“IL” giradischi – 3 Perno e piatto

Attorno al perno ruota uno tra gli elementi primari per il destino qualitativo del giradischi. Si tratta infatti del componente fondamentale per la precisa rotazione del piatto sul proprio asse e nello stesso tempo per un parametro di importanza fondamentale ma generalmente trascurato: l’invarianza della relazione geometrica tra il perno e l’articolazione del braccio.

Va da sé che la massima precisione si otterrebbe bloccando il perno nella sua posizione, il che però andrebbe a inibire la funzione stessa del giradischi, che è appunto quella di far ruotare il piatto. Allora, come avviene spesso per i dispositivi adibiti alla riproduzione sonora, il funzionamento del sistema si fonda sul compromesso tra due esigenze opposte: quella di mantenere la massima stabilità del piatto sul suo asse e nello stesso tempo ottenere una rotazione il più possibile libera da attriti, che per forza di cose produrrebbero rumore.

Quest’ultimo inoltre, avendo origine in un elemento rigidamente collegato al piatto, ossia alla superficie su cui lavora la testina, a sua volta incaricata di trasformare impulsi meccanici in segnale elettrico, si rivelerebbe distruttivo per la qualità di riproduzione.

Dunque il complessivo formato dal perno, dal suo alloggiamento e dalla biglia reggispinta deve essere realizzato con la massima precisione possibile, ma allo stesso tempo ridurre al minimo qualsiasi forma di attrito: ai fini del contenimento del rumore causato dalla rotazione, ma anche dello sforzo cui è sottoposto il motore.

Altrettanta precisione è necessaria nell’accoppiamento tra il gruppo summenzionato e il telaio del giradischi, proprio ai fini del mantenimento della già menzionata relazione geometrica con l’asse su cui ruota il braccio. Il motivo è semplice: se al giradischi si richiede la capacità di estrarre e discernere segnali rappresentati dalle modulazioni dell’ordine dei micron ricavate sulla superficie vinilica, è evidente che la precisione delle sue parti costitutive deve essere spinta ben oltre le dimensioni minime del segnale che si intende rilevare.

Questo è uno dei motivi per cui alcuni giradischi, soprattutto quelli che impiegano determinate soluzioni per la trazione, al di là di sonorità magari robuste non riescono a dare molto altro, in termini di dettaglio e capacità di estrazione del segnale. Proprio perché concezioni simili, all’epoca in cui sono stati progettati, non erano tenute nella considerazione dovuta.

Un perno di giradischi che ha lavorato molto a lungo: le differenze di lucentezza per la sua cromatura sono sintomo di grave usura nei punti più sollecitati, e quindi di variazioni dimensionali tali da averne compromesso la necessaria precisione, a sua volta fondamentale per le prestazioni soniche della macchina.

L’usura inevitabile alla quale sono stati sottoposti nel corso degli anni fa poi il resto, peggiorando ulteriormente una situazione compromessa già in partenza.

Al fine di conciliare nel modo migliore precisione e libertà di rotazione, un ruolo di importanza considerevole lo ha l’olio che deve assicurare la scorrevolezza tra la superficie del perno e quella della gola in cui ruota. Ancora una volta ci troviamo di fronte a un compromesso: l’olio dovrebbe essere talmente fine da ridurre la resistenza di rotazione al minimo possibile, ma allo stesso tempo abbastanza denso da ovviare alle inevitabili imprecisioni meccaniche dei componenti in gioco, salvaguardandoli dall’usura.

L’esperienza dice però che proprio l’olio è uno tra gli elementi più trascurati dagli utilizzatori. Non è raro infatti imbattersi in macchine del tutto prive di lubrificante, specie quelle con qualche anno di età. Inevitabile chiedersi quanto tempo abbiano lavorato in tali condizioni e quali ricadute ciò abbia avuto sull’elemento più critico per la funzionalità della macchina.

Nell’acquisto di un giradischi usato, allora, proprio tale verifica è quella da fare per prima, in quanto fornitrice di informazioni attendibili e preziose riguardo il suo stato di conservazione e la cura che ne ha avuto l’utilizzatore.

Il perno va osservato con attenzione sulla superficie a contatto del suo alloggiamento: se la cromatura non è uniforme e denota sezioni in cui è più lucida rispetto ad altre, ci troviamo senza dubbio di fronte a un giradischi che ha lavorato molto e probabilmente male. In casi simili le condizioni del perno sono tali da impedire l’ottenimento delle prestazioni originarie per la qualità sonora, proprio perché quanto appena descritto è indice dell’assenza delle necessaria precisione per conformazione e modalità di accoppiamento tra le parti.

Questo problema oltretutto si verifica tra le parti che sono sostituibili con le difficoltà maggiori, non solo in conseguenza delle loro modalità realizzative. Separare un perno dal piatto o dal contropiatto non è un affare semplice e ancora più complesso sarebbe rimontare il tutto nelle modalità dovute, per non parlare delle difficoltà nel reperire ricambi del genere, praticamente insormontabili.

Quanto descritto fin qui è particolarmente comune tra i “residuati bellici” che una particolare tipologia di appassionati si disputa a suon di rilanci da migliaia di euro sui siti specializzati o su quelli dedicati espressamente alle vendite all’asta. Convinta oltretutto di essere in procinto di acquistare le macchine migliori mai realizzate dalla tecnologia dell’analogico, quando invece si tratta soltanto di esemplari che hanno alle spalle una vita di fatiche improbe, ossia di funzionamento 24 ore su 24 prolungato per anni se non per decenni. Spesso poi sono stati trascurati in vista della loro sostituzione, oltretutto nella fase più critica della loro carriera, quando si avvicinavano maggiormente al momento prestabilito di fine vita, in cui l’usura accumulatasi in precedenza non poteva che essere moltiplicata dalla trascuratezza subentrata nei confronti di qualcosa destinato alla rottamazione.

In casi del genere non ci sono restauri che tengano, malgrado siano alquanto proficui dal punto di vista economico, ovviamente per chi li esegue e coi quali si acquisisce anche una certa popolarità. Se il perno è rovinato, non c’è sostituzione di puleggia o impiego di piatti in vetro che possa restituire a macchine del genere una funzionalità minimamente corretta. Il fatto poi che chi ha speso somme simili si ritenga depositario di chissà quali verità evangeliche riguardanti le sorgenti analogiche è solo uno tra i paradossi più emblematici della riproduzione sonora.

Quindi se il recupero di macchine simili è encomiabile sotto l’aspetto storico e filologico, le loro prestazioni sono purtroppo quelle che sono. Se in esse ci si “vede la Madonna”, come raccontò a suo tempo il direttore di una nota rivista, vuol dire soltanto che si soffre di allucinazioni a sfondo mistico. Quindi sarebbe bene pensare per prima cosa a curarsi.

A volte si ritiene che macchine simili debbano la loro qualità al sovradimensionamento delle parti da cui sono costituite e di conseguenza all’errata comprensione del significato di termini come “professionale”.

Sovradimensionamento è a volte sinonimo di robustezza, fine primario per qualsiasi oggetto professionale, anche se non sempre è così. Un perno più pesante di un altro andrà a gravare maggiormente sul reggispinta, che a sua volta dovrà essere calcolato di conseguenza, da cui dimensioni maggiori, anche per l’alloggiamento dell’insieme, che a parità degli altri parametri equivalgono a maggior rumore.

A quel punto pensare di bloccare il tutto con tre vitarelle striminzite, alle estremità di una struttura che sembra fatta apposta per torcere ed è gravata oltretutto da carichi parecchio sostanziosi, oltreché irrealistico dimostra che riguardo al funzionamento concreto di un giradischi si hanno ancora ampi margini di comprensione.

Inoltre robustezza, precisione e raffinatezza sono cose che è molto difficile far andare d’accordo e meno che mai sono sinonimi.

Quindi il trattore è pesante, robusto e riesce a muoversi persino all’interno di terreni smossi e friabili, cosa impossibile per un’automobile. Tuttavia non è il mezzo di trasporto più comodo, rapido e sofisticato che si possa immaginare. anzi è il contrario. Possiamo pensare a simili macchine come a dei pachidermi, poderosi e dotati di una forza enorme, che li rende capaci di svellere alberi secolari con un colpo di proboscide, ma per forza di cose incapaci di avere la capacità di reazioni rapidissime e di cambiamento di direzione come quelle di uno scoiattolo. Si dà il caso appunto che la riproduzione sonora abbia la sua caratteristica dominante proprio nella successione di variazioni repentine che interessano un gran numero di parametri.

Aberrazioni del genere, come quelle causate da certe mode, sono la conseguenza innanzitutto della mancata comprensione dei problemi reali che la riproduzione sonora, prima ancora che analogica, porta con sé. Quindi di una incompetenza sostanziale, che come spesso avviene è abbinata soprattutto in certi ambienti alle dosi maggiori di presunzione, ipocrisia e faccia di bronzo. Tutto questo a sua volta è un altro tra i portati dell’analfabetismo di ritorno prodotto dall’abbandono forzato dell’analogico causato dal dominio di un digitale che si è voluto affermare a tutti i costi, in primo luogo e come sempre per questioni convenienza economica.

Eccoci dunque a ripetere ancora una volta che le leggi del denaro non hanno nulla a che fare con quelle della riproduzione sonora di qualità. Anzi sono antitetiche.

Proprio per i motivi elencati fin qui, nei momenti di sconforto o solo di sincerità maggiore del solito, i possessori di certe macchine arrivano ad ammettere che persino un “cinghietta”, e neppure di quelli migliori, è in grado di dare a certi pachidermi una sonora paga in termini di focalizzazione, precisione e dettaglio. Quando invece la differenza di costi è talmente elevata che non dovrebbe esistere neppure la più lontana ipotesi di paragone sotto un qualunque parametro.

Non è un caso allora che nella verifica sul campo di macchine del genere si riscontri una mediocrità di prestazioni persino sconfortante. Uno tra gli elementi che dovrebbero dar luogo alla loro presunta superiorità, a suo tempo è stato individuato da alcuni nelle dimensioni del perno di quelle macchine. Ma come abbiamo già rilevato, un perno grande porta con sé una superficie di attrito più ampia, la quale non può che generare maggior rumore. Data la sua origine, non potrà che essere rilevato con la maggiore efficacia dal fonorivelatore, con tutto quello che ne consegue per il suo influsso sulla sonorità della macchina.

Un perno più lungo, oltretutto, è per forza di cose più soggetto a torsioni, le quali non possono che andare a detrimento delle doti di precisione necessarie a porre il sistema giradischi nelle condizioni di estrarre quante più informazioni possibile dal supporto.

La tendenza al gigantismo, del resto, è uno tra i mali tipici della riproduzione sonora amatoriale. La pubblicistica di settore ne ha fatto uno tra i suoi cavalli di battaglia per imporre interessi che non hanno nulla a che fare con quelli degli appassionati. Cosa penseremmo se qualcuno cercasse a tutti i costi di convincerci che un violino o una chitarra sono migliori di tutti gli altri solo perché di dimensioni maggiori?

Questo è un altro tra gli aspetti che approfondiremo  a breve.

Un perno più corto e sottile, invece, viene guardato con sufficienza dagli appassionati più legati al gigantismo. Non considerando che un perno più compatto è meno soggetto a torsioni e a produrre rumore e risonanze: in quanto tale può essere molto più proficuo in termini di qualità sonora rispetto a quel che suggerirebbe un esame basato su parametri incongrui.

Certe macchine oltretutto vennero progettate in una fase storica in cui il microsolco, ossia la particolarità tecnica dell’incisione da cui ha avuto luogo il supporto fonografico moderno, era ancora di là da venire. In quell’epoca le concezioni tecniche erano quelle che erano e le macchine cui hanno dato luogo non possono che esserne figlie. Come tali sono caratterizzate sonicamente dalla loro massa ragguardevole, di sicuro benefica per alcuni parametri specifici, quelli proficui per un’emissione poderosa, ma oltremodo carenti per tutto quello che riguarda la capacità di estrazione delle informazioni più minute dal supporto vinilico. Del resto non si può pretendere che un cantilever largo un dito, di massa conseguente e quindi caricato da forze rilevanti affinché possa non dico funzionare ma almeno restare in qualche modo nel solco, possa dar luogo a un equipaggio mobile realmente capace di esplorare l’incisione nelle sue recondità più minute.

Anche di questo parleremo a tempo debito, nella puntata dedicata a bracci e fonorivelatori.

Sempre in merito all’alloggiamento del perno, alcuni tra i giradischi attuali impiegano materiali alternativi al bronzo e in genere a quelli metallici, al fine di ridurre il rumore generato in tale ambito, ferma restando l’affidabilità meccanica del componente. Nell’impiego di materiali più tradizionali, nella attuale realizzazione di tali elementi, si usano lappatrici di precisione in grado di conferire alla lavorazione tolleranze che qualche decennio fa erano impossibili da ottenere. Fondamentale, a questo proposito è anche l’accoppiamento con il telaio, dato che è del tutto inutile realizzare parti di estrema precisione, se poi si lascia al suo destino la modalità del loro fissaggio alla base del giradischi.

 

Il perno rovesciato

Da alcuni anni a questa parte hanno acquisito una certa diffusione i perni rovesciati. I loro vantaggi stanno nella capacità di ridurre il braccio di leva con cui il piatto tende a spostare il perno dalla sua sede e nella migliore distribuzione dei pesi.

Il perno rovesciato del Project RPM 10 è affiancato da magneti per il sostegno del piatto.

Va considerato infatti che il piatto, soprattutto nelle macchine di impegno maggiore, ha un peso ragguardevole, concentrato in genere sulla fascia esterna per massimizzare l’effetto volano. Capovolgendo il perno si ottiene una distribuzione dei pesi decisamente più vantaggiosa. Non solo si elimina il braccio di leva rappresentato dal perno stesso, se di conformazione tradizionale, ma si ottiene anche di porre il baricentro del piatto in una posizione inferiore a quella del suo punto di sostegno, elemento favorevole alla stabilità del sistema nel suo complesso. Per contro, il rumore generato viene a trovarsi in condizioni di essere captato in maniera ancora più agevole dalla testina, proprio perché ha origine all’interno del piatto stesso. Per ovviare al problema si potrebbe ricorrere a una lubrificazione più efficace, ma anch’essa data la conformazione delle parti a contatto viene a essere più difficoltosa. Questo è il motivo per cui in alcuni casi si utilizzano magneti di potenza adeguata atti a coadiuvare perno e reggispinta nel sostegno del piatto.

Il Micro SX-SY 8000.

Nel corso del tempo si è cercato di ovviare ai limiti meccanici intrinseci al perno del giradischi, proprio per l’influsso notevole che ha sulle prestazioni a livello sonico. In una prima fase si è tentato di eliminare per quanto possibile ogni forma di contatto meccanico, affidando il sostegno del piatto a un cuscino di aria compressa. Soluzioni del genere fecero la loro comparsa nella fase finale dell’epoca d’oro dell’analogico. Ossia durante gli anni ottanta, sia pure solo sulle macchine di prestigio maggiore, come ad esempio il Micro SX/SY-8000.

Il sostegno del perno mediante magneti è stato utilizzato anche nell’epoca del ritorno analogico, come nel Klimo Tafelrunde.

La soluzione ad aria è la più complessa, dato che presuppone l’impiego di una pompa atta a generare la pressione sufficiente a sostenere un gruppo di peso ragguardevole. Non solo, deve essere anche silenziosa, cosa non facile da ottenere, in maniera da non disturbare la riproduzione. Si tratta comunque di soluzioni complesse e costose, per forza di cose ristrette, nel loro campo d’impiego, alle macchine di costo maggiore.

Il funzionamento del sistema ad aria del Micro SX 8000.

Estremizzando a tal punto la questione relativa all’eliminazione del contatto fisico, attraverso il quale viaggia effettivamente gran parte del disturbo di origine meccanica, e quindi delle sue possibilità di degrado per la riproduzione, si va a influire inevitabilmente sulla questione relativa alla saldezza delle parti, in particolare del piatto rispetto alla testina. Essendo vincolato meno rigidamente, il piatto ha un grado di libertà maggiore rispetto alle soluzioni tradizionali, soprattutto sul piano orizzontale. In questi casi il maggiore isolamento meccanico potrebbe ripercuotersi in una certa riduzione della dinamica, come si è potuto verificare in alcune macchine che impiegano i sistemi privi di contatto, probabilmente perché l’equipaggio mobile della testina non trova più sotto di sé il contrasto migliore.

 

Il piatto

Il Walker CJ 55.

Al piatto si attribuiscono due funzioni primarie, il supporto del disco e l’effetto volano atto a regolarizzare la velocità di rotazione e ridurre per quanto possibile le fluttuazioni. Un tempo erano realizzati tutti in lega metallica, il che rendeva praticamente obbligatorio l’uso del tappetino di gomma, in genere abbastanza spesso, con lo scopo di abbatterne le risonanze. Tra i primi ad andare alla ricerca di materiali alternativi ci fu Walker, che realizzò il piatto in un composto definito Tufnol, utilizzandolo per il suo CJ 55, detto anche “il Linn dei poveri”. E poi anche per le macchine che lo seguirono, il CJ 58 e il CJ 61. Per questo motivo i Walker furono tra i primissimi a fare a meno del tappetino.

Non ce n’era bisogno, proprio perché le caratteristiche di risonanza, o meglio di smorzamento, del materiale con cui era realizzato il piatto lo rendevano inutile, se non addirittura dannoso.

Per sfruttare al massimo l’effetto volano realizzato dal piatto si cerca di concentrarne la massa in corrispondenza del margine esterno. Esempio tipico è quello del Michell Gyrodeck, contraddistinto dagli elementi cilindrici dislocati lungo la sua circonferenza. Si è trattato in effetti di una tra le primissime macchine di progetto non convenzionale, che se oggi gli permette di reggere ancora l’assalto della concorrenza, all’epoca del suo esordio era decisamente innovativo. Non lo era per caso, derivando direttamente dal Transcriptors, da cui riprendeva diverse intuizioni di fondo. Per questo motivo a volte il Gyrodeck viene erroneamente definito come “il giradischi di Arancia Meccanica”. In realtà nel film di Stanley Kubrick venne utilizzato il Transcriptors: faceva parte dell’impianto audio regalato al protagonista come indennizzo per la tortura e il vero e proprio lavaggio del cervello cui venne sottoposto, da parte di qualcuno convinto di essere un grande democratico, al fine di estirparne le inclinazioni violente, che lo ridusse a un soggetto privo di alcuna difesa, raziocinio e libertà di decisione.

Il Transcriptors Hydraulic Reference, predecessore del Michell Gyrodeck.

Una prefigurazione insomma, sia pure allegorica, delle tecniche attuali di condizionamento di massa. Con la differenza che ora sono eseguite con metodi ben più subdoli, efficaci e pervasivi. Per questo è raccomandabile la lettura del romanzo di Anthony Burgess da cui venne tratto il film, intitolato in origine “Un’Arancia A Orologeria“. Andrebbe inserito a pieno titolo tra le opere più profetiche del filone che si usa definire distopico, ma che invece rappresentano la raffigurazione migliore della realtà di oggi, fianco a fianco con “1984” Di Orwell, “Il Mondo Nuovo” di Huxley e “Noi” di Zamjatin.

Nell’opera di Huxley, oltretutto, è descritta con grande chiarezza la funzione concreta dei fattori degenerativi prodotti mediante l’inoculazione di sostanze dannose o veri e propri veleni all’interno di organismi in via di formazione e le loro conseguenze per la crescita e lo sviluppo armonico dell’individuo: quello che avviene oggi mediante l’impiego di preparati resi obbligatori, malgrado o forse proprio per via del loro contenuto spinto a livelli inverosimili di metalli pesanti. Che però sono curiosamente assenti negli equivalenti per impiego veterinario,

Essendo l’elemento del giradischi che si trova direttamente a contatto della testina, sia pure con l’interposizione del tappetino, quando c’è, e del disco stesso, il piatto caratterizza fortemente la sonorità di qualsiasi sorgente analogica. Proprio perché produce risonanze, ossia stimoli meccanici che sono rilevati dalla testina e convertiti in segnale elettrico. Tali risonanze non sono prodotte soltanto da disturbi esterni, come le onde sonore emesse dagli altoparlanti, ma anche da quelli interni, provenienti dal motore e dal picchiettare senza posa dell’equipaggio mobile sulla superficie del disco. Ecco perché quelli che equipaggiano le testine a bassa cedevolezza rappresentano un ulteriore controsenso, oltre alla loro difficoltà fisiologica a seguire l’andamento della modulazione presente nel solco, da cui movimenti spuri che vanno ad aumentare ulteriormente tale fenomeno, e alla loro risonanza superiore posizionata ben all’interno dello spettro audio che aggiunge problema a problema.

La maggiore entità dei fenomeni meccanici prodotti da tali fonorivelatori, che approfondiremo meglio nella puntata ad essi dedicata, vanno a rendere ancora più critiche le caratteristiche acustiche del piatto.

L’ideale sarebbe di fare in modo che invece di riflettere i disturbi meccanici da cui è gravato verso il fonorivelatore, che come abbiamo visto ne è in buona parte causa, il piatto li assorbisse, per poi dissiparli in calore. Qui subentra un ulteriore elemento, ancora una volta largamente trascurato, più che mai dalla pubblicistica di settore, quello dell’impedenza meccanica.

Un’impedenza meccanica elevata è caratteristica dei materiali più duri, che quindi tendono come abbiamo detto ad essere refrattari all’assorbimento dei disturbi meccanici, riflettendoli una volta caricati delle risonanze aggiunte dal piatto stesso verso il dispositivo che li origina, appunto il fonorivelatore. Che a quel punto non potrà far altro che compiere il suo lavoro, ossia trasformare impulsi meccanici in elettrici, che verranno poi amplificati ed emessi in ambiente, con quali sorti per la qualità sonora non è difficile da immaginare. Viceversa, un piatto caratterizzato da una bassa impedenza meccanica tenderà ad assorbire i disturbi prodotti dal picchiettare dell’equipaggio mobile sul piatto, evitando che vengano ricaptati dal fonorivelatore.

La differenza la si può comprendere senza difficoltà: picchiando anche in maniera alquanto delicata con una barra metallica su un piatto di elevata impedenza meccanica, esso produrrà il caratteristico suono simile a quello di una campana. Ripetendo la stessa operazione su un piatto a bassa impedenza meccanica, se ne ricaverà un suono molto meno intenso, anche aumentando notevolmente la forza con cui lo si percuote.

Ecco perché si usa in pratica da sempre sovrapporre a un piatto metallico, quindi a elevata impedenza meccanica, un elemento gommoso come il tappetino, la cui bassa impedenza meccanica contribuisce a smorzare disturbi meccanici e risonanze in genere. Di conseguenza cambiando tappetino la sonorità del giradischi si modifica in maniera tanto evidente. Proprio tale sostituzione è tra le modifiche più semplici ed economiche da fare se si vuole intervenire sulla sonorità del giradischi.

Dalle leghe metalliche utilizzate praticamente in esclusiva per la realizzazione del piatto, nel corso del tempo, i materiali sono andati differenziandosi. Il già menzionato Tufnol dei Walker, il vetro dei Rega, sostituito a volte da impasti legnosi, e così via. Negli ultimi anni ha acquisito una diffusione piuttosto ampia l’impiego di materiali sintetici, come il metacrilato e il policarbonato. Questo in base alla considerazione che si tratta dei materiali dalle caratteristiche di risonanza più simili a quelle del vinile con cui sono fatti i dischi. A rigore di logica, però, non avrebbe molto senso andare a rafforzare una qualsivoglia risonanza presente nel sistema di riproduzione. Meglio invece differenziarle, distribuendole su uno spettro più ampio, così da ridurne anche il livello. Si tratta di un adagio che da sempre è valido nella riproduzione sonora, in particolare per le sorgenti analogiche, anche per la taratura del sistema di sospensione, e per gli altoparlanti, ma più in genere per qualsiasi elemento sia destinato a far parte di una catena di riproduzione audio.

Del resto le ricette che a suo tempo ebbero modo di dimostrare la loro validità sembrano essere dimenticate, in particolare nella riproduzione analogica, per i motivi che non starò a ripetere ancora una volta. Resta il fatto che personalmente non gradisco i giradischi tutto plexiglas oggi tanto di moda. Saranno magari belli da vedere, anche se ritengo che alla lunga divengano stucchevoli, ma è soprattutto per la loro sonorità che non mi convincono. Quelli che utilizzano tale materiale solo per il piatto sono alquanto meno estremizzati sulle sue proprietà acustiche, che trovano comunque modo di rendersi percepibili.

 

Pressori fonografici e affini

Il Luxman PD 300, dotato di pompa manuale per l’aspirazione del disco.

Chiudiamo in bellezza questa puntata con uno tra i componenti, o gli accessori, il cui impiego causa tuttora diverse polemiche, tra le numerose possibili nell’ambito delle sorgenti analogiche. Del resto fra tipi di trazione, telai rigidi o sospesi, bracci imperniati o tangenziali, testine MM, MC e a massa più o meno elevata, tagli dello stilo, pre phono attivi e a trasformatori, se si vuole c’è da stare a discutere per tutta la vita.

Diverse volte ho sentito appassionati rifiutare energicamente l’uso del pressore, il famigerato clamp, dato che per i loro gusti influisce negativamente sul suono. Di sicuro tra il suo impiego o meno, se si ha un buon giradischi e un impianto che lo segue degnamente, le differenze ci sono.

In particolare, se non lo si utilizza la sonorità tende a essere evanescente e più nell’aria, caratteristica che effettivamente trova il favore di diversi appassionati. Viceversa, con il clamp tende ad acquisire solidità, rientrando maggiormente all’interno dei diffusori, con maggiore compattezza, stabilità dell’immagine stereofonica, dinamica e precisione per attacchi e rilasci.

Proprio quella dinamica che poi si vorrebbe recuperare medinate l’impiego di sistemi di trazione alternativi alla cinghia, notoriamente gravati da problemi ancora maggiori.

Al di là dei gusti di ciascuno e della coerenza in determinate scelte, credo che al riguardo la domanda da farsi sia la seguente: a cosa mi serve un giradischi dalle caratteristiche di precisione di velocità e di assenza di fluttuazioni, se poi lascio il disco libero di fare quello che gli pare?

Nel momento stesso in cui si desidera che queste caratteristiche non restino sulla carta e si fermino al piatto, ma si estendano anche alla concretezza della riproduzione, è necessario adoperarsi affinché il disco faccia per quanto possibile corpo unico con il piatto. Si può poi discutere sulle prerogative soniche che il materiale con cui è realizzato il pressore può aggiungere a quelle del giradischi, e a questo proposito c’è da scegliere in una vasta gamma di possibilità diverse, ciascuna con le sue caratteristiche ben precise.

Un altro elemento che mi sembra trascurato riguarda il disaccoppiamento e lo smorzamento del clamp. Cimentandosi allo scopo. sia pure con dispositivi diciamo così artigianali, o meglio suggeriti dalla fantasia di un utilizzatore non del tutto passivo, ossia che si limiti all’utilizzo pedissequo ed esclusivo di quanto fornito dal costruttore della sorgente, ci si accorge che la gamma di possibilità diverse va ad ampliarsi ulteriormente, in genere in maniera positiva.

Di sicuro per un giradischi a telaio sospeso non si sceglierà un clamp troppo pesante, questo è il motivo per cui alcune macchine degli anni ’80 prevedevano clamp a vite, che a dispetto della loro leggerezza potevano produrre pressioni di entità variabile, fino a quelle più consistenti.

In ogni caso non starò qui a elencare i materiali diversi e le forme con cui sono realizzati i pressori oggi disponibili sul mercato: mi interessa maggiormente rilevare che quando l’analogico era nel momento del suo massimo fulgore, diverse macchine adottavano sistemi ancora più sostanziali per l’adesione del disco al piatto, come le pompe di aspirazione.

Le più tipiche e forse meglio ricordate sono quelle dei giradischi Luxman, che condividevano tale scelta con i modelli superiori realizzati da Micro, che non a caso si incaricava anche della produzione dei Luxman. Erano a funzionamento meccanico o elettrico ed avevano la loro efficacia, oltre a un influsso sulle doti sonore del giradischi di cui vennero riconosciuti i benefici. Tanto è vero che Audio Technica ne realizzò una da utilizzare con macchine che ne erano sprovviste all’origine. Fu seguita poco dopo persino da un marchio tradizionalista come Thorens, che ne realizzò la sua versione.

Ancora oggi è possibile reperire accessori simili sul mercato dell’usato, volendo provare i risultati che derivano dalla tecnica di aspirazione del disco.

Più o meno contemporaneamente Oracle realizzò il Groove Isolator, uno speciale tappetino per i suoi giradischi, ma venduto anche da solo, che in abbinamento all’impiego di un pressore efficace appiccicava letteralmente il disco al piatto. A fronte di una complessità funzionale lodevolmente minore, tendeva per forza di cose ad attirare polvere e sporco se lasciato scoperto, ma lo si poteva pulire facilmente con acqua e al limite del sapone neutro. Il materiale gommoso con cui era realizzato, oltretutto di spessore elevato, influiva in maniera alquanto sensibile sulla sonorità del giradischi, anche se con un’attenta messa a punto era possibile minimizzarne gli effetti meno graditi, conservando un accoppiamento particolarmente efficace. Il suo peso contribuiva poi ad accrescere in modo sensibile la massa del piatto.

Chiudiamo con un accessorio ugualmente interessante, un anello periferico, che permette di completare l’azione premente del clamp. Viene definito universale, anche se in realtà il suo impiego è possibile solo a partire da condizioni ben precise riguardanti le dimensioni del piatto e l’altezza del corpo testina dalla superficie del disco.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

6 thoughts on ““IL” giradischi – 3 Perno e piatto

  1. Io ho usato molto spesso l’Olio Singer per macchine per cucire e devo dire di essermi sempre trovato bene

    1. Esatto, anch’io l’ho consigliato tante volte, in mancanza di quello fornito dal costruttore del giradischi.

  2. Come al solito molto illuminnti i tuoi articoli e coraggiosi nel mettere in ridicolo le “mode ” audiofile o i luoghi comuni acquisiti come verità assolute . Ho sempre sconsigliato l’acquisto delle cinematiche usate e in particolare dei vecchi giradischi proprio per l’ineludibile problema del consumo del perno e delle bronzine della sede del perno come pure la scarsa attenzione all’uso del lubrificante idoneo e della manutenzione periodica quasi sempre disattesa anche da possessori pignoli . E come parlare nel vuoto ed è il modo più facile per farsi nemici sia in chi vende che in chi compra in quanto chi vende ti percpisce come un rompicoglioni e chi compra vorrebbe credere ancora alle favole reiterate sui vari siti del settore . Ad un certo punto h deciso di stare zitto ed evitare contenzioni inutili e improduttivi , questa gente deve vivere nel suo brodo e sbattere la testa contro al muro di cemento delle proposte illusorie del mercato .

    1. Ti ringrazio, Saverio, per l’attenzione e la considerazione. Diciamo che se è stato utilizzato in maniera coscienziosa, un giradischi usato in ambito amatoriale con più di qualche anno sulle spalle può fare il suo dovere senza problemi e ancora a lungo. Più importante è il secondo problema che sollevi: la cortina di silenzio e di ipocrisia che si vorrebbe imporre, anche mediante una forma di violenza alquanto esplicita, sugli argomenti che si ritengono scomodi. Proprio in quanto vanno a toccare interessi più o meno consolidati e sempre a sfondo economico. Allo stesso tempo sono convinto sia necessario che chi lo desidera possa reperire le informazioni di cui necessita, altrimenti si finisce nel pensiero unico e nella dittatura sostanziale che per il suo tramite si vorrebbe instaurare. Per questo ritengo di grande importanza il ruolo delle fonti non allineate, funzione che ho voluto attribuire a Il Sito Della Passione Audio. Forse è l’unico nel nostro settore, e non solo a livello italiano, ad avere una funzione del tutto diversa dalle mere vetrine per apparecchiature che monopolizzano il settore. Nello stesso tempo con il mio sito ho voluto dimostrare che è possibile fare qualcosa di diverso da esse, così da permettere anche, almeno per chi voglia, di inquadrarle nella prospettiva loro più congeniale.

  3. Buonasera Claudio,
    Come sempre articolo molto interessante sia tecnicamente che per i riferimenti socio economico culturali che “farciscono” i contenuti rendendoli ancor più gradevoli….ho controllato di nuovo il perno del gira che ho preso la settimana scorsa e per fortuna è perfetto..!poi sono uno sperimentatore e ho provato ad aggiungere qualche goccia del mitico olio per auto Mobil 1 tutto sintetico 0- 40 sae. .rischiando forse grosso non essendo un olio per giradischi..il risultato è stato musicalmente favoloso

    1. Ciao Filippo e grazie del commento.
      In effetti le variazioni di lucentezza della cromatura si verificano su macchine che hanno lavorato parecchio e quindi non sono particolarmente diffuse. E’ comunque buona norma eseguire una verifica accurata in tal senso, quando si acquista un giradischi usato.
      Sperimentare oli diversi permette di variare la sonorità della macchina, magari non in proporzioni confrontabili a quelle di altri interventi, ma comunque in maniera percettibile. L’olio per motori potrebbe non essere però il più indicato, dato che è realizzato per sopportare condizioni del tutto diverse da quelle di un giradischi. Di solito è troppo denso e a lungo andare potrebbe formare morchie gommose difficilmente eliminabili. Desiderando continuare a usarlo, è opportuno verificare spesso che non vi siano depositi e sostituirlo di tanto in tanto con olio fresco.
      Se non si dispone di quello fornito in origine dal costruttore, e non si vuole ricorrere ai prodotti di marchi specializzati, di solito piuttosto costosi, un’alternativa valida è data dall’olio per macchine da cucire, come quello commercializzato dalla Singer.
      Essendo piuttosto fluido riduce la resistenza alla rotazione del perno, mantenendo comunque una lubrificazione adeguata.

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