“IL” giradischi 5 – La testina

La testina, o meglio il fonorivelatore, come andrebbe definita tecnicamente, è uno tra gli elementi che con le proprie caratteristiche concorrono maggiormente a definire la sonorità di una sorgente analogica. Di conseguenza anche quella dell’intero impianto che di tale sorgente si avvale.

Compito della testina è trasformare il movimento meccanico, derivante dal tracciamento del solco inciso sulla superficie del disco vinilico, in energia elettrica. Si tratta quindi di un trasduttore, dispositivo la cui funzione è appunto convertire una forma di energia in un’altra, che per convenzione è ritenuta la più difficile e complessa.

Il cantilever, ossia l’asticciola all’estremità della quale si trova la puntina, o stilo, segue la modulazione tracciata nel solco, che a sua volta è la rappresentazione analogica delle informazioni raccolte in fase di registrazione. Gli elementi ad esso collegati, magneti o bobine a seconda del principio di funzionamento, generano il segnale audio dal movimento che ne deriva.

Pertanto l’efficacia funzionale del fonorivelatore è legata tanto a problemi di ordine meccanico quanto a quelli di ordine elettrico. Gli aspetti dell’uno non possono che influenzare quelli dell’altro: per questo motivo è un componente particolarmente critico nell’ambito della sorgente analogica, e più in generale dell’intero impianto audio.

Questa particolarità assume un’importanza ancora maggiore in considerazione del fatto che il giradischi o comunque la sorgente è a sua volta l’elemento più critico di tutto l’impianto. Ogni informazione da essa tralasciata o degradata non può essere recuperata in seguito.

Di fatto i componenti che vengono dopo possono apportare soltanto altro degrado, quindi ogni penalizzazione causata dalla sorgente al segnale presente nel supporto fonografico non ha modo di essere corretta in una fase successiva. Per conseguenza se la testina non riesce a leggere correttamente e a fondo le informazioni contenute nel solco, non c’è componente successivo che possa mettere riparo alle sue manchevolezze.

Anche la migliore delle testine, per via delle sue limitazioni meccaniche ed elettriche e di quelle dei componenti necessari al suo funzionamento, giradischi, braccio e cavo, non riesce a estrarre tutta l’informazione contenuta nel solco vinilico. Questo è un dato di fatto, a significare che ancora non si è riusciti a stabilire quali siano i veri limiti correlati alla riproduzione da supporto analogico.

Tutto quello che possono fare il braccio e il giradischi è mettere la testina nelle condizioni di operare al meglio delle proprie possibilità. Non si tratta di un aspetto di poco conto: intervenendo in modo da ottimizzarne la funzionalità, che si esplica su un numero di parametri incredibilmente ampio, il processo di lettura ne trae concreti e sensibili vantaggi.

 

Prima regola, come sempre, l’equilibrio

Da questa realtà traiamo una prima conseguenza: una testina di efficacia molto elevata montata su un giradischi non all’altezza è probabile abbia un rendimento inferiore, in termini di qualità sonora, rispetto a una testina di caratteristiche peggiori, posta però su una macchina di classe più solida.

Come sempre, allora, l’elemento primario di cui si deve andare alla ricerca, proprio ai fini dei risultati più sostanziosi in relazione alla somma spesa, è l’equilibrio.

Nella fattispecie questo significa che se si parte col piede sbagliato, ovverosia da uno di quei giradischi troppo economici e tutta plastica, che vanno per la maggiore presso una certa categoria di pubblico oggi attratta dall’analogico, non si arriva da nessuna parte.

A tale proposito meglio avere presente fin dall’inizio che oggi l’analogico è una specialità intrinsecamente costosa. Per essa, ancor più che in altri settori della riproduzione sonora, la ricerca di scorciatoie ha effetti deleteri. Che a loro volta finiscono invariabilmente con il vanificare la somma spesa.

Soprattutto se la propria ricerca è orientata alla qualità sonora, o meglio alla fruizione in quantità ragionevoli del potenziale intrinseco nell’analogico.

Se invece ci si accontenta di guardare le copertine e rigirarsele tra le mani, mentre si ascolta qualcosa che quel potenziale più che altro lo danneggia, il discorso cambia. Anche se, ovvviamente, non sono quelle le prospettive che ci interessano.

Se si desidera a tutti i costi l’analogico ma i soldi sono pochi, meglio rivolgersi a un buon usato. Realizzato possibilmente da uno dei marchi che ne hanno fatto la storia.

Uno dei motivi principali per cui a suo tempo si è andati sul digitale è stato proprio la previsione che nel lungo termine, ossia la realtà di oggi vista all’epoca in cui il CD ha fatto il suo esordio, il dispendio di materiali e risorse tecniche e umane necessario per realizzare un analogico degno di considerazione, sotto il profilo della riproduzione sonora di qualità elevata, sarebbe stato del tutto antieconomico rispetto a un digitale giunto a un punto di perfezionamento soltanto apprezzabile.

Questa, in prospettiva storica, è una tra le pochissime previsioni che si sono azzeccate nel settore di nostro interesse.

Del resto non era difficile da immaginare, già nei primi anni 80, che una manciata di componenti elettronici, sia pure dall’elevato grado di integrazione, e una meccanica quasi completamente in plastica anche se corredata da un componente all’epoca avanzato come il pick up laser, una volta a regime sarebbe stato molto più economico da produrre, e profittevole da commercializzare, rispetto a un prodotto complesso e bisognoso di lavorazioni meccaniche di estrema precisione, quindi intrinsecamente costoso. Proprio come lo sono a tutti gli effetti il giradischi e quelli che potremmo definire impropriamente i suoi accessori, come braccio e testina.

Per non parlare poi della necessità, tipica del’analogico, del preamplificatore-equalizzatore phono, non necessario per le sorgenti digitali, che escono a livello di linea, ossia a 2V RMS.

Ulteriore complicazione e fonte di spesa che rende ancora più evidente una realtà incontestabile. Quella che se il rapporto tra spesa e risultati in termini di qualità sonora è uno tra i parametri che si tengono maggiormente in considerazione, oggi il digitale è molto più economico e conveniente rispetto all’analogico.

Questo detto da un sostenitore irriducibile della superiorità dell’analogico, soprattutto in termini di naturalezza e musicalità pura, quale sono sempre stato.

Se poi a tutto ciò si aggiunge il necessario per l’acquisto, la cura e il mantenimento dell’arsenale vinilico da dare in pasto al giradischi, rispetto al digitale non esiste proprio termine di confronto, a livello economico.

Di fatto, quindi, il ricorso alla sorgente analogica può avere una qualche convenienza soltanto per chi dispone già di un’ampia raccolta di LP.

Pensare invece di allestirne una ex novo, in previsione dell’acquisto dei vinili di stampaggio attuale, la gran parte dei quali può dare solo una pallida idea di quelle che sono le vere potenzialità del supporto analogico, non ha molto senso.

Si, il vinile è suggestivo, le copertine sono grandi e belle, oltre al fatto che tutto il rituale connesso con la sua riproduzione ha una sua poesia, ma anche una quantità di rogne, che il freddo digitale manco se la sogna. Dal mio punto di vista, però, quello oggi in circolazione non è che il pallido simulacro di ciò che è stato nella sua epoca d’oro.

A meno di ricorrere ai supporti fonografici più costosi, realizzati dalle case specializzate, che quindi esasperano ancor più il divario economico oggi esistente nei confronti del digitale.

Del resto l’epoca di maggior fulgore dell’analogico la si è voluta far terminare prematuramente, e a tutti i costi, proprio per la  volontà  di spianare la strada al digitale ed eliminare ogni possibile ostacolo al suo successo. Motivo, l’affrettare quanto più possibile il rientro degli enormi investimenti effettuati sul suo sviluppo.

Salvo poi andare a un recupero dell’analogico tanto improbabile quanto tardivo, e in larga parte anacronistico, come quello attualmente in corso.

Non tanto per le caratteristiche intrinseche del sistema, che alle dovute condizioni mettono in luce un’efficacia terrificante, ma proprio per il fatto che la realtà attuale della produzione e riproduzione sonora nega fin dalle basi la possibilità di realizzare a prezzi accessibili un analogico capace di esprimere una parte ragionevole delle sue potenzialità.

Checché ne dicano i membri del “Coro Degli Entusiasti A Prescindere”, all’epoca concordi nell’idolatrare letteralmente le sorti magnifiche e progressive del nuovo formato, “perfetto per eccellenza”, e nello stigmatizzare il vecchiume, l’inadeguatezza prestazionale e tecnologica e persino il “tentativo di salvaguardare i propri interessi personali” (citazione testuale) che in ossequio alle veline provenienti dall’alto individuarono nell’analogico.

Contribuendo nel modo più efficace a portarlo al massacro. Salvo cambiare del tutto idea, sempre in piena concordia tra loro, 30 e più anni dopo. Ossia nel momento in cui l’industria di settore, in conseguenza della serie di errori inverosimile, o meglio surreale, che ha commesso, non ha trovato di meglio che ripiegare sull’analogico per cercare di tenersi in qualche modo a galla.

A quel punto e solo allora è tornato ad essere estremamente e inarrivabilmente musicale. Così i coristi hanno ricominciato a innalzarne le lodi, fino e oltre ai limiti del miracolistico. E della decenza.

Dimostrazione ennesima che la loro sola e vera specialità è il salire ogni volta sul carro del vincitore, già stabilito a tavolino, nel momento stesso in cui Mangiafuoco fa schioccare la sua frusta.

 

MM e MC

I fonorivelatori si dividono in due grandi famiglie: quelle che comprendono rispettivamente i modelli a magnete mobile, definiti per comodità MM, e i modelli a bobina mobile, i cosiddetti MC.

Per capire la differenza vediamo per sommi capi il principio funzionale del fonorivelatore.

Nel caso degli MM o magnete mobile, il cantilever seguendo le ondulazioni del solco mette in movimento i magneti che ad esso sono ancorati, di fronte ai quali ci sono le bobine che invece sono fissate all’interno del corpo testina.

Così facendo si crea un campo magnetico e quindi un segnale elettrico di debole intensità, nell’ordine di qualche mV, che sarà poi inviato all’ingresso phono dell’amplificatore. Oppure all’elettronica dedicata espressamente a tale segnale, definita per l’appunto preamplificatore phono.

 

Le testine a bobina mobile funzionano in modo inverso: sono le bobine ad essere collegate al cantilever e quindi a muoversi nei confronti dei magneti, che sono fissi. Ne deriva un segnale di intensità ancora minore, nell’ordine dei decimi di millivolt, che obbliga all’impiego di uno stadio di preamplificazione dalla sensibilità ancora maggiore.

Questa necessità produce come immaginabile un’altra serie di problemi tecnici di non facile soluzione. Li affronteremo nella puntata dedicata ai pre phono.

In linea generale le bobine, per via della loro massa minore rispetto ai magneti di tipo tradizionale, permettono al cantilever di muoversi con libertà e precisione maggiori, attribuendo all’insieme formato dall’equipaggio mobile una massa inferiore. Il che vuol dire inerzia più contenuta e frequenza di risonanza più elevata, potenzialmente situata fuori dalla banda audio. Con tutto quel che ne consegue in termini di vantaggio per la qualità sonora e per le capacità di tracciamento.

Il problema sta nel fatto che le vere testine a bobina mobile hanno una tensione di uscita talmente bassa, dell’ordine di 0,1 mV o meno, tale da metterne in discussione la sfruttabilità ai fini della riproduzione sonora.

Livelli di uscita così ridotti causano problemi rilevanti per la realizzazione del preamplificatore. Innanzitutto per questioni di rapporto segnale/rumore, ma anche perché il maggior numero di stadi di amplificazione necessari allo scopo comporta un degrado proporzionale.

La ragione è semplice: minore è il numero di ostacoli che si frappone sul percorso del segnale audio e più le sue caratteristiche originarie vengono preservate. Oltretutto lo scoglio rappresentato dai componenti attivi, necessari allo scopo di elevare al punto giusto tensioni tanto infinitesimali, comporta le conseguenze maggiori in termini di degrado.

Le “vere” testine a bobina mobile, come ad esempio quella raffigurata nella foto di apertura, sono sempre più rare. I modelli oggi conosciuti come MC sono quasi sempre degli ibridi, proprio perché per avere una tensione di uscita apprezzabile i costruttori hanno due possibilità: aumentare il numero di spire delle bobine, il che ne accresce la massa, o altrimenti “rinforzarle” mediante l’impiego di nuclei magnetici, scelta che in qualche modo le imbastardisce.

Si può ricorrere anche a magneti fissi di potenza maggiore, i quali però come tutte le cose di questo mondo impongono la loro contropartita.

La soluzione delle bobine con nucleo magnetico, portata alle conseguenze estreme, ha permesso la realizzazione delle cosiddette MC ad alta uscita, che in realtà non sono né carne né pesce. Restano lontane dalla sonorità affascinante delle MC a uscita bassa o media, ma ne ripropongono buona parte delle problematiche. Si accontentano però dei preamplificatori phono dalla sensibilità adatta a quella delle comuni testine MM e questo è il loro motivo di essere principale.

 

Il terzo incomodo

Oltre a quelle menzionate esiste un’ulteriore tipologia di testine che in genere viene assimilata alle MM, sia pure in maniera alquanto superficiale. Ciò si deve soprattutto alla tensione di uscita dei modelli che ne fanno parte, simile a quella dei modelli a magnete mobile.

Si tratta delle cosiddette testine a magnete indotto, altimenti dette a riluttanza variabile o a ferro mobile, che sono caratterizzate da magneti e bobine fissi. Il cantilever muove una struttura di ferro dolce, permalloy o altro materiale idoneo di fronte ad essi, generando il campo magnetico. In tal modo l’equipaggio mobile ha una massa notevolmente inferiore a quello delle MM, migliorando le doti di tracciamento e innalzando la frequenza di risonanza.

Detta tipologia funzionale sta conoscendo in questi anni un buon recupero di interesse, anche per via del fatto che proprio su di essa si basano alcune tra le testine più interessanti e musicalmente valide del panorama attuale riguardante le “non MC”. In quanto tali possono rappresentare un’alternativa percorribile alle bobina mobile, generalmente più costose.

Magari non avranno proprio la stessa “magia” di queste ultime, che peraltro è la loro dote di spicco maggiore, ma quanto a precisione, dinamica e alle già menzionate capacità di tracciamento non temono confronti.

La necessità di essere abbinate a preamplificatori phono meno complessi, quindi meno costosi e idealmente più efficaci sotto l’aspetto sonico, dà loro un’altra grossa mano.

 

Stili, cantilever e VTA

Il cantilever è l’asticciola che collega la puntina, detta stilo, all’armatura interna della testina. Tipicamente è realizzato in alluminio, materiale leggero ma robusto, che non presenta particolari difficoltà di lavorazione. È caratterizzato invece da risonanze considerevoli, che in alcuni casi si cerca di smorzare con l’impiego di sostanze specifiche, ricoprendo con esse la sua superficie. Il che però comporta anche un aumento della massa.

Negli esemplari di maggior pregio il cantilever è in boro, mentre negli anni ‘70 e ‘80 i modelli più esclusivi lo avevano addirittura in pietra preziosa, rubino o persino diamante. In questo modo si otteneva una rigidità ancora maggiore rispetto ai cantilever in boro, sia pure a prezzo di un aumento delle risonanze. Caratteristica che alla lunga ha suggerito la maggior convenienza del ricorso a quest’ultimo materiale, oltretutto più economico.

Naturalmente soluzioni del genere erano circoscritte a fonorivelatori di prezzo avvicinabile soltanto da pochi.

La lunghezza del cantilever è molto importante ai fini delle prestazioni della testina, per sonorità e capacità di tracciamento. Un cantilever corto è più leggero, meno tendente alla flessione e permette una migliore trasmissione del movimento imposto dalle modulazioni del solco allo stilo verso l’armatura, laddove si genera il campo magnetico. Allo stesso tempo, però, sopporta meno le inevitabili ondulazioni del disco, riducendosi la luce tra questo e il corpo testina, e in genere risulta di gestione più complessa sotto il profilo meccanico.

L’angolo che il cantilever forma nei confronti della superficie del disco quando è osservato lateralmente, detto VTA, è un parametro di importanza fondamentale per l’estrazione delle informazioni contenute nel solco. Dovrebbe approssimare il più possibile quello assunto dal bulino incisore nella realizzazione del master, ma purtroppo ogni casa discografica ne utilizza uno specifico, oltretutto variabile nel corso del tempo e da incisione a incisione.

A lungo è stato utilizzato un angolo di 15 gradi, e per questo testine come la Shure V 15 e la Pickering XV 15 assunsero tale denominazione. In seguito l’angolo di incisione fu aumentato, fino a oltre 20 gradi. Pertanto, nell’impiego di testine progettate per un angolo di tracciamento di 15 gradi, il posizionamento perfettamente orizzontale della canna del braccio suggerito da molte fonti è errato per difetto e non di poco. Quindi non permette di estrarre le informazioni dal solco vinilico in maniera sufficientemente completa.

 

Ancora più significativo del VTA è l’angolo assunto dallo stilo nei confronti della superficie del disco, in funzione della conformazione del cantilever, detto SRA.

E’ definito dalla piegatura del cantilever in corrispondenza della base dello stilo, che ancora una volta varia da costruttore a costruttore, da modello a modello di testina e dal posizionamento dello stilo sulla sua base. Dunque, vediamo ancora una volta che il parallelismo tra la canna del braccio e la superficie del piatto ha ben poco a che vedere con l’angolo di tracciamento più efficace in termini di qualità sonora.

Certe semplificazioni sono funzione esclusivamente della pubblicistica di settore, della sua necessità di semplificazione e omologazione, sovente in contraddizione con la realtà della riproduzione sonora.

Come vedremo nella puntata dedicata alla messa a punto del sistema, questo è uno dei motivi per cui la perfetta ortogonalità delle superfici è soltanto un punto di partenza per ottenere ciò che davvero può dare un sistema di lettura analogico. Nonché della necessità di una taratura particolarmente accurata per ottenere quel che l’analogico può dare effettivamente, che per forza di cose va a prolungarsi nel tempo.

Ciò spiega quanto sia bizzarra l’idea di cambiare testine come le gomme di una Formula 1, ma soprattutto controproducente.

Proprio ai fini di una verifica concreta e attendibile di quel che è nelle corde di questo sistema di riproduzione e in quelle di prodotti che necessiterebbero di ben altre cure e amore. Non fosse altro che per il rispetto dovuto nei loro confronti, in quelli di chi li ha realizzati e soprattutto dell’etica necessaria a non perculare a oltranza il pubblico degli appassionati.

 

Taglio dello stilo

I primi stili adatti alla riproduzione dei dischi microsolco, che all’epoca erano monofonici, avevano forma conica. In seguito, con il perfezionamento del sistema, l’avvento delle registrazioni e delle incisioni stereofoniche, lo stilo divenne ellittico, ampliando l’area a contatto del solco.

Con il passare degli anni le forme degli stili sono diventate via via più raffinate, incrementando il rapporto dimensionale tra i due assi dell’ellisse. Quindi aumentando sempre più l’area di contatto ed estendendola verso il fondo del solco, in modo da rendere più efficace l’estrazione delle informazioni, in particolare alle frequenze medie e alte. In seguito si è cercato di avvicinare per quanto possibile la forma del bulino incisore.

Ampliare l’area di contatto non significa soltanto migliorare le capacità di lettura della testina, in particolare alle frequenze superiori e per le informazioni più minute, ma anche e soprattutto ridurre la pressione specifica dello stilo sul solco che, ricordiamolo, viaggia nell’ambito delle tonnellate per centimetro quadrato. Si riducono di conseguenza anche le temperature che si generano nel processo di lettura, sempre a vantaggio delle condizioni del solco dopo letture ripetute.

Dai comuni stili ellittici si è passati a un’infinità di tagli diversi, definiti convenzionalmente iperellittici, come Stereohedron, Line Contact, Twin Tip, Shibata, Vital, Gyger, Fine Line, Paroc, Trigon, Dynascan, Micro Line, Van den Hul e vari altri. Ognuno utilizza misure specifiche per il taglio del diamante con il quale si realizza lo stilo. Si tratta di variazioni sul tema dello stilo ellittico, sovente con differenze di dettaglio.

In generale, più si incrementa il rapporto tra gli assi dell’ellisse, più lo stilo riesce ad andare a fondo del solco. Migliorando la capacità di estrazione delle informazioni, ma in genere ponendo in evidenza maggiore i disturbi causati dallo sporco eventualmente presente nel solco.

A volte gli appassionati valutano positivamente la capacità delle testine di rendere questi ultimi meno percepibili, forse senza sapere che tale caratteristica contraddistigue in genere quelle meno raffinate.

Certo, è sempre questione degli obiettivi che ci si pongono a livello individuale, ma un atteggiamento simile non differisce dal preferire diffusori peggiori, dato che con la loro minore selettività nascondono meglio i difetti del resto dell’impianto.

Cosa che del resto su forum e social e si vede fare con una certa frequenza.

Questo a sua volta spiega un paio di altre cose.

La prima è che man mano che si sale con la qualità, si hanno prodotti capaci di dare risalto anche ai dettagli più fini del segnale audio, sia esso in forma di solco, di sequenza binaria o di onda sonora, più o meno amplificata. Tuttavia anche il componente migliore di questo mondo, non importa se è una testina, un diffusore o un amplificatore, non è in grado di discernere quanto è davvero confacente a migliorare l’esperienza d’ascolto da ciò che lo è molto meno, si tratti di sporco nel solco, distorsioni o difetti di vario genere generati dai  componenti che lo precedono.

Pertanto scegliere oggetti di qualità molto elevata, ma all’atto pratico sproporzionata con il resto dell’impianto, può avere conseguenze poco gradite. Che riguardano appunto il porre nell’evidenza maggiore i difetti dell’impianto piuttosto che ottenere il miglioramento qualitativo in termini assoluti che invece ci si sarebbe atteso.

Il che riporta ancora una volta alle considerazioni riguardanti l’equilibrio, espresse in apertura.

Riguardo alla realizzazione dello stilo, va anche rilevato che al giorno d’oggi la maggioranza dei costruttori utilizza per motivi di economia diamanti sintetici, mentre solo pochi continuano a scegliere i tradizionali diamanti naturali, che offrono prestazioni superiori anche in termini di durata.

 

L’accoppiamento tra stilo e cantilever

In origine la base della puntina, ossia l’estremità opposta a quella che traccia nel solco, era letteralmente inserita all’interno del cantilever. Soluzione permessa dalle dimensioni generose tipiche dei modelli riguardo ai quali non si andava alla ricerca di una massa molto ridotta e di una frequenza di risonanza elevata al punto da ricadere fuori dalla banda audio. Quella scelta era permessa anche dal materiale con cui erano costituiti i cantilever, l’alluminio.

 

Con il diffondersi di materiali più raffinati, come il boro le cui doti meccaniche permettono un contenimento del diametro del cantilever, non è stato più possibile incastrare la puntina al suo interno. Così si è fatto ricorso all’incollaggio tra le parti, eseguito a caldo. Questo permette di ridurre ulteriormente la massa dell’equipaggio mobile, dato che è sufficiente uno stilo di altezza e peso minori, oltretutto laddove le sue conseguenze si fanno sentire maggiormente, ossia sul punto più lontanto dal vincolo, quindi caratterizzato dal braccio di leva maggiore. Per contro l’accoppiamento tra le parti è alquanto meno sicuro.

Così dal momento in cui si è iniziato ad adottare questa soluzione, sono andati diffondendosi i problemi dovuti al distacco dello stilo dal cantilever, tipici delle testine “moderne”. In particolare per quelle “ristilate”, operazione necessaria sulle testine a bobina mobile, una volta che lo stilo si è consumato.

Viceversa le MM e assimilate hanno lo stilo sostituibile. Più comodo ed economico ma che introduce un’interruzione nella rigidità di accoppiamento del sistema.

Inizialmente, per le testine a bobina mobile di cui si era usurato lo stilo, il costruttore ne offriva la sostituzione totale, a prezzi minori dell’esemplare nuovo, ma non di molto. In seguito è andato diffondendosi l’intervento di ristilaggio, che consiste nel rimuovere la puntina usurata per sostituirla con una nuova. Operazione che prevede appunto l’incollaggio.

Il problema è che mentre per un cantilever realizzato in fabbrica ex novo l’incollaggio avviene a caldo, per il ristilaggio è necessario ricorrere all’incollaggio a freddo. Malgrado l’uso di collanti specifici a più componenti, la cui presa è parecchio salda, per forza di cose non si possono avere caratteristiche di solidità dell’insieme del tutto identiche a quelle di un cantilever nuovo. Anche per via della ridottissima superficie di contatto tra le due parti.

Questo è un altro motivo per cui la perdita dello stilo è un evento andato diffondendosi nel corso degli anni, possibilità di cui va tenuto conto sia nella scelta della testina, sia soprattutto quando ci si orienta verso un esemplare usato e ristilato, anche se l’operazione è stata compiuta a dovere presso laboratori di provate capacità.

Una possibile soluzione alla perdita dello stilo è quella del cosiddetto scarponcino, che consiste nel inserire sul moncone del cantilever originario uno stilo di ricambio per MM dalle dimensioni adatte allo scopo, privato della sua sovrastruttura.

Si tratta di una soluzione ingegnosa e tutto sommato economica, realizzabile senza difficoltà eccessive da parte di chi abbia esperienza al riguardo e le doti di manualità necessarie. Permette oltretutto di scegliere il taglio dello stilo preferito.

Va detto però che così facendo si modifica per forza di cose la massa dell’equipaggio mobile, oltretutto nel punto più lontano dal vincolo, variandone di conseguenza il punto di risonanza, la capacità di tracciamento e quindi la sonorità della testina.

Anche se ovviamente è meglio avere una testina che suona in modo un po’ diverso dall’originale rispetto a una del tutto inutilizzabile.

Si tratta di un’operazione che permette di recuperare a costi accessibili la funzionalità di esemplari che altrimenti sarebbero da buttare o che quantomeno necessiterebbero di un intervento i cui costi sono lievitati sensibilmente nel corso degli ultimi anni.   .

Elemento fondamentale della questione è che chi esegue questo tipo di intervento lo specifichi al committente, come per quel che ne so fa un noto artigiano che opera nella Capitale.

Altri invece lasciano credere di aver eseguito un’operazione più complessa per la sostituzione dello stilo o addirittura per il raddrizzamento del cantilever, cosa evidentemente difficile da effettuarsi senza spezzarlo. Il che ne comporterebbe la sostituzione, ai fini della quale si rende necessario smontare completamente il fonorivelatore. Per esperienza personale so che in casi del genere viene opposto un netto rifiuto alla richiesta di specificare la tipologia di intervento compiuto.

 

Cedevolezza

Un altro parametro fondamentale che riguarda il cantilever, e in genere l’equipaggio mobile della testina, è la cedevolezza, ossia la quantità di movimento che corrisponde a una determinata forza ad esso applicata.

Si misura in cm/dyne ed è uno tra i numerosi argomenti di scontro tra analogisti di diversa tendenza.

Una di esse tende sostanzialmente a destituire di fondamento tutto quanto abbia visto la luce dopo i giradischi a puleggia.

Per questo motivo vuole esclusivamente testine di bassa cedevolezza, delle quali rivendica la superiorità.

Un equipaggio mobile a bassa cedevolezza richiede un braccio di massa elevata, allo scopo di vincere la forza da esso opposta nel tracciamento del solco, o meglio per trattenerlo al suo interno.

Un braccio di massa maggiore è altresi necessario per contenere la frequenza del picco alle frequenze infrasoniche determinato dall’interfacciamento meccanico tra braccio e testina. In pratica, quello che determina il veder correre il woofer avanti e indietro, sia pure in sostanziale assenza di emissione udibile. Problema intrinseco nell’analogico e che produce lo spreco di potenza erogata dall’amplificatore in grandi proporzioni, di quella sopportata dall’altoparlante, oltretutto a frequenze che comportano l’escursione più ampia per l’equipaggio mobile di quest’ultimo.

La testina a bassa cedevolezza richiede inoltre una forza d’appoggio, il peso di lettura, notevolmente più elevato. Avendo una massa maggiore, ha anche una frequenza di risonanza più bassa, posta bene all’interno della banda audio, da cui deriva l’incapacità di tracciare correttamente alle frequenze superiori. Proprio per via della risonanza che determina fenomeni meccanici incontrollabili, i quali vanno a ripercuotersi sul solco e alimentano sé stessi in una specie di serpente che si morde la coda.

Almeno fino a che non cessa lo stimolo meccanico che dà luogo alla risonanza, quindi che il segnale inciso scenda sufficientemente più in basso della frequenza di risonanza.

Inoltre, bassa cedevolezza vuol dire maggiore forza necessaria allo spostamento del cantilever. Per conseguenza esso si comporta in maniera più vicina alla punta di un tornio da rettifica, e in sostanza tende a ignorare i segnali di entità minore, spianandoli, perché non riescono a imprimere al cantilever stesso la forza necessaria a spostarlo. Inoltre, minore cedevolezza e massa maggiore significano maggiore inerzia, e quindi maggiori difficoltà nel seguire le modulazioni presenti nel solco, maggiore pressione specifica sulle sue pareti e  temperature più alte, a danno della vita utile e della conservazione del disco dopo ripetuti ascolti.

Non a caso i fonorivelatori a bassa cedevolezza erano diffusi nel periodo in cui predominavano le incisioni monofoniche, caratterizzate unicamente dalla modulazione orizzontale del solco.

Il passaggio alla stereofonia ha comportato l’aggiunta della modulazione verticale a quella orizzontale: la necessità di seguire due ordini di modulazione contemporaneamente presenti nel solco necessita di una maggiore libertà di movimento e capacità di lettura del fonorivelatore, segnatamente dell’equipaggio mobile. Ossia di inerzia minore e di una frequenza di risonanza posta fuori dalla banda audio, quindi non innescabile dai segnali in essa contenuti e che non vada a influenzare negativamente la riproduzione delle frequenze udibili.

Rappresentazione schematica del principio di funzionamento della testina. Dall’illustrazione si intuisce anche come rendendo più sottile la forma dello stilo se ne renda più ampia l’area di contatto, ottenendo la capacità di andare a leggere più a fondo nel solco

 

Per questo l’unica strada è ridurre la massa dell’equipaggio mobile e aumentare la cedevolezza, proprio al fine di migliorare le capacità di tracciamento delle testine.

Con il passare del tempo le incisioni stereofoniche hanno reso la propria modulazione ancor più difficile da tracciare, per via del progredire delle tecniche di registrazione e di incisione, caratterizzate da estensione maggiore verso gli estremi banda e da velocità di tracciamento più elevate.

Da ciò derivano modulazioni più ricche di informazioni e quindi più complesse da tracciare, che a loro volta hanno imposto equipaggi mobili di cedevolezza ancor più elevata e di conseguenza bracci a bassa massa.

Di qui la ritrosia di chi asserisce la superiorità delle testine a massa elevata a utilizzarle per la riproduzione delle incisioni più moderne, magari insinuando il dubbio che si tratti di produzioni derivate da registrazioni digitali, di conseguenza invalidanti per la purezza del vero analogico.

Testine simili del resto, sottoposte all’impiego con le incisioni più moderne, che sfruttano appieno quanto reso possibile dall’evoluzione tecnica, mostrano i loro limiti proprio nella scarsa capacità di recuperare informazioni, da cui una povertà di particolari verificabile in varia misura ma alquanto generalizzata. Nei casi peggiori vanno incontro a fenomeni di mistracking particolarmente evidenti, che si risolvono con la caratteristica sonorità gracchiante, e con un altrettanto grave danneggiamento del solco.

Problema aggirabile aumentando ulteriormente il peso di lettura, che a sua volta esaspera i problemi di risonanza, di pressione, di temperatura e di usura prima descritti.

Di qui la diceria che la buona conservazione del disco si ha solo con il suo mancato utilizzo. Il che equivale a sostenere la necessità di abbandonare l’analogico.

Del resto con sistemi di lettura che negano sostanzialmente le loro funzioni, non è possibile arrivare ad altre conclusioni.

Infatti somigliando più che altro a erpici, caricano il delicato solco vinilico con pressioni di tonnellate per centimetro quadrato e temperature da varie centinaia di gradi, applicati a della plastica. Oltretutto picchiano sulle sue pareti come martelli pneumatici quando entrano in risonanza, o non riescono più a tracciare correttamente per via delle loro povere caratteristiche meccaniche.

Se queste sono le premesse, difficilmente le conseguenze potranno essere diverse.

Viceversa, dischi trattati correttamente con fonorivelatori ben allineati, ad alta cedevolezza e montati su bracci di massa contenuta, centinaia di riproduzioni nell’arco di un paio di alcune decine d’annili hanno lasciati in condizioni fin quasi perfette.

La conferma di questo stato di cose, e delle leggende che si vogliono trasformare in verità solo ai fini della propria tranquillità mentale, la si ha osservando il mercato dei dischi usati. Quelli che risalgono agli anni precedenti il 1970 sono quasi sempre in condizioni pietose, proprio per le caratteristiche dei sistemi di riproduzione dell’epoca. Quelli successivi, invece, è più facile trovarli in buone condizioni, proprio per via del diffondersi di testine a cedevolezza elevata, capaci di tracciare correttamente sotto i 2 grammi, e bracci a massa ridotta.

 

La riprova pratica

Per sincerarsi di quanto appena detto non è necessario essere specialisti in astrofisica. Bastano invece un po’ d’ingegno, di buona volontà e l’utilizzo di strumenti se vogliamo rozzi.

Infatti allo scopo serve solo prendere una palanca o una sottomisura, ossia le assi di legno di scarsa qualità che si utilizzano in edilizia per realizzare le casseforme in cui poi si cola il cemento. Ne basta un pezzo di qualche decina di centimetri di lunghezza.

La loro superficie di legno morbido, ma ruvida e irregolare, si presta a simulare il disco vinilico, mentre la funzione del cantilever è sostituita da un semplice un chiodo, che sia leggero e sottile. Lo si prende dalla testa tra i polpastrelli di pollice e indice, e lo si fa scorrere sulla superficie legnosa, tenendolo inclinato in modo che su questa tocchi solo la punta.

Applicando il minimo della forza necessaria a tenerlo a contatto della superficie sottostante, mentre lo si trascina si possono agevolmente sentire sotto le dita tutte le irregolarità del legno, senza che su di esso si lasci traccia.

Nel momento in cui si prende un chiodo più grosso e pesante e lo si preme con forza maggiore, l’effetto delle irregolarità più minute viene meno e si possono percepire solo quelle più grossolane. Diventa più difficile da muovere liberamente, ma in compenso avremo lasciato sulla superficie del legno l’impronta ben visibile prodotta dal suo passaggio.

Eccoci dunque ad aver simulato in maniera attendibile la differenza tra un sistema di lettura a massa ridotta e una testina di bassa cedevolezza, applicata a un braccio a massa elevata.

Certo, un braccio di massa maggiore tiene premuto il cantilever contro il solco in maniera più efficace, tendendo ad essere meno sensibile alle reazioni causate da quest’ultimo, ma come sempre è questione di proporzioni.

A parte che un braccio non può avere una massa infinita, poiché negherebbe il necessario grado di mobilità necessario a permettere la riproduzione di dischi non perfettamente piani, che sono la stragrande maggioranza, resta il fatto che aumentare la massa a parità di cedevolezza non fà altro che ridurre la frequenza della risonanza causata dall’interfacciamento meccanico tra braccio e testina. Questa invece dovrebbe restare tra gli 8 e i 12 Hz, in modo da non influire troppo con le frequenze di warp, mentre salendo troppo andrebbe ad avvicinarsi pericolosamente alla banda audio.

In ogni caso, per contrastare le spinte prodotte da un cantilever di cedevolezza maggiore, è sufficiente una massa minore.

Ecco perché i fonorivelatori che esprimono le doti migliori di tracciamento, fatta salva una serie di aspetti meccanici inerenti forma e dimensioni di stilo e cantilever, sono quelli a cedevolezza elevata.

 

L’interfacciamento braccio – testina

Entriamo così nel vivo della questione relativa all’interfacciamento meccanico tra braccio e testina, che ruota appunto sull’abbinamento tra i parametri inerenti la cedevolezza dell’equipaggio mobile della testina e la massa del braccio.

Un abbinamento corretto verte su una cedevolezza elevata e una bassa massa, o viceversa bassa cedevolezza e massa elevata. Al limite, per ottenere una minore sensibilità alle spinte generate dal cantilever, si può impiegare un braccio di massa lievemente superiore al necessario, curando comunque di non allontanarsi troppo dall’ambito di frequenze menzionato in precedenza, Se si esagera, si corre il rischio di penalizzare la capacità del cantilever di seguire con la massima precisione le modulazioni del solco, dovuta proprio alla sua cedevolezza, oltreché all’eccellenza delle altre sue caratteristiche meccaniche.

Premere troppo sul cantilever, infatti, penalizza grandemente le sue possibilità di movimento  e quindi di seguire nel modo migliore l’andamento del solco.

In linea generale, aumentando la massa del braccio rispetto al necessario, in relazione alla cedevolezza del cantilever, la frequenza di risonanza scende. Viceversa se la massa del braccio si riduce, la frequenza di risonanza tende a salire.

La cedevolezza del cantilever è determinata in massima parte dalle proprietà meccaniche della sospensione, anello realizzato con speciali materiali visco-elastici posizionato attorno all’asse del cantilever, atto proprio al controllo del suo movimento. Con l’impiego di una sospensione rigida la cedevolezza si riduce, con una più morbida aumenta.

Dati i materiali con cui è realizzata, la sospensione è l’elemento che più di tutti risente dell’invecchiamento, tendendo a indurirsi sotto l’azione del tempo e degli agenti atmosferici. Dunque, nell’acquisto di un fonorivelatore usato, magari anche con pochissime ore d’ascolto, se la sua età è ragguardevole ci sono buone probabilità che la sospensione abbia perso le caratteristiche meccaniche originariamente previste dal costruttore.

Qualora sia indurita può essere opportuno aumentare la pressione di lettura, per contrastare la maggiore resistenza meccanica da essa opposta e, se il braccio lo permette, incrementare leggermente la sua massa. In altri casi tende fin quasi a liquefarsi, caso in cui il corpo testina tende fin quasi a “sedersi” sul disco.

Alcuni bracci hanno a corredo elementi di peso maggiore rispetto a quelli standard, contrappeso o altro, che permettono appunto di variarne la massa.

 

Lo smorzatore

Come accennato in precedenza, l’interfacciamento tra braccio e testina è uno dei punti chiave in tutto il sistema di lettura analogico. Il caratteristico picco di risonanza che ne deriva in gamma infrasonica può essere attenuato, o del tutto eliminato con l’impiego di uno smorzatore a fluido.

Si tratta in genere di una vaschetta riempita di olio siliconico, all’interno del quale “pesca” un elemento rigidamente collegato alla canna o all’articolazione del braccio, smorzandone per l’appunto i movimenti.

Come sempre avviene nel concreto del mondo reale, il suo effetto non è gratuito: se da una parte si guadagna, di sicuro c’è un qualche aspetto su cui si perde.

Nella fattispecie l’azione dello smorzatore tende a sottoporre la testina, soprattutto quelle di cedevolezza maggiore, a uno sforzo troppo elevato per il movimento atto a seguire il solco lungo la superficie del disco, che si scarica tutto sul punto in cui è imperniato il cantilever, andando ancora una volta a penalizzare le doti sonore del sistema di lettura.

La risonanza alle basse frequenze determinata dall’interfacciamento meccanico tra braccio e testina oltretutto non è fine a se stessa, ma si ripercuote pesantemente sul comportamento di tutto l’impianto. Il suo effetto più visibile è il correre a vuoto dei woofer: specie se il volume è un po’ alto, si possono notare le membrane dei woofer che si muovono avanti e indietro incessantemente, ma senza emettere alcun suono.

In realtà il suono lo emettono, ma di una frequenza più bassa rispetto al limite inferiore del nostro udito. Ciò comporta un gran dispendio di potenza da parte dell’amplificatore e contemporaneamente la riduzione della gamma dinamica permessa dagli altoparlanti, proprio perché impegnati a riprodurre il picco di risonanza, al fine del quale devono destinare gran parte della corsa utile della membrana.

Pertanto la riproduzione di frequenze tanto basse implica lo spreco di gran parte del potenziale energetico di amplificatore e diffusori. Quindi, riducendo per quanto possibile l’entità di tale picco di risonanza si porranno i componenti dell’impianto in condizioni molto migliori per esprimersi al meglio, lasciando più spazio alla riproduzione del segnale musicale.

 

Il corpo testina

La testina è l’elemento nel quale l’energia meccanica, dovuta al tracciamento dello stilo nel solco, si trasforma in energia elettrica. Questa viene poi amplificata di diversi ordini di grandezza, affinché il segnale da essa prodotto sia sfruttabile dagli altoparlanti.

Va da sé, allora, che è proprio la testina il punto in cui ogni eventuale risonanza trova il riscontro maggiore, e quindi l’influsso più pesante sulle proprietà della riproduzione. Ecco perché nel corpo testina la presenza o l’eliminazione di risonanze ha l’effetto più evidente. Anche per via del fatto che il cantilever, seguendo la modulazione del solco, non fa altro che risuonare: in maniera controllata se di bassa massa e di caratteristiche meccaniche ben calibrate allo scopo, caso in cui la sua risonanza andrà a finire in banda ultrasonica. Viceversa, se è di massa elevata e scarsa cedevolezza la sua risonanza, oltre a essere molto meno controllabile, ricade bene all’interno della gamma audio, influenzando pesantemente la sonosirtà della testina e quindi di tutto l’impianto..

Un’altra forma di risonanza è data dal movimento del cantilever che segue le modulazioni del solco e tende a picchiare su di esso come una specie di martelletto. Ancora una volta le caratteristiche meccaniche dell’equipaggio mobile influiscono direttamente sull’entità e le caratteristiche di tale risonanza, quindi  sulla sua maggiore o minore influenza sulla riproduzione.

Ecco perché il materiale con con cui sono realizzati piatto e tappetinohanno tanta importanza: in particolare per quel che riguarda la loro impedenza meccanica. Se è molto bassa, le risonanze tenderanno ad “affondare” in essi, come si trattasse di un pozzo. Viceversa, se la loro impedenza meccanica è elevata, tali risonanze tenderanno a riflettersi verso disco e cantilever, rientrando in maniera più pesante nella testina. Si innesca così un anello dalle conseguenze oltremodo dannose per la riproduzione.

Altrettanto critico è il corpo testina, che fa da cassa armonica ai movimenti del cantilever, che a sua volta può essere assimilato alla corda di una chitarra. È proprio per questo che, riproducendo un disco ad amplificatore spento e accostando l’orecchio al giradischi, lo si sente suonare, sia pure flebilmente. Ovvio a questo punto che le caratteristiche meccaniche del corpo testina, quindi del materiale da cui è composto, influiscano in maniera particolarmente sensibile sulla sua sonorità.

Per evitarne le risonanze sarebbe meglio eliminare il corpo testina. Proprio perché come avviene spesso, e più che mai nella riproduzione sonora, il componente migliore è quello che non c’è. Dato che non crea problemi e neppure si può rompere.

Infatti molti tra i costruttori che realizzano testine di prezzo elevato fanno proprio così. Qualcuno, come Sumiko, anche per alcuni dei suoi modelli non troppo costosi. Un altro è Van den Hul, che anche per le testine meno impegnative del suo listino permette di rimuoverlo semplicemente agendo su tre viti.

Va da sé che il telaio della testina deve essere adatto allo scopo, e quello dei modelli menzionati lo è. Numerose sono state anche le modifiche a tale riguardo eseguite sulla Denon DL 103.

Una volta che si è rimosso il corpo testina, si apprezza una sonorità decisamente più libera da costrizioni e impedimenti, dotata di dinamica, apertura, estensione in frequenza e precisione decisamente maggiori. Si tratta insomma di uno dei pochi interventi che a un sensibile miglioramento non impone di pagare pegno da qualche altra parte. Certo, se si rimuove il corpo testina non c’è più il sostegno per il parapuntina, ma forse per quello che serve se ne può fare a meno.

Un altro problema può essere quello della polvere, cui per forza di cose viene esposta la componentistica interna, quello che a volte viene definito il motore della testina.

Laddove non è possibile rimuovere il corpo testina, si può sempre fare in modo da evitare risonanze e interruzioni della continuità strutturale. Ad esempio nelle testine MM, quasi tutte dotate di stilo sostituibile, bloccarlo con una punta di cianoacrilato porta risultati apprezzabili. Quando arriva il momento di cambiarlo, basta fare un po’ di forza per asportarlo e mettere al suo posto quello nuovo. Se no si compra il disincollante apposito e si risolve così.

 

L’interfacciamento elettrico

Ogni testina necessita di specifici valori di carico da parte dell’ingresso cui la si collega.

In linea di massima le MM sono sensibili a impedenza e capacità, ai fini delle quali anche il cavo di collegamento ha il suo influsso, mentre le MC risentono in particolare dell’impedenza, che in genere si consiglia in almeno 10 volte il valore di quella interna della testina.

Così facendo si può intervenire sul comportamento e quindi sulla sonorità della testina.

La capacità in particolare influisce sulla risposta all’estremo alto delle MM. Quindi alcune fonti consigliano di correggerla con l’impiego di condensatori. Così facendo si possono ottenere tracciati di risposta quasi perfettamente rettilinei, il che almeno sulla carta farebbe pensare di aver raggiunto il proprio scopo.

In realtà, e come spesso avviene, una volta riportato il tutto al mondo reale si scopre che la presenza del condensatore ha influssi negativi sulla qualità sonora assai peggiori rispetto a quello di uno scostamento di qualche decimo di dB. Che peraltro hanno luogo non solo all’estremo superiore ma su tutta la banda audio.

Questa è la dimostrazione più efficace di quello che dico sempre, ossia che le misure non sono inutili ma dannose, in quanto ingannevoli.

Vediamone le conseguenze: l’appassionato leggendo il grafico di risposta della sua testina, a suo tempo pubblicato da certe riviste, è tutto contento perché con l’impiego di un semplice condensatore da qualche centinaio di picoFarad, può finalmente ottenere l’agognato risultato di una linearità perfetta, come le stesse fonti di tale inganno gli hanno insegnato a credere. Facendosi oltretutto pagare allo scopo.

Quindi si dà da fare per reperire il componente necessario e chi lo monti senza fare troppi danni, andando anche incontro a perdite di tempo, a spese di qualche rilievo e soprattutto al rischio di pregiudicare l’integrità delle apparecchiature per acquistare le quali ha sborsato fior di quattrini..

Poi finalmente riporta tutto a casa e lo ricollega all’impianto, per scoprire fin dal primo secondo che la qualità d’ascolto è drasticamente peggiorata. Questo naturalmente se ha le capacità di giudizio e l’indipendenza di pensiero necessarie allo scopo. Altrimenti potrebbe essere indotto a pensare che siano i suoi gusti a essere sbagliati e che sia giusto ascoltare così.

Che poi è proprio quello che desiderano le riviste: convincere gli appassionati che sono degli incapaci totali e che quindi i loro consigli disinteressati sono indispensabili al fine di poter realizzare un impianto che sia degno di tal nome.

I risultati pratici di tutto questo risultano evidenti nel momento in cui si mette insieme una certa esperienza d’ascolto, proprio riguardo alla media degli impianti presenti nelle case degli appassionati. I quali mostrano la curiosa tendenza a suonare tanto peggio quanti più soldi sono stati spesi per l’acquisto dei loro componenti.

Sempre grazie all’aiuto provvidenziale della pubblicistica di regim… oops, di settore.

E degli strumenti che utilizza in modo subdolo per dimostrare l’attendibilità delle teorie che diffonde.

Le conseguenze dovute all’impiego di componenti passivi ai fini di linearizzare la risposta dei fonorivelatori si rendono evidenti in modo particolare con gli impianti di selettività maggiore. Lo stesso del resto accadeva con i filtri subsonici tipici di amplificatori e preampli commercializzati durante l’era dell’analogico.

In effetti il loro intervento riduceva sensibilmente il correre avanti e indietro del woofer a frequenze subsoniche le cui cause sono state descritte in precedenza,, anche se i componenti con cui erano realizzati finivano regolarmente con il penalizzare la sonorità della sorgente in maniera ancora peggiore. Così quei filtri finivano con il restare quasi sempre inutilizzati.

Per quel che riguarda l’impedenza di carico, aumentandone il valore, ad esempio dai 47 kohm canonici per le MM si percepisce una sonorità più chiara e definita.

Lo stesso vale per le MC, anche se i valori che prediligono sono molto più bassi, in genere nell’ordine dei 100-200 ohm.

Anche nel loro caso però, e soprattutto con gli impianti più rivelatori, anche l’aggiunta del resistore necessario ad ottimizzare l’impedenza del carico può dar luogo a effetti negativi. In maniera minore rispetto a un condensatore, nondimeno percepibile.

L’esperienza sul campo spiega allora che non c’è una regola fissa, valida per tutte le occasioni.

Meglio effettuare alcune prove, ascoltandone i risultati con attenzione, al fine di decidere per il proprio caso specifico se la scelta migliore sia tollerare una risposta non proprio perfetta da parte del fonorivelatore, ammesso di riuscire a decidere in modo inconfutabile quale sia effettivamente tale, oppure l’intervento dei componenti necessari ad aggiustarla, che può essere più o meno rilevabile a seconda delle situazioni.

Personalmente preferisco lasciare le cose così come stanno sul mio preamplificatore phono, proprio perché l’aggiunta di ulteriori componenti in parallelo all’ingresso ha sempre dato luogo a risultati peggiori del male che dovrebbero curare.

Questo naturalmente vale per il mio impianto, per il mio udito e per i miei gusti. Non è detto che in altre situazioni non possa valere una regola del tutto opposta.

Come sempre allora, la cosa migliore è provare e decidere per proprio conto. Anche perché è proprio così che pian piano ci si forma la sensibilità necessaria a individuare le soluzioni migliori per l’impianto che si possiede, sempre dal punto di vista sonico. Che poi è la strada attraverso cui si giunge a ottenere il suo massimo rendimento, e quindi le soddisfazioni maggiori.

 

Smagnetizzatori

Si tratta di un argomento alquanto controverso e molto spesso trascurato.

Le bobine presenti all’interno delle testine, le quali sono direttamente collegate ai piedini di uscita da cui si preleva il segnale audio, data la loro vicinanza a magneti quasi sempre di potenza tutt’altro che trascurabile, tendono a risentire negativamente dei fenomeni di magnetizzazione che ne derivano.

Le conseguenze riguardano una sonorità meno limpida da parte della testina, tendente ad asprezza e indurimento. Quello che gli anglosassoni definiscono onomatopeicamente come “harsh”.

Per questo già all’epoca in cui l’analogico aveva il predominio assoluto erano disponibili appositi smagnetizzatori, il cui impiego regolare permette di ricavare dalla propria testina la sonorità migliore riguardo agli aspetti appena menzionati.

Il loro utilizzo è sempre stato alquanto controverso. Anche perché alcune fonti hanno paventato la possibilità di rovinare irrimediabilmente la testina a seguito del loro utilizzo.

In realtà quelli realizzati correttamente emettono tensioni così limitate da non poter materialmente causare danni.

Anche il loro impiego deve essere effettuato in maniera corretta. Ossia lasciando terminare il ciclo di smagnetizzazione, evitando di scollegare la testina a metà dell”opera.

Altri dicono invece che sarebbe inutile utilizzarli, dato che in breve, ossia nel giro di poche facciate di LP, le bobine finiscono per forza di cose con l’essere di nuovo magnetizzate.

Questo non solo è del tutto vero, ma è anche la posizione di un fabbricante di testine piuttosto noto.

In linea di principio non ha differenza alcuna dal sostenere che lavarsi le mani o la faccia sia inutile. A che serve se tanto dopo un po’ ce le saremo sporcate di nuovo?

 

 

 

45 thoughts on ““IL” giradischi 5 – La testina

  1. Gentile Claudio,

    complimenti per il suo articolo e per il suo blog che scopro colpevolmente solo ora.

    Sono un appassionato di musica con migliaia di vinili collezionati nel corso dei decenni (di cui gran parte risalente ad un periodo compreso tra i ’60 ed i ’90) ma con una limitatissima conoscenza delle dinamiche relative alla riproduzione audio. Mi sono imbattuto del suo blog facendo ricerche nel tentativo di upgradare il mio impianto audio: ho pensato che la cosa migliore sarebbe incominciare proprio dalla fonte del suono e quindi dalle puntine; posseggo un Technics 1210 mk2 ed un Technics 1200 mk5 dotati entrambi di testine Ortofon Concorde Pro. Il tutto è poi connesso a dei monitor preamplificati KRK ROCKIT 6 via mixer Pioneer DJM800 (come avrà forse capito ho un trascorso da DJ).

    Stavo valutando di acquistare delle Ortofon 2m blue per cercare di migliorare la resa sonora delle mie riproduzioni e mi chiedevo se in generale tale scelta fosse opportuna e se, investendo un budget più alto (una Sumiko Blue Point No.3 Hi ad esempio), otterrei dei miglioramenti che giustifichino la spesa.
    Sono consapevole che il mio impianto non rende giustizia alla mia passione per la musica e sto per l’appunto cercando soluzioni cercando di districarmi in un mondo per me nuovo facendo “i compiti” su siti e blog come il suo: come le dicevo volevo incominciare dalle puntine per poi rivolgermi all’amplificazione ed agli speakers.
    Molte grazie per il suo tempo.

    1. Ciao Ludovico,
      grazie a te per l’apprezzamento.
      Nelle condizioni attuali, e anche in quelle future cui ragionevolmente potresti ambire, il punto debole delle tue sorgenti analogiche non è dato dalle testine, ma dallo stadio fono cui sono collegati i tuoi giradischi.
      E’ proprio quello il punto più critico dell’intera catena analogica ed è sistematicamente trascurato, dagli appassionati alle prime armi fino a quelli in possesso di macchine di valore considerevole.
      Quindi è proprio in quella direzione che dovresti rivolgerti per iniziare a migliorare il tuo sistema, utilizzando un pre fono esterno, da conttere a uno degli ingressi linea del tuo mixer o comunque di un amplificatore.
      Personalmente ne realizzo uno di costo abbordabile ma dalle doti sonore di prim’ordine, cui forse potrebbe interessarti dare un’occhiata. Si tratta del Microsolid, che come ogni altro prodotto tra quelli che realizzo personalmente è dedicata una pagina del sito
      Se desideri altre informazioni o delucidazioni al riguardo, inviami pure un messaggio per mezzo del modulo di contatto.

  2. Buongiorno Sig,Claudio Innanzitutto i miei complimenti per il magnifico articolo!
    Posseggo un jukebox AMI I 200 del 58 mono con testina GE VRII ovviamente mono.La puntina dello stilo (comprata 10anni fa)si è rotta e stupidamente non mi sono segnato le caratteristiche.
    Nei vari siti online mi propongono due tipi :1 mil (conica?)punta zaffiro e denominata mono e l’altra 0,3 mil x 0,7 mil (ellittica?)punta diamantata denominata stereo.
    Usando vinili 45 (anni 50,60 e 70) mono e in parte stereo cosa mi consiglia e con quale si sentono meglio?E’ meglio punta zaffiro o diamantata? usando punta conica in zaffiro i solchi dei vinili stereo potrebbero rovinarsi?
    La ringrazio infinitamente e mi scusi per la prolissità.Carlo

    1. Ciao Carlo, grazie dell’apprezzamento.
      Una puntina in diamante è senz’altro più indicata.
      Il materiale è di maggior durata, inoltre la forma ellittica entra più a fondo nel solco, permettendo una migliore estrazione del segnale inciso.
      Il fatto che sia indicata per incisioni stereofoniche non vuol dire nulla. L’essenziale è che per il suo tramite si riproducano dischi “microsolco”.
      Una puntina in zaffiro di quelle dimensioni non è molto adatta alle incisioni “moderne”.

      1. Grazie molte Claudio anche per la celerità della risposta.
        Ti faccio ancora una domanda se posso:il solco di un vinile mono 45 rispetto a quello di un vinile stereo 45 ha dimensioni diverse (larghezza e/o profondità)?
        Grazie ancora Carlo

        1. Dovere. Quello che cambia è la modulazione: per il segnale monofonico è solo orizzontale, nella stereofonia vi si aggiunge quella verticale.
          Poi ci sono diversità “minori”, inerenti il passo, a seconda del livello della modulazione ed eventualmente della durata della registrazione.

  3. Buongiorno Claudio, sono Piero e vorrei porti un quesito, la differenza di volume tra tre mie testine, una pickering xsv 3000, una audiotechnica at95 em e una grado prestige gold 3,su un giradischi akai ap-206 amplificatore Denon pma 1500r e diffusori mission.
    Le prime due suonano molto bene ottimi alti e medi, bassi corposi, la Grado invece ha un volume molto più basso in genere unsuono ovattato… Mi aiuteresti a capire il fenomeno? Se gentilmente mi rispondessi sulla mail te ne sarei grato. Piero

    1. Ciao Piero, grazie dell’attenzione.
      Le Pickering sono equivalenti alle Stanton, quindi hanno una sonorità tendente al bilanciato. Le Audiotechnica invece hanno una sonorità brillante, a volte troppo, in funzione delle caratteristiche dell’impianto in cui entrano a far parte.
      Le Grado sono forse le più calde, sempre in un contesto di grande equilibrio, che trova alla lunga l’apprezzamento maggiore.
      Il diverso volume ottenibile da ciascuna delle testine, a parità di rotazione della manopola, dipende innanzitutto dalla loro tensione di uscita e poi dalle caratteristiche timbriche, che in funzione delle curve isofoniche dell’orecchio umasno, notoriamente più sensibile ad alcune frequenze piuttosto che ad altre, può variare le impressioni in questo senso.
      Tieni presente che per una somma di fattori inerenti la realizzazione delle testine, anche tra le MM quelle di qualità maggiore tendono in genere ad avere una tensione di uscita più bassa.
      Variando il peso di lettura infine, è possibile variare in maniera percettibile le doti sonore di una qualsiasi testina, mentre l’impiego di un buon pre fono ne esalta la sonorità e permette di minimizzare o eliminare del tutto le linitazioni tipiche degli stadi fono presenti negli amplificatori integrati, in genere realizzati al risparmio.

  4. Salve Claudio, articolo molto chiaro ed interessante per chie come me si è avvicinato al mondo analogico.
    Ho un Teac TN280, corredato dalla testina Audio-Technica ATN3600L. Il costruttore raccomanda testine con peso compreso tra 3,5 e 6,5 g, per un successivo upgrade le testine Audio-Technica AT95E ed Ortofon M2 Red possono andar bene?
    Sono graditi consigli anche su altri prodotti equivalenti.
    Grazie saluti.

    1. Ciao Roberto, grazie dell’apprezzamento.
      Un miglioramento potrebbe esserci, ma non così eclatante.
      Per fare un buon salto di qualità dovresti prendere testine decisamente più costose, che tra l’altro potrebbero essere più pesanti del dovuto.
      Forse ancopra più importante è il pre fono, a quel livello come stai messo?
      Per qualsiasi consiglio scrivimi pure utilizzando il modulo di contatto.

      1. Buongiorno Claudio, molte grazie per la tempestiva risposta.
        Il giradischi lo collego ad un amplificatore Denon dotato di ingresso Phono (pre integrato), per quel range di peso c’è qualche testina non troppo costosa che mi farebbe fare un salto di qualità apprezzabile? Inoltre approfitto della tua gentilezza e competenza per chiedere se alla lunga la testina originale con forza di tracciamento pari a 3,5 g possa usurare maggiormente i vinili e se ha comunque senso metterne una di poco superiore ma che lavora con carichi sotto i 2 grammi.
        Grazie ancora.
        Roberto

        1. Ciao Roberto,
          riprodurre i dischi con testine che lavorino sotto i 2 grammi è senz’altro consigliabile.
          Ti ho comunque inviato una risposta in privato, all’indirizzo mail che hai indicato.
          A presto.

  5. Salve Claudio. Articolo Eccezionale. La sua cultura in merito non ha eguali. Ho un Z1-s montata sul mio JVC QL-A2 Mi insegna gentilmente come cercare testine alternative? Sarei indirizzato su Audiotechnica. Sono completamente a digIuno riguardo l’argomento ma sta iniziando ad interessarmi. ps Devo dire che la z1-s ha un bel suono pero’ vorrei imparare a cercare testina e puntina autonomamente. Grazie ancora.

    1. Ciao Massimiliano, grazie a te per l’apprezzamento.
      Come scritto in quest’articolo e in quello dedicato ai bracci, la prima regola dell’abbinamento corretto riguarda la cedevolezza dell’equipaggio mobile della testina e la massa del braccio. La testina a cedevolezza medio alta richiede un braccio a bassa massa, mentre la testina a bassa cedevolezza richiede un braccio di massa medio alta.
      Un parametro che fornisce indicazioni di massima sulla cedevolezza dell’equipaggio mobile è il peso di lettura richiesto dalla testina. Se inferiore a 2 grammi indica una cedevolezza media e poi alta mano a mano che scende, al di sopra dei 2 grammi una cedevolezza bassa.
      Purtroppo quasi mai i costruttori di giradischi completi di braccio indicano la massa di quest’ultimo. Comunque tenendosi su testine dal peso di lettura raccomandato non troppo dissimile da quella d’origine si hanno buone garanzie di montare sul braccio testine adeguate alle sue caratteristiche.
      Da tenere presente infine che col tempo le caratteristiche della sospensione, realizzata generalmente in gomma, possono variare anche in maniera significativa, a causa dell’invecchiamento del materiale. Alcune mescole tendono a indurirsi, altre invece ad ammorbidirsi, richiedendo un adeguamento del peso di lettura.
      Tutto questo in funzione del picco di risonanza a frequenza subsonica, causato appunto dall’abbinamento tra le caratteristiche menzionate. Dovrebbe cadere tra gli 8 e i 12 Hz e indurre la minor esaltazione possibile.
      Il picco a sua volta è la causa del correre dei woofer a vuoto riscontrabile nell’impiego del giradischi, in particolare quando si ruota la manopola del volume con una certa generosità. Come tale sottrae energia alla riproduzione del segnale utile.
      Meglio sono abbinati i parametri anzidetti e più contenuto è questo fenomeno.
      In rete si trovano anche dei programmini in cui inserendo i dati in questione si ottiene la curva di risposta braccio-testina alle frequenze subsoniche.
      Poi naturalmente c’è anche la questione dell’abbinamento timbrico della testina con il resto dell’impianto. Le Audiotchnica, e in particolare le MM di quel costruttore, evidenziano in genere una sonorità tendente al brillante.
      Tieni presente infine che per poter esprimere appieno il loro potenziale, le sorgenti analogiche necessitano di un pre fono all’altezza, elemento generalmente trascurato quando invece è il più critico della catena di riproduzione dedicata ai dischi vinilici.
      Altrettanto importante è la messa a punto del sistema, che se trascurata può penalizzarne le prestazioni in maniera significativa.
      Come al solito fondamentale è l’esperienza, che purtroppo al giorno d’oggi diventa sempre più difficile accumulare per una somma di motivazioni, tra le quali non ultima è la spesa necessaria per i vari elementi del sistema di lettura.
      Per il momento è tutto ma se hai altri dubbi non esitare a riscrivere.3

      1. Claudio Grazie mille. Le faccio solo una domanda banale. Ho una testina at85ep audiotechnica e devo comprare la sua headshell ma non so come girarmi. Leggo che l attacco e’ t4p. Leggo poi p-mount. non ci capisco nulla. grazie ancora

        1. Ciao Massimiliano, T4p e p mount sono la stessa cosa.
          Quel tipo di testine è adatto soltanto ai bracci equipaggiati con lo stesso tipo di attacco.
          Se il tuo giradischi ha uno shell di tipo normale, quella testina non va bene. Ne dovresti montare una con attacco standard da mezzo pollice o altrimenti munirti di un adattatore, che puoi trovare mediante la ricerca di adattatore testine t4p, da montare a sua volta tra testina e shell.

  6. Salve ma cosa si intende, in ordine di grammi bracci a massa bassa, medio, alta? Forse mi sono perso una sua precisazione cristiano

    1. Ciao Cristiano, grazie per l’attenzione.
      Fino a 8-10 grammi i bracci sono considerati a bassa massa, oltre quel valore e fino a 18-20 vanno considerati a massa media e ancora più su a massa elevata. Considera che non c’è una scala univoca al riguardo e i valori in questione variano a seconda delle fonti. Ortofon ad esempio pone il limite superiore dei massa media a 25 grammi, altri intorno ai 18-20.
      In realtà quello che conta è la frequenza in cui cade il picco di risonanza risultante dalla relazione tra cedevolezza dell’equipaggio mobile della testina e massa del braccio, che dovrebbe essere nell’intervallo tra gli 8 e i 12 Hz.
      Da tenere presente inoltre è la forza necessaria per spostare materialmente il braccio lungo la sua corsa da inizio a fine disco, ugualmente legata alla sua massa, oltreché alla “durezza” della sua articolazione, che tende a mandare in crisi l’equipaggio mobile della testina quando equipaggiato con una sospensione troppo morbida, ossia cedevole, e di conseguenza ha difficoltà maggiori a vincere l’inerzia del braccio. In genere la conseguenza più vistosa è un’esasperazione della gamma medioalta, che diventa strillata e carente di dettaglio.

  7. Ho recuperato da un magazzino di famiglia un Lenco L78SE, con Pickering XV 15 625E.
    Che preampli base mi consigliate per un denon ceol 11? Che manutenzione e controlli ci sono da fare per verificarne il buon funzionamento? grazie

    1. Ciao Filippo, grazie della considerazione.
      Per collegare il giradischi al Denon è necessario un preamplificatore fono.
      Ce ne sono un po’ di tutti i prezzi, ma sarebbe meglio evitare di andare troppo al risparmio, per non penalizzare le doti del giradischi.
      Riguardo al suo buon funzionamento occorre accertarsi innanzitutto che tenga i giri e non dia luogo a fluttuazioni della velocità, di cui ci si accorge facilmente. Un altro possibile problema potrebbe riguardare la presenza di ronzio di fondo troppo elevato, alquanto comune nei giradischi a puleggia in cui i componenti del sistema di trasmissione siano usurati o induriti.
      Se non funziona da molto tempo, lascia anche il tempo alla testina di recuperare la sua elasticità, codsa che dovrebbe avvenire con qualche ora di lavoro.
      In caso di eventuali problemi riscrivi usando il modulo di contatto.

  8. Buongiorno Claudio, complimenti per l’articolo, molto chiaro e dettagliato.
    Vorrei chiederti un consiglio: ho un Technics SL-1500 C e vorrei cambiare la testina che monta di default, una Ortofon 2M Red. Non mi piace come suona, in particolare per le frequenze alte che trovo troppo vetrose ed eccessivamente evidenti. Cerco qualcosa di più equilibrato e rotondo. Al momento la mia configurazione è composta da integrato valvolare Synthesis Roma 96dc+ e diffusori Klipsch Heresy I serie. Utilizzo il pre phono del Synthesis, 40db di guadagno. Cosa mi consiglieresti entro i 300 euro di spesa? Grazie anticipatamente.

    1. Ciao Giorgio,
      grazie per l’apprezzamento.
      Prima di cambiare la testina, non così pessima e trattandosi di una Ortofon dalle caratteristiche timbriche di solito equilibrate, vedrei se sia possibile una messa a punto del sistema più confacente ai tuoi desideri.
      Dato che utilizzi il pre fono a corredo dell’integrato, potresti provare a vedere se con quello interno le cose cambiano.
      Non credo sia il caso ma fai anche attenzione che non siano utilizzati entrambi.
      Dopodiché potresti aumentare un pochino il peso di lettura, di due o tre decimi di grammo, il che ti aiuterebbe a tenere meglio a frenno la gamma alta.
      Infine potresti assicurarti che il giradischi e le altre apparecchiature dell’impianto lavorino sul morbido, eliminando gli eventuali piedini a punta.
      Puoi ricavare dei piedini morbidi di ottima efficacia riempiendo dei bicchierini da caffè usa e getta, quelli di plastica bianca, con del silicone da lavandini, quello di colore bianco.
      Con il manico bagnato di un cucchiaino rifinisci il bordo superiore del bicchoierino, pareggiando con cura le eccedenze.
      Attendi qualche giorno che il tutto si asciughi, poi rompi il bicchierino e ti trovi tra le mani un piedino di ottima efficacia, particolarmente indicato per tenere sotto controllo le frequenze superiori e non solo.
      Lo puoi usare anche sotto le elettroniche, con risultati altrettanto validi.
      Se in questo modo non risolvi, inviami un messaggio privato per mezzo del modulo di contatto.

  9. Complimenti per l’articolo fin troppo tecnico.
    Vi chiedo un parere sul mio vecchio ma ancora valido impianto hi fi.
    Ampli Pioneer sa 8500
    Giradischi Thorens td 160 mk2
    Casse kef 104
    Testine shure v15 III,
    Audio tecnica 155LC
    Linnk5
    Quale la migliore?
    Dove posso trovare lo stilo di ricambio per tutte?
    Grazie per l’attenzione e la risposta.

    Pino De Marte

    1. Ciao Pino, grazie per l’apprezzamento.
      Si tratta di ottime testine, con le prime due un gradino sopra. Immagino che una preferenza possa esservi soprattutto in funzione dell’abbinamento al resto dell’impianto.
      Purtroppo trovare gli stili di ricambio per modelli così anziani è un problema, se si desiderano quelli originali. Per la 155 oltretutto, che all’origine montava uno stilo Line Contact come indica la sua sigla, si trovano tagli Shibata o Micro Line, validi ma diversi dall’originale, anche se ancora di produzione Audio Technica come quello per la AT 140.
      Tra l’altro la 155 montava un cantilever in berillio, mentre la 140 uno in più comune alluminio.
      Per la Shure invece ho sentito parlare bene più volte dei Jico, ma non ho esperienza diretta.
      Una ricerca su google ti permetterà di reperire senza troppe difficoltà quanto ti necessita.
      Un altro elemento di dubbio è il costo dei ricambi, che forse potrebbe far propendere per l’acquisto di una testina nuova.
      Per qualsiasi dubbio non esitare a riscrivere.

  10. Salve

    per prima cosa complimenti per l’articolo uno dei migliori che ho letto sula rete su questo argomento.
    Giorni fà ho ritrovato in casa una vecchia testina ACUTEX 412 STR acquistata da mio fratello anni fa e mai usata per via dell’arrivo del CD.
    Ho due giradischi un Technics 1210 mk2 e un Pro-Ject Xtension 9 S-Shape e un prephono MoFi.
    Ho anche una testina Goldring E3 che mi piace molto ma quando ho montato la ACUTEX ho sentito magia e non riesco a capire entrambe l’uscita da 3,5 mV perchè la acutex suona decisamente ad un volume più alto. Quindi scusandomi per l’ignoranza qual’è il parametro per capire il volume a cui suonerà una testina?
    Grazie
    saluti

    1. Ciao Stefano, grazie dell’apprezzamento.
      Come noto nessuno nasce imparato, quindi non c’è motivo di scusarsi per la mancata conoscenza di certe cose.
      Altro invece è quando si pretende di salire in cattedra senza neppure aver capito l’ABC della materia di cui si vorrebbe discutere, cosa purtroppo molto comune al giorno d’oggi.
      Per venire al tuo quesito, a definire quanto suona “forte” una testina, a parità di condizioni d’impiego rispetto ad altri esemplari, è la sua tensione d’uscita. Se i due modelli hanno un valore simile, può darsi che uno di essi sia dichiarato in maniera alquanto prudente oppure sia proprio sottostimato.
      All’epoca dell’analogico, quando esisteva ancora una cultura al riguardo, era noto tra gli appassionati che, sia pure con una certa approssimazione, il livello di uscita di un testina è di solito inversamente proporzionale al suo livello qualitativo. Anche nel caso di quelle a magnete mobile. Quindi è possibile che non volendo generare valutazioni erronee o comunque poco producenti, un fabbricante decidesse di dichiarare un valore inferiore al reale.
      A presto

  11. buongiorno, ringraziandola per la sua risposta al mio quesito precedente, Le sarei grato di ben voler fornirmi un’ulteriore chiarimento al problema riscontrato. Immagino che si tratti di incompatibilità fra testina montata una Benz Micro Gold collegato ad uno dei due ingressi MC del MasterClass PA4 Sugden (Specifications SUGDEN MASTERCLASS: Input sensitivity n.1 MM 3,5 mV-MC 0,15mV Loading MM 57K, n.2 MC 470 & 100 Ohms) .
    Specifications TESTINA BENZ MC GOLD
    – Output: 0.5mV
    – Stylus Shape: .3x.7mil
    – Internal Impedance: 120 Ohm
    – Recommended Loading: >1200 Ohm
    – Weight: 5.7Gms
    – Compliance: 15
    – Tracking Range: 1.7 – 2.0.
    Mi pare che la testina montata dal rivenditore non sia compatibile col prephono. In caso affermativo mi potrebbe suggerire una testina degna di questo Kuzma, Benz oppure altro marchio?
    Le rinnovo il mio ringraziamento per il tempo e la pazienza che vorrà dedicarmi nel rispondere alle mie domande. Guy

    1. A fini del problema riportato, le caratteristiche tecniche della testina sono perfettamente compatibili con quelle del pre fono. Infatti la tensione di uscita della Benz è di 0,5 mV, ben superiore alla sensibilità d’ingresso del pre fono, ossia il livello d’ingresso necessario per avere in uscita la tensione nominale, pari a 0,15 mV. L’unica incertezza riguarda l’impedenza di carico raccomandata piuttosto elevata, sopra i 1200 ohm, ma selezionando quella di 470 ohm sul pre fono non dovrebbero verificarsi soverchi problemi, pur se sulla carta insufficiente. Si tratta comunque di un aspetto eventualmente risolvibile con un intervento che non comporta grandi difficoltà.
      Fondamentale quindi è accertarsi di usare effettivamente l’ingresso MC, o comunque di aver selezionato correttamente la sensibilità ad esso relativa.
      Va tenuto presente, inoltre, che il livello d’uscita del pre fono Sugden è di 360mV, ben più basso di quello tipico ad esempio di un lettore CD, che in genere è di 2 V. A seconda della tensione presente all’ingresso del pre fono, questo può comportare la necessità di una rotazione più ampia del volume per ottenere un livello di uscita simile.
      Se desideri comunque avere un consiglio sulla testina con cui sostituire la Benz, riscrivimi in privato per mezzo dell’apposito modulo di contatto.
      Buona giornata

  12. buongiorno,
    ho letto con attenzione il suo articolo dedicato ai fono-rivelatori. Ho da poco acquistato un nuovo giradischi, un Kuzma Stabi S braccio Stogi S . L’apparecchio mi è stato consegnato con una testina Benz Micro MC Gold ed è collegato ad un preamplificatore phono Sugden (2 ingressi MC, 1 ingresso MM). Le mie aspettative sono rimaste deluse rispetto al precedente giradischi un Rega P25 anni 90 con fonorilevatore Goldring Eroica. Il livello di uscita sonora è molto basso con il Kuzma, costringendomi ad alzare in modo siginificativo il volume dell’amplificatore. Mi potrebbe suggerire un fonorilevatore più indicato per il Kuzma . Al momento sono tornato ad ascoltare il Rega.
    impianto: Sugden Sapphire Fba800, Dap800 e Pre-phono Masterclass Pa4.
    cordiali saluti.

    1. Buongiorno Guy, grazie dell’interessamento e della considerazione.
      Per quesiti o richieste di chiarimenti riguardo ad aspetti tecnici di carattere personale è opportuno utilizzare i moduli di contatto cui si accede cliccando sulla voce “Chiedi a Claudio”, posta sotto i Link Utili nella colonna laterale.

      Per venire al tuo quesito, il Kuzma è un giradischi che dal punto di vista del telaio, compresi perno, piatto e braccio è superiore al Rega, che da parte ha una sezione motore ed elettronica di controllo più raffinata.
      Se il livello è troppo basso e necessita di una rotazione del volume esagerata, o si sta utilizzando l’ingresso sbagliato, MM invece di MC sul pre fono, o altrimenti le regolazioni di sensibilità dell’ingresso MC, qualora presenti, sono inadeguate. Quindi occorrerà selezionare una sensibilità più elevata.

      In linea di massima, comunque, la necessità di una rotazione del volume più ampia del solito non è di per sé indice di bassa qualità sonora.
      L’essenziale è che sia possibile ottenere il livello di potenza massima da parte dell’amplificatore.
      Avendo un arco di rotazione più ampio a disposizione, prima di portare l’amplificatore in saturazione, si può regolare il volume con maggiore accuratezza.

      Quindi provvedi a verificare le connessioni tra giradischi e pre fono e gli eventuali settaggi dell’ingresso MC, dato che con ogni probabilità in essi c’è qualcosa di sbagliato.

      Se trovi difficoltà o per altri dubbi non esitare a riscrivere, utilizzando gli appositi moduli di contatto.

      Buona giornata
      Claudio

  13. Buongiorno, innanzitutto complimenti per l’articolo e il sito in genere che ho scoperto da poco. In passato ho seguito la mia passione di DJ ed ora, anche per mancanza di un budget consistente, vorrei riutilizzare il mio giradischi Reloop RP2000M per l’ascolto casalingo. Attualmente gira con una testina Ortofon Concorde PRO S utile per l’attività di mixaggio ma considerando il suo tracking (4,0g), volevo passare ad una testina con tracking non troppo superiore ai 2,0g. Sempre per una questione di budget volevo sostituirla con un’AudioTechnica AT-VM95E. Può essere una testina che funziona bene con il mio giradischi? Ho questo enorme dubbio data la bassa qualità dell’oggetto. Grazie mille anticipatamente.
    Davide

    1. Ciao Davide, grazie per l’apprezzamento. Dato che riguarda un quesito, per il tuo commento sarebbe stato più opportuno utilizzare il modulo dei contatti o quello per le richieste. Rispondo qui in ogni caso, utilizzerò poi la tua domanda in forma tale da renderla utile anche per altri appassionati che abbiano dubbi simili ai tuoi.
      Rileverei innanzitutto il tuo punto di vista riguardo al giradischi Reloop, che invece viene decantato fin dal titolo su siti dedicati a questa tipologia di apparecchiature, quale ulteriore dimostrazione delle loro vere finalità.
      In ogni caso, quel che rende abbinabile una testina a un giradischi, o meglio al braccio, non è la qualità rispettiva ma le caratteristiche di cedevolezza della testina e della massa del braccio.
      Purtroppo non sono riuscito a trovare in rete quest’ultimo valore. Se ne sei a conoscenza fammelo sapere.
      Trattandosi di un giradischi per DJ si può immaginare che il braccio abbia una massa medioalta, dovendo funzionare con testine dalla robustezza necessaria alle condizioni tipiche dell’impiego in discoteca.
      Se così fosse, l’abbinamento con la testina da te individuata non sarebbe tra i migliori. Le Audiotechnica MM sono in genere a cedevolezza medio alta e con l’abbinamento al braccio del tuo giradischi ci sono buone probabilità che il picco di risposta a bassa frequenza determinato dall’interfacciamento meccanico di braccio e testina causi un picco di risposta pronunciato e posizionato troppo vicino alla gamma udibile.
      Questo comporterebbe che alzando alquanto il volume e tracciando i solchi muti, vedresti i woofer oscillare fortemente a vuoto, ossia senza emettere segnale udibile o quasi.
      Si tratta di un fenomeno tipico delle sorgenti analogiche, che nelle condizioni qui ipotizzate si troverebbe a essere esaltato in buona misura.
      Oltretutto la testina da te menzionata, per quanto caratterizzata da un buon rapporto qualità prezzo, ha una sonorità alquanto squillante che con ogni probabilità verrebbe ulteriormente sottolineata dalle condizioni in cui si troverebbe a operare. Questo la rende non molto consigliabile per le prerogative tipiche degl’impianti economici, a meno che non siano caratterizzati da una timbrica piuttosto chiusa.
      Prima di spendere soldi allora, andando incontro a una potenziale delusione, è il caso di vedere se la tua testina riesce a tracciare intorno ai 2 grammi, cosa che ritengo possibile.
      Per verificarlo ti basterà reimpostare il peso di lettura e poi riprodurre qualche disco. Se la sonorità resterà pulita e priva del gracchiare tipico della testina che legge sottopeso (mistracking), soprattutto sui passaggi di livello maggiore, ritengo che possa continuare a usarla senza problemi.
      Se invece quel difetto si verificasse solo su alcuni passaggi, puoi provare ad aumentare il peso di lettura fino a 2,2-2,3 grammi. Fai queste prove ed eventualmente riscrivimi.

  14. buongiorno, mi trovo combattuto su un discorso credo poco evidenziato, cioè sul peso di lettura, molti dicono che un peso inferiore non danneggi i vinili ma che uno superiore li danneggi, ad esempio una puntina shure n44-c montata su una testina shure m44g, che ha come peso di tracking 3 – 5 quali danni potrebbe causare ai vinili se anche messa a 3 grammi? grazie per la risposta e complimenti per l’articolo

    1. Ciao Salvo, grazie dell’attenzione e dell’apprezzamento.
      Quello che sembra il problema di un semplice numerino ha in realtà origini e conseguenze alquanto complesse.
      Come ho scritto, il passaggio alla stereofonia ha comportato l’aggiunta della modulazione verticale dell’incisione a quella esclusivamente orizzontale dei dischi monofonici. Questo ovviamente ha comportato la necessità di equipaggi mobili della testina in grado di seguire movimenti oltremodo più complessi, che quindi necessitavano di ben altra raffinatezza a livello costruttivo e meccanico. Tra le caratteristiche necessarie, quella di una cedevolezza maggiore, tale appunto da mettere lo stilo nelle condizioni di seguire un solco dall’andamento più tormentato, che come tale necessita di un peso di lettura e di un braccio di massa minori. Per conseguenza la stessa necessità di un peso di lettura troppo elevato pone in evidenza l’inadeguatezza della testina all’impiego con le registrazioni moderne.
      Durante la lettura inoltre si creano pressioni dello stilo sulle pareti del solco dell’ordine delle centinaia di chilogrmammi per cm quadro, causate da uno stilo in diamante, quindi estremamente duro, nei confronti di un materiale cedevole come il vinile, che oltretutto deve sopportare temperature dell’ordine delle centinaia di gradi, appunto causate dal processo di lettura. Va da sé che più aumenta il peso di lettura e più aumentano la pressione sul solco e la temperatura, parametri che intuitivamente è bene tenere i più bassi possibile per la salute stessa del vinile. Inoltre, vale sempre l’esempio del chiodo sulla tavola di legno grezzo. Se lo si trascina praticando il minimo della pressione, si sentono sotto le dita tutte le irregolarità della sua superficie, assimilabili all’incisione presente nel solco. Se invece si preme maggiormente, non solo le irregolarità non sentono più, ma si lascia anche una bella traccia sul legno, causata dalla forza con cui il chiodo è stato spinto sulla sua superficie.
      Quindi testine che richiedano oltre i 2 grammi di peso non andrebbero proprio prese in considerazione, se non per utilizzi particolari.
      Un peso di lettura troppo basso, per contro, può causare problemi di tracciamento, soprattutto nei passaggi in cui l’incisione nel solco ha un andamento più tormentato e la sua velocità aumenta, dando luogo alla tipica sonorità gracchiante. A lungo andare anche questo potrebbe causare un danneggiamento del disco, sia pure limitato ai passaggi in questione.
      Nell’articolo che sto per mettere in linea verranno presi in considerazione gli aspetti pratici inerenti il peso di lettura, con particolare riferimento alle conseguenze della sua scelta in termini di sonorità.
      Quindi il consiglio che posso darti è di cambiare testina, utilizzandone una che legga correttamente a 1,5 grammi massimo 2, valori tipici di ogni esemplare moderno che sia in grado di eseguire correttamente il proprio lavoro. Tieni presente che la scelta della testina va effettuata in funzione della massa del braccio. A grandi linee, Una testina di cedevolezza medioalta va abbinata a braccidi massa mediobassa e viceversa. Questo per le note questioni di interfacciamento meccanico, allo scopo di contenere al meglio i picchi di risposta cui esse danno luogo a frequenze infrasoniche, da cui il tipico correre dei woofer a vuoto.

      1. grazie, molto esaustivo, adesso mi è molto più chiaro il discorso, grazie per la professionalità e la gentilezza nel rispondere subito

        1. Grazie a te, Salvo. Mi fa piacere di essere stato in grado di chiarirti un minimo la questione. In genere cerco di fareil possibile per rispondere con la tempestività necessaria. Tieni presente che oltre al sistema di commennto, i lettori che necessitano di chiarimenti hanno a disposizione anche il modulo di contatto cui si accede cliccando il link “Chiedi a Claudio” presente sulla barra laterale.
          A presto

  15. Salve per prima cosa complimenti per l’articolo e per la quantità di informazioni utili che ci da con questo.
    Volevo chiederle una cosa: ho da poco aggiornato la testina sul mio rega p2 con una audio technica vm540ml, dotata di uno stilo microline non ho apportato modifiche al VTA dato che comunque il risultato mi aggrada parecchio (il mio pensiero è: se una cosa va bene lasciala stare). In realta dovrei inserire uno spessore alla base del braccio per compensare la differenza in altezza con la testina originale, ma non lho fatto. Ora ne ho sentite tante sull’importanza e la non importanza del VTA-SRA ho capito che è difficile mantenere costanti questi parametri per molti fattori: spessore dei dischi,angolo di incisione, deformazioni piccole o grandi dei supporti. Ma la cosa che più mi preoccupa è che c’è chi sostiene che queste tipologie di puntine combinate con una regolazione del VTA non perfetta porta ad una distruzione rapida dei microsolchi dei miei amati vinili. Lei cosa ne pensa di questo che consiglio può darmi? vorrei evitare gli spessori per problemi con il parapolvere e perchè penso che il braccio montato direttamente sul tavolo del giradichi sia da preferire.
    Grazie
    Giuseppe

    1. Ciao Giuseppe, grazie per l’apprezzamento e la considerazione.
      Di catastrofismo in merito alle conseguenze dovute all’impiego di stili dal taglio particolare se ne fa da decenni.
      Nessuno però ha mai esibito prove concrete, attribuibili inoppugnabilmente al loro impiego.
      Purtroppo non mi dici in che misura l’angolo di tracciamento è errato e quanto dovrebbe essere alto lo spessore, sia pure a spanne, da utilizzare per riportare la canna in posizione canonica, ossia parallela al piano del disco o anche un pochino picchiata come indica una determinata scuola di pensiero.
      Se si tratta di qualcosa di poco conto, come immagino dalle tue valutazioni positive sulla qualità del suono così ottenuta, puoi tranquillamente soprassedere.
      Del resto si può ritenere che Rega non abbia dotato i suoi bracci, che godono notoriamente di un’ottima reputazione, di regolazione del VTA proprio per motivi non così dissimili da quelli che tu hai rilevato.
      Probabilmente saprai che Origin Live commercializza da tempo una modifica dedicata proprio ai bracci Rega, destinata a eliminare questa loro limitazione.
      Ritengo pertanto che se il centro di articolazione del braccio si trova solo lievemente più in basso del dovuto, ti puoi aspettare di avere doti di chiarezza e dettaglio in qualche misura minori, oltre a una capacità di estrazione delle informazioni non al massimo dell’efficacia. Per lo stato di salute dei tuoi vinili, invece, puoi stare tranquillo e continuare a goderti la musica immagazzinata tra i loro solchi senza timori di sorta.
      Se ti vuoi togliere la curiosità riguardo agli effetti di un VTA più appropriato, ti basterà recuperare delle rondelle di spessore appropriato, magari ponendo sopra e sotto di esse delle guarnizioni di quelle usate dai riparatori di auto, che eviteranno di rovinare la finitura del giradischi e della flangia del braccio. Esse eserciterebbero anche una blanda azione di smorzamento che potrebbe persino rivelarsi benefica.

      1. Buonasera, grazie per la risposta, il distanziale che dovrei usare per riportare il braccio parallelo dovrebbe essere di circa 2mm (ovviamente dovrò constatare bene questo ma comunque siamo li), non so allo stato attuale come questo modifichi l’angolo di tracciamento (non saprei calcolarlo). Ho intenzione a breve di ricablare la parte finale del braccio (i cavi che vanno al pre) in quell’occasione con il braccio smontato faro qualche prova, intanto mi godo i miei dischi tranquillamente, grazie per il suo tempo
        A presto
        Giuseppe

  16. Ho una semplice ortofon 2m Red il giradischi è ancora un più semplicissimo Sanyo TP725UM, ho comprato un disco Nada Trio La Posa che si sente magistralmente come non ho mai sentito, soprattutto i bassi, come mai con altri dischi queste frequenze non le riesco a tirare fuori? tutto dovuto alla eccelsa registrazione del disco?

    1. Ciao Stefano, grazie per la tua testimonianza.
      L’esperienza dice che i motivi possono essere molteplici.
      La percezione della qualità d’ascolto è ovviamente legata al segnale presente nel supporto fonografico, ma anche alle modalità imprevedibili con cui le sue molteplici caratteristiche si combinano con quelle altrettanto numerose dell’impianto.
      Questo spiega perché apportando modifiche accade piuttosto spesso che i dischi “preferiti” sonicamente cambino rispetto alla situazione precedente.
      Così talvolta si scopre che quelli ritenuti mal registrati suonavano in maniera poco soddisfacente solo perché andavano a sollecitare alcune idiosincrasie dell’impianto. Una volta rimosse, o solo attenuate, grazie a modifiche intervenute nella composizione o anche nelle modalità d’installazione dell’impianto, quei dischi migliorano e non di rado prendono a suonare come gli altri e persino meglio.
      Questo spiega perché è estremamente difficile dare un giudizio attendibile sulle caratteristiche di una registrazione, proprio per la mediazione effettuata dall’impianto, che a volte ne stravolge l’essenza.
      Di sicuro il disco da te segnalato possiede qualità rilevanti, ma ancora più probabile è che il suo contenuto sonoro si sposi in maniera particolarmente proficua con il tuo impianto.
      Se in un futuro ne migliorerai la qualità, ti accorgerai che il numero di registrazioni con cui si comporta bene andrà ad aumentare, come pure la sua adattabilità ai diversi generi musicali.

  17. la foto di una MC201 mi fa iniziare bene la giornata. Grazie, è la mia testina preferita, un pò difficile da accoppiare a causa della sua bassa impedenza. Un bell’articolo.
    Giovanni M.

    1. Ciao Giovanni,
      grazie dell’attenzione e della considerazione.
      Si, la MC 201 è una gran testina. Non è tanto l’impedenza, quanto la tensione di uscita molto bassa a creare le difficoltà maggiori di abbinamento al pre phono, che deve essere di gran classe. D’altronde si tratta di una “vera” MC, ossia con le bobine avvolte su materiale amagnetico: la tensione d’uscita rimane molto bassa, ma il suo suono è affascinante.
      Spero di averti tra i frequentatori affezionati di Il Sito Della Passione Audio.

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