch’esso legato direttamente al cambia-cambia, sarà presto dedicato un articolo.

 

Ancora sui costi, e sui luoghi, di produzione

Torniamo per un istante alla questione dei costi di produzione e allo spostamento dei siti di produzione. A questo proposito è indicativo che anche nel settore della riproduzione sonora ormai persino gli oggetti più costosi non sfuggano alla regola della realizzazione in Cina e zone limitrofe.

Quindi a costi cinesi, se non addirittura laotiani o vietnamiti, cui però corrispondono i prezzi folli dei mercati occidentali.

I quali hanno causato a loro volta un ulteriore paradosso, quantomai vistoso.

Come chiunque può rilevare senza difficoltà, sui forum e nei gruppi social dedicati alla riproduzione sonora si affollano varie migliaia di iscritti. I quali oltretutto spendono parte rilevante del loro tempo libero, che per taluni sembra dilatarsi all’infinto dato il presenzialismo che mostrano in tali piattaforme, a discutere di apparecchiature.

Nello stesso tempo però il mercato ad esse relativo non solo è clinicamente morto, ma il suo funerale ha avuto luogo già da parecchio.

I soli a non essersene accorti sembranio essere i membri del Coro Degli Entusiasti A Prescindere, che si ostinano a tentare di nascondere i guasti irreparabili che proprio loro hanno largamente contribuito a causare, a furia di ripetere gli errori dei quali non intendono prendere atto.

Primo fra tutti il vestire paraocchi impenetrabili, dando ad intendere che offrano un’indagine esauriente e soprattutto priva di condizionamenti riguardo agli oggetti si cui si occupano, coi metodi e le finalità che sappiamo.

Del resto vivono in un eterno presente, scandito dal susseguirsi a getto continuo di apparecchiature cui dare in automatico grazioso avallo, senza preoccupazione alcuna di questioni economiche: proprio la condizione ideale affinché non si riesca a cogliere il progressivo calo qualitativo e prestazionale non a parità di costi, ma addirittura contrapposto al continuo lievitare di questi ultimi.

Anche se qualcuno se ne accorgesse, del resto, in base alla realtà descritta nell’articolo sopra linkato fino a che punto gli verrebbe  concessa la facoltà di dire fino in fondo e senza tanti giri di parole come stanno per davvero le cose?

D’altronde i coristi  stanno li dove si trovano proprio per cercare di convincere i pochi sprovveduti rimasti che spendere 20 o 30.000 euro per un catenaccio imbottito di controreazione e dall’estetica di un kitsch surreale, appunto necessario per attrarre lo sguardo di chi ha troppi soldi da buttare per aver acquisito un senso estetico di una qualche maturità, sia raccomandabile.

Magari solo per via di una sigla Reference, o altra formula ancora più chiassosa, tale proprio perché legata soprattutto al vuoto circondato di nulla che vi corrisponde. Rappresentazione concreta, a sua volta, dell’assoluta mancanza di fantasia e della tendenza innata alla banalità e alla mitomania, dalla quale gli appassionati vengono in buona misura contagiati, di uffici marketing ormai arrivati all’ammazzacaffé.

Ma che tentano ancora, non si sa se in maniera più ostinata o patetica, di rinviare il pagamento del conto.

 

Ripensare il modello

E’ evidente che se si trova appagamento nel semplice cambiare apparecchiature, condizioni come quelle attuali vadano più che bene. Mi ostino a credere tuttavia che ci sia ancora qualcuno che della cosmetica spinta all’esaltazione del kitsch, dello status symbol e delle piacevolezze tipiche del cambia-cambia non sa cosa farsene. Desiderando ottenere in primo luogo una qualità sonora tale da rendere il suo impianto degno di essere definito hi-fi.

Il che significa capace di dare la sensazione di essere dinnanzi a un sonorità realistica. O meglio l’impressione di presenza in ambiente dell’evento reale e senza essere costretti ad aprire un mutuo dalle dimensioni pari a quelle necessarie per un appartamento di 150 metri quadri in zona centrale.

Per quest’ultima tipologia di appassionati ritengo che sia necessario innanzitutto ripensare a fondo il modello attualmente in voga. sulla base di un concetto che personalmente reputo imprescindibile ed è il seguente.

A partire da un certo livello, le apparecchiature hanno un’importanza del tutto secondaria rispetto alle condizioni di contorno in cui le si fa operare, per l’ottenimento di risultati davvero appaganti in termini di qualità sonora.

Quindi correre appresso all’ultimo modello, con ogni probabilità peggiore del precedente ma venduto a costo maggiore, oppure all’ultimo formato digitale o all’ultima moda liquefatta che oggi sono all’avanguardia ma saranno sorpassati nello spazio di un istante in nome dell’obsolescenza programmata, non ha proprio senso alcuno. Serve solo a buttare soldi dalla finestra e ad alimentare illusioni destinate a essere deluse.

A quel punto meglio darli in beneficenza. Il numero dei poveri assoluti nel nostro paese è triplicato in pochi anni, alla faccia di chi farnetica di ripresa. Spendere somme inverosimili in modo simile è uno sputo in faccia alla condizione di tanta gente, nella quale è tutt’altro che improbabile finire senza neppure rendersene conto. A volte è questione di un attimo, anche se preferiamo credere che certe cose possano succedere solo agli altri.

In condizioni come quelle attuali, indulgere ancora nel foraggiare fasce di mercato prive di senso alcuno è segno non di incompetrnza ma di cinismo intollerabile, da parte di qualsiasi persona voglia definirsi civile. Per non parlare di chi propaganda atteggiamenti simili a suon di superlativi che hanno dimostrato da molto tempo la loro attinenza con la realtà. Cose simili denotano unicamente la statura mentale ed etica di chi è abituato a pensare sempre e solo a sé e ai propri interessi.

A questo proposito, personalmente non mi sono limitato a formulare una critica, ma ho voluto offrire un’alternativa, che ha dimostrato di essere percorribile e di poter dare risultati degni di interesse. In primo luogo per quanto attiene lo scopo primario di questo settore, oltretutto a costi che forse non sono popolari ma restano molto distanti da quelli che un tempo sarebbero stati improponibili ma oggi non fanno più né caldo né freddo. E spesso anzi, si reputano imprescindibili per ottenere qualcosa di valido.

Che tutto questo trovi o meno un interesse o addirittura un riscontro non ha per me alcuna importanza. Quello che ho ritenuto fondamentale è far seguire i fatti alle parole, dimostrando che nella realtà dei fatti esiste la possibilità di rifiutare un modello come quello che viene imposto come l’unico possibile, secondo il dettame goebbelsiano del “non c’è alternativa”.

Cambiare il modello comportamentale e dell’approccio a una materia che personalmente reputo tuttora affascinante, se presa dal giusto verso, aiuta a ottenere risultati di maggior valore. Spendendo molto meno e soprattutto recuperando la consapevolezza della scala di priorità legata all’utilizzo primario di un oggetto e ai suoi elementi collaterali, a sua volta fondamentale per mantenere il contatto con la realtà, quindi a essere persone migliori.

4 thoughts on “La sindrome del cambia-cambia e la difesa di un modello insostenibile

  1. Buongiorno,
    sono un grafico e ho notato l’immagine rivista di De Pero in alto, si tratta di un’elaborazione vostra?
    Grazie mille
    Stefania

    1. Buonasera. No, non è una rielaborazione mia, l’ho trovata in rete così com’è. Depero mi piace parecchio e siccome il soggetto si adattava bene all’argomento dell’articolo ho deciso di usarla.

  2. In effetti mi fischiavano le orecchie 😉 !

    Sono partito da un ampli Denon PMA 2000AE con lettore Denon DCD 2000AE, dapprima con le Indiana 5.02 Line che usavo nell’home theatre come frontali (aggiungendo il sistema stereo a quello ht, usando all’occorrenza l’ampli stereo come finale per i frontali).

    E allora che ho fatto: anziché passare da un diffusore da qualche centinaio di euro a uno da 1600 … e poi rivenderlo a 800 e comprarne uno da 3000 … rivenderlo a 1500 e comprarne uno da 4400 … rivenderlo a 2200 e comprarne uno da 8000 …

    Ho comprato direttamente quello da 8000, e ho risparmiato 5500€ !!!

    I diffusori erano troppo superiori all’ampli Denon, ma per un pò, curando come si deve il “contorno”, (cavi, corrente), suonavano … e allora invece di prendere un ampli da 3000, poi da rivendere a 1500 … poi uno da 4800 da rivendere a 2200… poi uno da 5600 da rivendere a 2800, per arrivare a uno da 9000…

    Ho comprato direttamente quello da 9000, risparmiando 6500€ !!!

    Tra compravendite di ampli e diffusori evitate, ho idealmente risparmiato UNDICIMILA EURO che ho potuto poi investire, ad esempio, nel cablaggio ma soprattutto in una sorgente digitale di riferimento e nella cura della corrente elettrica, che sono le fondamenta di un sistema, che permettono di evitare la sindrome da insoddisfazione cronica che porta alla conseguenza del cambia-cambia improduttivo!

    Come tu stesso hai raccontato, conosci gente che cambiando in continuazione (in genere ampli e diffusori, ciò che pensano sia determinante, quando in realtà dovrebbero solo far sentire come la corrente elettrica viene convertita in musica) ha speso una cifra tale da cadere nello sconforto e, senza più un soldo, finire per abbandonare questa passione o comunque accontentarsi di un suono scadente.
    Avranno speso molto più di me, senza mai raggiungere il mio livello!

    Prima regola: se un negoziante vuole imporvi di fare cambia-cambia, cambiate lui.

    Seconda regola: partendo dal basso, sostituite un solo componente per volta, con uno di marca E di qualità che sia definitivo per le vostre tasche, da non cambiare più, nell’ordine diffusori, amplificazione che li piloti in maniera ottimale, sorgente più “analogica” possibile, con la naturalezza e la massima completezza (che dà verosimiglianza) come obiettivi principali (no perché avranno provato ad indottrinarvi al credo dell’immagine sonora iperscandita e al dettaglio maniacale).

    Terza regola (solo in ordine cronologico) : se cronologicamente si parte dai diffusori e si procede verso la sorgente definitiva, per quanto riguarda le gerarchie ed il partite dalle fondamenta, cioé rigenerazione/filtraggio della corrente elettrica obbligatori e sorgente come elemento di maggiore qualità del sistema, altrimenti avrete sempre un risultato viziato all’origine e non ne verrete mai a capo.

    In questo modo io sono felice.

    Fate voi!

    1. Ciao Emanuele e grazie del commento, che descrive più a fondo la tua esperienza, da me riassunta per sommi capi.
      Penso che la tua testimonianza potrà essere utile a molte persone e per questo la pubblico con piacere ancora maggiore.
      Ancora grazie e alla prossima!

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