Estetica e suono

Accade spesso che siano i frequentatori del sito o gli appassionati in generale a suggerire argomenti degni di nota, se non addirittura i più interessanti.

L’ultima volta è successo l’altra notte. Proprio al momento di andare a dormire, vedo l’avviso di un nuovo messaggio inviato attraverso uno dei moduli contatti. Veniva dall’amico Antonio, tra i più assidui frequentatori e interlocutori su Il Sito Della Passione Audio. Come al solito ha sollevato una questione parecchio rilevante, che ha ripercussioni su numerosi aspetti che riguardano la riproduzione audio.

Doveroso dargli innanzitutto una risposta, che come al solito si può trovare sia nella pagina ad esse dedicata, accessibile dal menu principale, sia sotto il menu Ultime Risposte, posizionato sulla barra laterale, del quale rappresenta la prima voce. Tuttavia, proprio per il significato del tema che andava a toccare, e per il suo interesse generale, ho ritenuto il caso di dedicare alla questione un post vero e proprio. In esso la risposta che ho dato ad Antonio viene ampliata e va ad affrontare questioni interessanti, proprio in merito a uno degli esempi da lui portati.

La domanda riguarda l’estetica delle apparecchiature e il suo eventuale influsso sulle loro doti sonore e caratteristiche funzionali. Sono cose già affrontate in questo spazio, ma mai come in questo caso repetita juvant.

Vediamo innanzitutto la domanda inviata da Antonio e poi la mia risposta.

Buonasera Claudio, e complimenti di nuovo per il tuo sito, colmo di informazioni interessanti.
Volevo chiederti un parere su ciò che a me sembra un valore non trascurabile (spero di non scatenare un putiferio), di ogniddove artifizio musicale: l’estetica.
E vero che curare l’estetica di un oggetto che ‘suoni’, oltre a renderlo più appariscente e piacevole allo sguardo, non è detto che potrebbe farlo lavorare meglio, o renderlo più efficiente, o non è così?
Esistono mirabili esempi che lasciano pensare al contrario, come ad esempio i diffusori Nautilus di Bowers & Wilkins, considerati quasi eticamente più oggetti da museo che suono…
E’ possibile che quanto sopra valga solo per oggetti come diffusori, mi potresti dire, ma non credi che oggetti tipo la Nakamichi 1000ZXL Limited, oppure il Sansui AU 20000 (ne cito solo due, d’annata), non siano dei capolavori di tecnica ed estetica?
Grazie per la risposta!

Da qui in poi la mia risposta.

Ciao Antonio e bentornato su questo spazio.

Innanzitutto non sei tu a dover ringraziare per la risposta, ma io per una domanda di calibro simile.

Interlocutori come te sono un valore aggiunto per qualsiasi contesto. Il fatto che Il Sito Della Passione Audio abbia frequentatori assidui del tuo livello,  e che oltretutto danno tale contributo, è motivo di orgoglio e credo sia una testimonianza della sua qualità e della differenza sostanziale che intercorre nei confronti di tutto il resto oggi esistente nell’ambito della riproduzione sonora.

Sviscerare a fondo l’argomento che proponi richiederebbe un tomo da centinaia e centinaia di pagine per le implicazioni che comporta. Per forza di cose qui ci limitiamo a sfiorare gli elementi più superficiali della questione.

Diciamo innanzitutto che in pratica da sempre il design delle apparecchiature audio ha rappresentato un elemento di richiamo fondamentale. Anche in un periodo in cui la sua funzione era marginale e molto più utilitaristica.

Per fare un esempio, un preamplificatore come il Galactron Mk 16 è stato il sogno ad occhi aperti per tanti appassionati della mia età, quando erano alle prime armi. Per molti addirittura, di fronte a un’estetica simile il suono, non eccezionale a dire il vero, passava in secondo piano o addirittura diventava una variabile di poca o nulla importanza. Lo stesso vale per gli oggetti che hai menzionato, al di là delle loro prerogative intrinseche, e per molti altri, veri e propri esempi di design industriale ai massimi livelli.

Il preamplificatore Galactron Mk16
Il preamplificatore Galactron Mk16

Tra i quesiti che mi sottoponi c’è quello riguardante la capacità dell’estetica nel far lavorare meglio le apparecchiature. Direi di si, in particolare i registratori di cassa di chi vende quelle più studiate nelle loro doti visive non solo lavorano meglio, ma lo fanno a tutto regime. Quando però si entra nel merito del modo in cui suonano gli oggetti esteticamente più curati, è un altro paio di maniche.

Soprattutto da quando si è passati dall’estetica alla cosmetica, della quale origini, finalità e conseguenze sono state descritte in “Quello che si vede è di camicia…” e in “La percezione della qualità“. Ormai sembra aver preso il sopravvento su qualsiasi altra cosa, come se le apparecchiature audio avessero quale scopo primario il compiacere l’occhio.

A questo riguardo sono reduce dalla visita in casa di un appassionato, che possiede una coppia di diffusori di un marchio nazionale, particolarmente noto per la cura che ripone nell’estetica dei suoi prodotti. In effetti sono piuttosto belli da vedere, ma soprattutto eleganti, con la loro linea slanciata, e le soluzioni che adottano tutte molto raffinate, anche se su qualcuna ci sarebbe da discutere già a tale riguardo. Però sono talmente esasperati nella loro resa sonora da renderne l’impiego una sorta di tortura. A meno che non ci si limiti a volumi molto bassi. Tanto è vero che uscito da quell’ascolto, protrattosi forse per un’ora o poco più, con le orecchie doloranti. Ancora il giorno dopo provavo dei fastidi.

Se trenta o quaranta anni fa ascoltare con i controlli di tono spinti al massimo dell’esaltazione poteva avere un senso, oggi è del tutto fuori luogo. Soprattutto quando le elettroniche dell’impianto sono di gran classe e un effetto simile viene prodotto dai diffusori.

Personalmente non ho mai apprezzato i diffusori di quel costruttore. Alla luce di quest’ultima esperienza riesco ancor meno a capire come facciano a trovare il gran numero di estimatori che hanno.

Fermo restando che ognuno è libero di pensarla come vuole, al riguardo e su tutto il resto, non smetterò mai di essere un convinto detrattore del predominio oggi attribuito alle doti visive delle apparecchiature nei confronti di quelle sonore. Nonché di tutti gli elementi strumentali, WAF e simili, utilizzati nel corso del tempo per giustificare quella che non può essere identificata altrimenti da una degenerazione.

Poiché ogni centesimo speso per l’estetica viene per forza di cose sottratto agli elementi che vanno a influire sulla qualità sonora di una qualsiasi apparecchiatura, il punto di vista di un tradizionalista a questo riguardo come me, non può che osservare con sospetto qualunque cosa vada oltre lo stretto indispensabile. Oggi però, non solo in questo settore, l’efficacia di un qualsiasi oggetto nei confronti della sua destinazione primaria è qualcosa relegato tra le varie e eventuali.  Anche e soprattutto in virtù del cortese interessamento dei geni del marketing. Per questo comprendo appieno che la mia posizione è drammaticamente sorpassata.

Il Sansui AU 20000
Il Sansui AU 20000

Motivo di più per esserne orgoglioso, da testardo e convinto delle mie idee quale sono, e soprattutto perché mi piace la qualità del suono ai massimi livelli, ossia spinta all’illusione di essere realmente di fronte a strumenti ed esecutori. Quando ho ottenuto questo, il resto passa in secondo piano.

Non a caso le apparecchiature che ho costruito e le altre inserite nel mio impianto, diffusori e meccanica digitale, che un affinamento dopo l’altro ho portato a livelli che secondo il giudizio dei rari visitatori fin qui avventuratisi nella mia saletta sono “sconvolgenti”, hanno un’estetica che definire spartana è già un grosso complimento. Quella dei diffusori, invece, sebbene fosse piuttosto accattivante in origine, per quanto coi criteri odierni sarebbe valutata come del tutto insufficiente, è stata da me stravolta sempre più, un passo dopo l’altro, proprio in funzione dei risultati di cui sono andato alla ricerca.

Questo rispecchia il mio approccio alla riproduzione audio, in cui il suono portato alle sue estreme conseguenze ha il 99% dell’importanza e il resto se lo dividono gli altri aspetti della questione.

Sono un estremista? Forse. Del resto ho sempre detestato il cerchiobottismo e tutto il resto dei pretesti messi a paravento dell’ipocrisia.

Se per sorgenti ed elettroniche l’estetica ha influsso sul loro suono, dato che il telaio contribuisce sensibilmente al riguardo, quello dei diffusori ne viene influenzato molto di più. Proprio la necessità non solo di compiacere ma di lusingare il senso estetico del pubblico credo sia uno tra i numerosi motivi alla base della voluta limitazione delle loro prestazioni, e per forza di cose di quelle degli impianti di cui fanno parte.

D’altronde immaginare un diffusore di alto livello, come quello mediante il quale si vorrebbe pervenire a determinati risultati, che non abbia un aspetto rutilante nelle sue superfici lucidate a specchio, oggi sembrerebbe un’eresia. Eppure proprio li risiede buona parte delle contraddizioni che non solo gli impediscono di fare il suo lavoro nel modo in cui potrebbe, ma alla lunga sono state parte rilevante nel processo che ha portato il vintage a essere mai così in voga come al momento attuale.

Il Nakamichi 1000 ZXL
Il Nakamichi 1000 ZXL

Dunque l’estetica non solo può essere dannosa, perché sottrae risorse al nocciolo duro dell’apparecchiatura audio, ma a certi livelli va a rappresentare un limite concreto per le doti sonore, in particolare per i diffusori.

Quanto ai notissimi sistemi di altoparlanti cui fai riferimento, sono divenuti all’istante un’icona del loro genere. Se da un lato hanno portato alle estreme conseguenze il tema tecnico affrontato dal loro costruttore, dall’altro sono un’interpretazione molto astuta proprio sotto il profilo visivo, in cui l’esasperazione di alcuni stilemi sembra volta più che altro al richiamo di determinate suggestioni.

Non a caso quel diffusore è stato sfruttato alla morte, prima di tutto a fini di comunicazione, commerciale e pubblicitaria. Allora un’aerodinamica meglio indicata forse per altri frutti della tecnica moderna, ha se non il fine quantomeno la capacità di stampare a fuoco nelle menti del maggior numero di appassionati il logo del costruttore di oggetti che si ispirano ad essa in modo tanto evidente.

Se sotto questo profilo si tratta di un’operazione indubbiamente riuscita, le notizie provenienti da diverse fonti sembrerebbero invece dare rilievi di tenore alquanto diverso per quel che riguarda la sonorità.

Personalmente non ho mai avuto modo di ascoltare quei diffusori, temo però che le loro caratteristiche fisiche non siano del tutto confacenti all’ottenimento di determinati risultati. Potrebbero esserlo forse in un’accezione strettamente limitata al diffusore, ma non nel contesto riguardante la sua interazione con l’ambiente.

Questo almeno è quanto sembrerebbe risultare dalla ricerca che nel mio piccolo, o meglio infinitesimale, soprattutto se paragonato a certe realtà, ho eseguito a partire da soluzioni tecniche se vogliamo primitive nei confronti dei diffusori di cui stiamo parlando, ma che ne rappresentano senz’altro l’origine.

Dal mio punto di vista, l’elemento di maggior controversia sta proprio nel concetto di base da cui derivano diffusori simili, ossia che l’ambiente d’ascolto domestico abbia una funzione equivalente a quello in cui dovrebbe svolgersi idealmente l’evento sonoro originario, teatro, auditorium eccetera. Dunque, la ricerca di una dispersione virtualmente illimitata, mediante le caratteristiche fisiche del diffusore, o meglio del cabinet, sarebbe in teoria un elemento non solo migliorativo ma addirittura essenziale ai fini delle sue prestazioni, della percezione da parte dell’ascoltatore, e di conseguenza della naturalezza della riproduzione.

Un tempo questo poteva forse essere un punto di vista condivisibile, quantomeno partendo dalla obiettiva difficoltà delle apparecchiature di arrivare a un livello di risoluzione dei particolari tale da rendere percepibili le informazioni ambientali contenute nel segnale da riprodurre.

Ma nel momento in cui le informazioni di quel genere contenute nella registrazione possono essere ricostruite per buona parte, in particolare dalle apparecchiature più efficaci, sovrapporre ad esse quelle dell’ambiente domestico nelle proporzioni date da una dispersione siffatta potrebbe non essere un bene. E anzi andare a produrre un sovrapporsi reciproco, causa di confusione, negativa per la riproduzione stessa e quindi per la percezione da parte dell’ascoltatore.

Inoltre la ricerca dell’angolo più ampio possibile di dispersione causa notoriamente difficoltà di ricostruzione del palcoscenico virtuale e incapacità ad attribuire un’adeguata collocazione spaziale agli esecutori. Lo stesso vale per il loro dimensionamento.

Questo è un problema tipico ad esempio dei diffusori omindirezionali. Malgrado possano ricreare una scena sonora molto ampia, e per questo suggestiva, a un’analisi più attenta manifestano regolarmente l’incapacità anzidetta, ovverosia di riprodurre un’immagine stereofonica di qualche verosimiglianza e di conferire alla ricostruzione degli esecutori un dimensionamento di qualche precisione, invece di una loro riproposizione fin troppo espansa sul fronte sonoro, e per conseguenza informe,

Lo stesso avviene, sia pure in proporzioni minori, per i diffusori che tentano di offrire un’emissione di tipo tradizionale ma il più possibile libera nello spazio, come appunto quelli che pongono alcuni altoparlanti all’esterno del cabinet. Anch’essi sono caratterizzati da un ricostruzione dell’immagine se vogliamo suggestiva, ma poco focalizzata e soprattutto dalla collocazione degli esecutori sul fronte sonoro parecchio migliorabile.

Proprio nel momento in cui se ne va a controllare con vari metodi la dispersione, si ottiene un recupero delle loro doti di ricostruzione di un palcoscenico virtuale di credibilità maggiore.

Eccoci allora al paradosso, l’ennesimo nel mondo della riproduzione sonora, costellato da un numero di contraddizioni enorme. E’ dato dal fatto che un diffusore di costo elevatissimo come quello menzionato da Antonio, proprio per quanto appena detto è caratterizzato da un comportamento antitetico al contesto degli impianti in cui dovrebbe andare a inserirsi, ovvero quelli in grado per conto proprio di recuperare dalle informazioni racchiuse nel supporto le componenti ambientali necessarie a una ricostruzione sufficientemente veritiera della scena sonora.

Viceversa, le sue prerogative potrebbero tornare molto più utili per gli impianti più modesti, dei quali ovviamente non farà mai parte, proprio perché incapaci di recuperare le informazioni ambientali dal segnale che sono chiamati a riprodurre. In quanto tali necessitano del surrogato costituito dagli effetti di una dispersione particolarmente ampia nell’ambiente domestico e dalle riflessioni conseguenti.

Dopo tutto questo discorso, finiamo con il ritrovarci ancora una volta di fronte a quello che su Il Sito Della Passione Audio è stato già ripetuto più volte. Ossia che quel che più aggrada la vista, e per il suo tramite suggerirebbe idealmente la migliore funzionalità ai fini della qualità sonora, con grande difficoltà riesce a trovare l’approvazione dell’udito. A dire il vero, anzi, non succede quasi mai.

Questa massima, qualora fosse tenuta in considerazione maggiore, permetterebbe alla media degli impianti di suonare decisamente meglio.

Non a caso è proprio nel momento in cui si è messa da parte l’estetica, anche nella maniera più drastica, per dare il supporto migliore a quanto favorisce le doti sonore, che il settore dell’audio ha conosciuto le sue sorti migliori. Da quando invece ci si è convinti che la vista è più importante dell’udito, siamo caduti nella voragine di una crisi della quale non si vede ancora il fondo.

Certo, le belle apparecchiature piacciono a tutti, soprattutto in fotografia.

In effetti sono quanto di meglio per istigare al sogno. Se proprio il motto “noi ti vendiamo il sogno” è uno tra i più diffusi in questo settore, temo non sia un caso.

Ma quando si tratta di andare sul concreto, ovvero di far si che a materializzare i propri desideri sia il numero più alto di persone e non una casta di “eletti”, o meglio di spocchiosi e presuntuosi dal portafogli rigonfio ma sostanzialmente incompetenti, le cose cambiano. E di molto.

Anzi, mai come in questo settore, un portafogli troppo pieno può risultare controproducente. Dato che chi lo possiede è spesso convinto che qualunque cosa sia alla sua portata.

Siccome esperienza e sensibilità non sono cose che si comprano, per il tramite di possibilità di spesa così elevate si vanno ad acquistare sovente le ciofeche più inverosimili, che proprio al fine di millantare qualità sonore senza paragoni sono vendute a prezzi folli.

In sostanza, allora, l’estetica portata oltre determinati limiti ha conseguenze negative per la maggior parte degli appassionati.

In primo luogo perché con le spese che comporta, le quali oggi ricoprono una porzione maggioritaria dei costi di produzione, pone molte apparecchiature fuori dalle loro possibilità di acquisto. Inoltre va a costituire un elemento ingannevole, proprio perché rappresenta un elemento meramente di facciata, sfruttato per suggerire l’esistenza di un livello qualitativo che invece, proprio poiché si è voluto attribuire all’estetica l’importanza maggiore, si è di fatto penalizzato.

Questo, caro Antonio, è il mio punto di vista. Altri potranno non essere d’accordo e come ho già detto va benissimo così. Anche perché altrimenti sarebbe una bella noia.


2 thoughts on “Estetica e suono

  1. Salve Claudio, condivido pienamente anche questo tuo ultimo scritto, che fa riflettere purtroppo sempre più sulla superficialità dei tempi correnti, dove anche in questo settore in cui l’obbiettivo principale dovrebbe essere la ricerca della corretta riproduzione musicale, molti si soffermano sull’aspetto estetico scegliendo spesso degli oggetti più con l’occhio che con le orecchie. Sicuramente c’è da affrontare il fattore waf ma quando un impianto composto da più apparecchi deve stazionare nel soggiorno purtroppo per molti diventa un discorso che si aggiunge agli altri e allontana da risultati ottimali… Per noi audiofili spesso degli oggetti che sono delle mostruosità ma che suonano bene esercitano un fascino sconosciuto a chi invece predilige lucine e inutili orpelli che servono solo per giustificare costi spropositato alla reale qualità degli apparecchi e scadenti elettroniche che costano più di cabinet che di componentistica…personalmente ho visto l’importanza di scelte che si riflettono nel buon suono senza compromessi dove le strutture come il mobile per diffusore e i telai per le apparecchiature ricoprono un ruolo fondamentale per il raggiungimento di risultati acustici e che hanno anche un loro fascino…mobili costruiti con criteri liutieristici e trattati con speciali vernici naturali miscelati a quarzi sinterizzati… Saluti

    1. Caro Filippo, grazie innanzitutto del tuo bel commento.
      Certamente il telaio influisce moltissimo sulla sonorità delle apparecchiature, anche se si preferisce trascurare questo elemento per curarne solo la facciata esterna. D’altronde viviamo nell’era dell’immagine e questo influenza a fondo anche la riproduzione sonora. Se è difficile acquistare una sorgente, un amplificatore o un diffusore poco gradevoli esteticamente, al contrario è molto facile cedere a oggetti dall’aspetto particolarmente curato. Anche perché una veste raffinata lascia supporre che la stessa raffinatezza la si ritrovi all’interno. Purtroppo invece così non è e non di rado accade proprio il contrario. Dato che per restare nei costi prestabiliti da qualche parte si deve pur risparmiare. Poi, siccome ascoltare apparecchiature curate come quelle cui fai riferimento non capita tutti i giorni, per l’appassionato è facile credere che certe cose siano ininfluenti o quasi. Molta strada c’è ancora da fare…

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