Analogico, il punto della situazione

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Nello stato di crisi che si trascina ormai da tempo immemore, e a questo punto dà l’impressione di essere virtualmente irreversibile, c’è stata una fase in cui alcuni settori della riproduzione sonora amatoriale hanno evidenziato una tendenza al rialzo. Tra questi possiamo annoverare quello delle cuffie, dei convertitori D/A e soprattutto dell’analogico.

Per ognuno c’è stata una motivazione particolare. In special modo per le cuffie, che hanno potuto beneficiare dell’effetto di trascinamento prodotto dai telefonini dotati delle funzioni di riproduzione, oltreché dai lettori MP 3, fino ad imporsi quale unico sistema di riproduzione di qualità superiore alla media, deprimente, di questi anni, noto alla fascia di pubblico più giovane.

Questa realtà dovrebbe far riflettere a lungo, sugli errori di merito e metodo che ci si è ostinati a compiere negli scorsi decenni, e chissà che una volta o l’altra non si affronti il discorso in questa sede.

Quanto ai DAC, hanno avuto il loro momento magico con l’affermarsi della musica liquida, che però ha messo in evidenza ben presto le sue problematiche di comprensione non sempre facile. Figuriamoci allora la loro soluzione.

Così anche quello che in un momento preciso è sembrato un successo travolgente, ha finito in breve tempo con lo sgonfiarsi, rientrando nei ranghi del tran tran soporifero che pervade la riproduzione sonora nel suo complesso.

L’analogico è stato l’unico di questi fenomeni a dare l’idea di poter issarsi all’attenzione generale in virtù delle caratteristiche proprie, ovvero senza dover appoggiarsi a fenomeni più o meno momentanei o legati alla realtà del settore.

Certo, si potrebbe avere l’impressione che la sua ripresa derivi dall’azione benefica di molte case discografiche, impegnatesi da un certo punto in poi in un’opera di ristampa e di recupero del patrimonio musicale più significativo degli scorsi decenni. Si può dire con sicurezza chi ha trascinato chi? E’ un po’ come il quesito se sia nato prima l’uovo o la gallina, quindi non ha molto senso star li a sottilizzare.

Fatto sta, allora, che a un certo punto l’analogico ha ripreso quota in maniera non solo inopinata, ma così vigorosa da far sperare che potesse dar vita a un effetto-traino di cui avrebbe potuto beneficiare tutto il settore della riproduzione sonora.

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Il fascino dell’analogico da una prospettiva inusuale.

Gli appassionati hanno ricominciato a comperare gli LP: non solo quelli storicamente più legati al supporto vinilico con cui hanno trascorso lunghi anni prima dell’esplosione del digitale, ma si è affacciata in questo spazio anche un’utenza completamente nuova, priva della minima collezione di dischi e di conseguenza delle macchine adatte a riprodurli, nonché delle nozioni necessarie a farle funzionare in maniera congrua.

A causa dei lunghi anni in cui il digitale l’ha fatta da padrone incontrastato, per buona parte era andato perduto il patrimonio comune legato appunto all’installazione, alla taratura e ai piccoli trucchi atti a personalizzare la sonorità dei giradischi, rimasto appannaggio di pochi appassionati che non avevano mai rinunciato tenere in ordine e a utilizzare abitualmente le loro sorgenti analogiche. Nondimeno il settore sembrava tirare, con un certo effetto di trascinamento per un po’ tutto il mercato.

 

Obbligo di pre phono

Con l’instaurarsi del dominio pressoché assoluto del digitale, la quasi totalità delle amplificazioni ha perduto la dotazione dello stadio phono interno. Così, al momento del ritorno in auge del vinile, gli appassionati si sono trovati nelle condizioni di dover far fronte a una spesa in più. Il che ovviamente è andato a gravare sulla spesa necessaria per riprodurre i dischi in vinile.

In linea di massima la scelta pressoché obbligata di ricorrere a un pre phono esterno, spesa a parte, non è un gran male, anzi. In primo luogo perché gli stadi phono a corredo degli amplificatori integrati, ai tempi dell’analogico, erano caratterizzati in genere da prestazioni non proprio esaltanti. Persino preamplificatori di classe molto elevata, il cui marchio taccio per carità di patria, anche se si tratta di apparecchiature di fabbricazione estera, risolvevano il problema con una coppia di operazionali integrati, abbinata al minimo di componentistica passiva di contorno. Quelle sezioni andavano per forza di cose a costituire un collo di bottiglia particolarmente stretto, in grado di penalizzare oltremodo le potenzialità dei giradischi ad esse collegati.

Per il fatto stesso di avere un’alimentazione propria, un pre phono indipendente ha buone probabilità di funzionare meglio della maggior parte delle sezioni con lo stesso compito, un tempo presenti in qualsiasi amplificatore integrato. Per i preamplificatori realizzati nell’era analogica il discorso può essere alquanto diverso, a seconda dei casi e delle scelte operate dai loro costruttori. Dato comunque che il giradischi era la sorgente primaria di un qualsiasi impianto, le elettroniche realizzate con maggiore attenzione alla qualità di riproduzione, proprio nella sezione phono avevano in genere la loro componente più curata.

 

Il sogno e la realtà. Ma quale?

A questo riguardo può essere interessante notare come vari preamplificatori realizzati in modo simile non abbiano più mercato o quasi, e in ogni caso se si decide di venderne uno si va incontro a difficoltà non indifferenti. Viceversa, quelli in cui la sezione phono era realizzata con la trascuratezza dell’esempio fatto prima vengono disputati dagli appassionati a suon di bigliettoni, per poi cantarne le lodi.

Sarà perché sono ritenuti belli nella loro estetica tendente al pacchiano, perché attorno al loro marchio sono sorte leggende rurali e metropolitane o per chissà quale altro motivo, fatto sta che questo rappresenta uno degli innumerevoli paradossi esistenti nell’ambito della riproduzione sonora amatoriale. Tali da trasformarla in uno dei contesti oggi pervasi dal tasso più elevato di elementi surreali. Direi anzi metafisici.

Alcuni dei motivi di questo stato di cose sono descritti in “La percezione della qualità” articolo che a prima vista sembrerebbe non avere molto a che fare con la riproduzione sonora, ma che invece coglie alcuni elementi basilari della sua realtà odierna.

Il tutto si potrebbe riassumere con lo slogan “noi ti vendiamo Il Sogno”, del quale in maniera più o meno implicita si è fatto un enorme abuso nel corso degli ultimi anni, sulla pelle dei destinatari di messaggi simili.

Va anche detto che buona parte della platea degli appassionati ha reagito positivamente a stimoli del genere, atti in sostanza a costruire una realtà virtuale, o meglio parallela, dove giocando sull’intangibilità degli elementi atti a definire il livello qualitativo della riproduzione audio, e sulla drammatica inefficacia di qualunque misura al riguardo, si fa credere che ogni desiderio attenda soltanto di essere coronato. Nessuno escluso, e persino quelli in antitesi l’uno con l’altro. Basta mettere mano al portafogli.

Per forza di cose tale coronamento non può che essere altrettanto virtuale. tuttavia certuni danno l’idea di non accorgersene o di non volerlo fare, addestrati come sono stati nel corso dei decenni, senza che se ne rendessero conto, ad acclimatarsi sempre meglio in queste costruzioni fittizie, nelle quali la tentazione di rimanere è sempre più forte. Del resto sono state ideate per questo, ossia al fine di prospettare una realtà illusoria, anche se tale caratteristica è ben dissimulata, nella quale si possa alfine trovare il totale e definitivo appagamento delle proprie fantasie. E senza sforzo alcuno: l’essenziale è crederci.

Non si tratta altro che del “Paese dei balocchi”, descritto da Collodi in un libro del quale alla luce di questi fatti non si può che rivalutare la portata autenticamente rivoluzionaria.

Del resto, convinti di trovarsi mollemente sdraiati sul più soffice e accogliente dei letti di piume, chi se ne allontanerebbe per tornarsene sulla tavola chiodata di un fachiro o sul pavimento cosparso di carboni ardenti costituiti dalla vita reale?

Ecco perché una volta intrappolati, o meglio rinchiusi, all’interno di un frame siffatto, termine il cui significato è stato descritto nell’articolo summenzionato, in genere gli individui sviluppano all’istante la dotazione poderosa degli anticorpi atti a formare una barriera di grande solidità che li rende refrattari a ogni suggerimento atto a far prendere coscienza della condizione in cui si trovano. In primo luogo perché dovrebbero ammettere di aver subito una beffa enorme, da cui un ricco corollario di considerazioni accessorie che metterebbero in discussione l’idea che ciascuno ha di sé stesso. Ma soprattutto perché in parallelo alla costruzione di una realtà illusoria troppo più comoda di quella concreta, è stata eseguita un’azione mirata a convincere il suo destinatario che proprio aderendovi si pongono in luce nel modo migliore le proprie capacità di discernimento e le doti di oculatezza, dinamismo, di persona all’altezza delle realtà della vita moderna e così via. Mettendo per finire su un bel piatto d’argento un concetto semplice, rapidissimo, poiché composto di una sola parola, e sempre pronto all’uso. Quindi lo si può sfoderare in maniera istintiva, o meglio automatizzata, nei confronti di chiunque provi a porre in evidenza le condizioni a cui troppe persone sono state portate, al fine di renderle consumatori efficienti e pronti a rispondere positivamente ad ogni stimolo impartito.

Sto parlando del complotto.

Concetto, è sempre bene ricordarlo, coniato in origine per delegittimare chiunque osasse manifestare dubbi, da cui l’epiteto di complottista, riguardo alle conclusioni che la Commissione Warren trasse riguardo alle modalità con cui venne ucciso John F. Kennedy. Il responso ufficiale di detta commissione fu che un singolo proiettile, sparato con un malridotto fucile residuato della guerra d’Africa, il Carcano mod. 91, posto a una distanza dal bersaglio superiore a quella della sua portata massima, conservasse l’energia cinetica e la precisione sufficienti non solo a colpire la sua vittima, ma a entrare e uscire più volte dal corpo della stessa, compiendo allo scopo una serie inusitata di cambi di traiettoria, anche di 180 gradi. Nonostante abbia colpito più volte nella sua corsa tessuti e soprattutto ossa, questi non avrebbero prodotto resistenza alcuna all’energia del proiettile, contro ogni verosimiglianza.

Lo scopo era evidentemente quello di nascondere la realtà testimoniata da diverse persone in loco, inerente la serie di tiratori dislocati in postazioni opportune, affinché potessero crivellare il corpo del Presidente degli Stati Uniti, che malgrado ciò hanno insistito a definirsi una democrazia, con la sicurezza assoluta che da quell’agguato non avesse possibilità alcuna di uscire vivo.

Detta commissione fu costretta a sostenere una tesi così fantasiosa poiché venne reso noto il filmato Zapruder, nella visione del quale anche il più distratto e incompetente degli spettatori non può fare a meno di notare la distanza temporale d’impatto e le traiettorie diverse dei proiettili che colpirono Kennedy. E se non fosse ancora sufficiente, basta ricordare che fine ha fatto il fratello Robert, candidatosi alle elezioni presidenziali del 1968. Guardacaso l’ultimo fratello, Ted, ha adottato un profilo molto più basso e gli è stata concessa graziosamente la possibilità di sopravvivere. Sempre in nome della democrazia.

Dal mio punto di vista ritengo che un fatto del genere sia quanto di più istruttivo per comprendere le dinamiche e le modalità di gestione del potere, del controllo delle istituzioni e più in generale la natura delle comunicazioni più o meno ufficiali rivolte alla cittadinanza. Che, ricordiamolo, sono per loro natura asimmetriche. Ma soprattutto spiega in maniera esemplare quale sia il vero significato dei termini complotto e complottista, l’intento con cui li si usa e la mentalità di chi se ne serve.

C’è da chiedersi quale sarebbe il destino di chi, oggi, avesse l’incoscienza di diffondere un filmato dai contenuti simili. Di sicuro il sistema di “informazione” gli opporrebbe un muro di silenzio impenetrabile, a reti e testate unificate. Mentre altri sistemi riceverebbero l’incarico di assicurarsi che quel silenzio sia mantenuto per sempre.

Il filmato Zapruder può essere visionato nel film “JFK” di Oliver Stone.

Riflettendo ancora per un istante sulla questione, possiamo dirci ancora fortunati che in una realtà come quella attuale, sempre più incline a ricalcare le distopiche profezie orwelliane di “1984”, nel momento in cui si prende coscienza di certe cose si senta fare riferimento soltanto al complotto. In quel libro invece si parla di “psicoreato”. Se riguardo al significato materiale si tratta di sinonimi, le conseguenze proprie dei due termini sono ben altre.

 

Collo di bottiglia

Dopo questa digressione, fin troppo lunga ma necessaria a comprendere meglio determinati meccanismi, torniamo al collo di bottiglia rappresentato appunto dal pre phono. Lo era all’epoca d’oro dell’analogico, quando si trovava all’interno di preamplificatori e amplificatori integrati, quindi non può che restare tale anche al giorno d’oggi, in termini di criticità dello specifico anello della catena audio basata su una sorgente analogica. A questo riguardo è essenziale non lesinare assolutamente su di esso, proprio perché ha una capacità rilevante tanto nel definire le doti sonore delle sorgenti analogiche, quanto soprattutto nel causare il pesante degrado delle loro prestazioni soniche qualora non sia all’altezza di ciò che lo precede.

In sostanza, quando il pre phono è di alto livello, qualunque testina, sia pure economica, dà l’idea di suonare alla grande. Se il pre phono è scarso, anche la testina migliore sembrerà zoppicare. Questo ricorda un aspetto tipico dei registratori a cassette del tempo che fu: con quelli di gran classe si potevano usare anche cassette che erano dei cadaveri, ottenendo buoni risultati. Con macchine meno prestanti, persino il nastro più costoso dava risultati deludenti.

Non di rado invece si vedono impianti che vantano giradischi di gran classe, cui si affiancano pre phono sostanzialmente inadeguati. E’ evidente che in casi simili una parte non indifferente di quanto di buono è realizzato dal giradischi venga bruciata, ovviamente senza possibilità alcuna di recupero in una fase successiva. Quel che è perso è perso, motivo per cui la sorgente, nei suoi vari elementi, ha sempre una funzione della massima importanza per quel che riguarda le prestazioni complessive dell’impianto.

Al riguardo va detto inoltre che se si desidera avere una sorgente analogica in grado di porre in evidenza le sue prerogative migliori, e quindi di tener testa al digitale come è tuttora nelle sue potenzialità, l’impiego di un pre phono di efficacia inappuntabile è un elemento da cui non si può prescindere.

 

Autolesionismo

Ai fini del risveglio dell’analogico ha giocato a favore anche il movimento di opinione che per un certo periodo ha messo al centro dell’attenzione il disco nero. La sua risonanza è andata ben oltre i confini ormai angusti della comunità “audiophile”: di vinile si è parlato molto, un po’ a tutti i livelli, e per un periodo di tempo considerevole è stato in cima alla lista degli argomenti riguardanti la musica e tutto quanto ad essa è collegato. Non solo sulla stampa di settore, ma anche e soprattutto in un ambito più generalista.

A un certo punto gli LP li si è trovati persino in edicola, dove è possibile acquistarli tuttora.

Risultato, una spinta poderosa per il supporto analogico e quindi per le macchine dedicate alla sua riproduzione. Accadimento che dovrebbe far riflettere sulle conseguenze che si hanno nel momento in cui un qualsiasi aspetto legato alla riproduzione sonora riesce a uscire dai limiti sempre più angusti in cui è andato ripiegandosi questo settore.

Interessante notare anche come un sistema tacciato per anni di eccessiva difficoltà d’uso, taratura e messa a punto, sia riuscito a trovare il favore di un movimento d’opinione legato al pubblico di tutti i giorni, che di fronte a tali difficoltà avrebbe dovuto rivolgergli le spalle all’istante. E invece no: di tali elementi se n’è infischiato, dimostrandosi meno prono a lasciarsi fuorviare dai pregiudizi più o meno artefatti coi quali si è voluta imbottire la testa di troppi appassionati. A dimostrazione del reale significato di determinati discorsi.

La DL 103 è stata a lungo uno tra gli emblemi della rinascita dell'analogico. Apprezzata dai suoi numerosi cultori in quanto testina abbordabile dalle prestazioni interessanti, ha conosciuto poi l'aumento di prezzo che ha interessato un po' tutto il settore dell'analogico e ha finito con il frenarne la tendenza positiva.
La DL 103 è stata a lungo uno tra gli emblemi della rinascita dell’analogico. Apprezzata dai suoi numerosi cultori in quanto testina abbordabile dalle prestazioni interessanti, ha conosciuto poi l’aumento di prezzo che ha interessato un po’ tutto l’analogico e ha finito con il frenare la tendenza positiva del settore.

Dunque, quello che per i cultori della riproduzione sonora era divenuto un elemento sufficiente a trascurare prima, e poi a spingere nel dimenticatoio un sistema di riproduzione non soltanto valido ma anche pieno di fascino, si è rivelato di nessuna importanza per l’utenza meno avvertita.

Il che come paradosso è proprio niente male.

Questo elemento direi meriti una riflessione, riguardo alle motivazioni che hanno spinto a tacciare l’analogico dei peccati di eccessiva difficoltà e addirittura di impraticabilità, ma soprattutto alle conseguenze che ne sono derivate.

Allora vediamo: prima si è fatto di tutto per togliere di mezzo qualcosa che era diventato d’impiccio, malgrado con le sue specificità rappresentasse un vero e proprio vessillo. Attorno al quale la comunità degli appassionati trovava identità, possibilità di riconoscersi e di aggregazione, fattori essenziali per la tenuta e l’espansione nel corso del tempo di un settore tanto peculiare come quello della riproduzione sonora. Al riguardo ci si è serviti dei soliti noti, sempre pronti a seguire e a difendere a spada tratta gli interessi dell’offerente migliore del momento, nonché le volontà superiori che devono avere sempre e comunque la precedenza. Ma proprio in quanto tali, costoro furono incapaci di comprendere che quanto stavano facendo con simile compiacenza, presto avrebbe finito con il portare a un ripiegamento sempre più evidente il settore che avrebbero dovuto sostenere, e poi una crisi dalla quale non si sarebbe mai più risollevato.

Altro non può essere se si rottama deliberatamente un simbolo tanto forte per sostituirlo con qualcosa di freddo e asettico, incapace per la sua stessa costituzione a far vibrare il cuore degli appassionati. Che sono coloro i quali, in definitiva, formano la spina dorsale del settore. Ora, per motivi che sono sempre gli stessi, denaro, profitto e conquista di nuovi mercati, si può decidere di farla in pezzi, qualora si posseggano la cecità e l’assenza di scrupoli necessarie allo scopo. Ma poi non sarà più possibile ricomporla, come il tempo ha dimostrato.

Eccoci allora, ancora una volta, di fronte alla dinamica tipica del capitalismo, che per andare avanti ha bisogno di distruggere ciò di cui si è cibato fino al giorno prima. A parte gli aspetti etici della questione, ciò rende evidente che a furia di aumentare il ritmo con cui esegue compulsivamente i meccanismi funzionali che gli sono propri, cosa a cui è obbligato altrimenti si causerebbe crisi economica, reale e non artefatta, arriverà presto o tardi a fagocitare anche sé stesso.

Così, in sostanza, nel momento in cui si è ritenuto ci fosse bisogno di fare spazio, non si è esitato a usare tutti i mezzi disponibili per sbarazzarsi di un sistema di riproduzione, presentandolo come scomodo, inadeguato e obsoleto. Se non addirittura arcaico. Per poi additare al pubblico ludibrio i suoi assertori, definendoli retrogradi, passatisti e persino impegnati alla difesa dei loro interessi personali.

Dopodiché, quando le conseguenze di questo attacco a tutto campo si sono dispiegate nella loro totalità, si è cominciato a piangere sulla crisi, i mancati guadagni, la difficoltà di mandare avanti un settore per il quale il tasso di interesse è sceso sotto la soglia critica necessaria affinché possa reggersi sulle sue gambe, proprio in conseguenza delle azioni scriteriate eseguite in precedenza.

Ora, è vero che come appassionato sono nato nel pieno dell’era analogica, quindi vi sono particolarmente legato e il mio punto di vista potrebbe essere di parte, ma sono sempre stato convinto di una cosa, che adesso vado a illustrare.

L’analogico necessita in effetti di precisi accorgimenti quando lo si deve installare, gestire e mettere a punto. Inoltre il suo impiego consapevole prescrive la conoscenza di una serie di regole essenziali, quantomeno per trarne prestazioni vicine alle migliori che è in grado di dare. Questo aspetto, se messo a paragone con la relativa semplicità d’impiego delle sorgenti digitali, assume proporzioni tali che un’osservazione superficiale della questione farebbe propendere immediatamente per esse. Infatti uno tra i tasti su cui la pubblicistica di settore ha battuto con maggiore ostinazione è stato proprio questo, imponendolo come un ennesimo dogma tra i tanti che si sono creati, i quali hanno finito con il riempire la testa di tanti appassionati con una quantità di pregiudizi tale da somigliare ormai a una selva inestricabile.

Il bello, poi, è che una volta cambiato il vento, le stesse identiche fonti che hanno contribuito nel modo suddetto all’eliminazione dell’analogico, non solo hanno ricominciato a parlarne, ma ne hanno addirittura tessuto le lodi come se nulla fosse.

Il TD 160 è stato tra i giradischi più diffusi nell'era dell'analogico. Di conseguenza oggi è il dominatore del mercato dell'usato. Le sue caratteristiche mettono in evidenza le contraddizioni riguardanti l'offerta del nuovo. Quanto si dovrebbe spendere, ad esempio, per comperare un giradischi dal piatto di peso simile?
Il TD 160 è stato tra i giradischi più diffusi nell’era dell’analogico. Di conseguenza oggi è il dominatore del mercato dell’usato. Le sue caratteristiche mettono in evidenza le contraddizioni riguardanti l’offerta del nuovo. Quanto si dovrebbe spendere, ad esempio, per comperare un giradischi equipaggiato con un piatto di peso simile?

In realtà, proprio la relativa complessità insita nell’impiego più consapevole della sorgente analogica, ha rappresentato lo stimolo necessario affinché l’appassionato si inoltrasse in un percorso di assimilazione, per i concetti necessari alla sua corretta gestione, di miglioramento, per le proprie capacità pratiche di intervento sul dispositivo, e di affinamento della sensibilità, quella necessaria a comprendere se gli interventi eseguiti avessero o meno un effetto positivo sulla qualità di riproduzione.

In tal modo ha acquisito parametri di giudizio concreti e via via più raffinati, accrescendo non solo la sua competenza ma anche il suo bagaglio culturale, elementi che in ultima analisi hanno costituito le basi per il rafforzamento della passione e quindi lo hanno legato sempre più intimamente alla riproduzione sonora. Non soltanto in prima persona ma divenendo anche un veicolo per la diffusione e la divulgazione dell’amore per la musica e la sua riproduzione di livello qualitativo elevato.

E’ evidente allora che il digitale, dove un percorso simile è in gran parte inessenziale, non possa rappresentare uno strumento altrettanto efficace per accrescere e propagare la passione per l’audio di qualità. In linea di massima è sufficiente mettere li un lettore, collegarlo al resto dell’impianto per averlo suonante già a una buona percentuale del suo potenziale complessivo. Di conseguenza non può che essere utilizzato più consumisticamente e, se per certe cose non si è già portati per conto proprio, lo si apprezza per quello che è e per la novità che rappresenta dal punto di vista tecnologico, mantenendo però nei suoi confronti un atteggiamento di maggior distacco. Sicché quando avrà perso l’interesse tipico della novità, e altre sirene di maggiore lusinga emetteranno il loro richiamo, verrà messo da parte come tutte le cose che hanno fatto il loro tempo.

Infatti è andata proprio così: fino a che l’analogico è rimasto nel pieno del suo fulgore, la riproduzione sonora è andata a gonfie vele. Dal momento in cui lo si è voluto affossare, le cose per un po’ sono andate avanti lo stesso, per forza d’inerzia, ma poi l’interesse è andato gradualmente e sempre più spegnendosi. Soprattutto, non c’è quasi più stato il ricambio apportato dalle generazioni più giovani, essenziale per qualsiasi cosa voglia tenersi in buona salute, fino ad arrivare alle condizioni attuali.

E’ evidente che per gente specializzata soprattutto nel contare banconote, e nel fare in modo che si moltiplichino da sé stesse e nel minor tempo possibile, discorsi del genere non solo siano fuori da qualsiasi comprensibilità, ma non li si starebbe a sentire neppure per un istante.

Quelli guardano al sodo: oggi la riproduzione sonora va e quindi mirano a trarre il profitto massimo che possa dare. E se poi proprio per questo modo di fare un domani da questo settore si sarà estratta tutta la linfa vitale, pazienza: basterà rivolgere ad altro le proprie attenzioni, fino a radere anch’esso al suolo e così via. Per arrivare alle condizioni in cui, come ho detto prima, fatalmente ci si ritroverà a fagocitare persino sé stessi.

Sempre in base a questo atteggiamento, nel momento in cui il settore della riproduzione sonora nel suo complesso era quanto di più somigliante a una landa pietrificata, e come per miracolo è arrivato il risveglio dell’analogico, per un po’ lo si è lasciato attecchire. Ma solo per lo stretto necessario. Dopodiché la sola cosa che si è deciso di fare è stato aumentare fin dove si potesse i prezzi dei prodotti ad esso correlati. Ritenendo forse di riparare almeno in parte i guasti causati dalle politiche scriteriate descritte prima.

Così i listini sono lievitati, a partire dalle testine e passando per il resto dei componenti della sorgente analogica. Davvero una strategia lungimirante, non c’è che dire. Che a livello di bilanci aziendali ha lasciato le cose esattamente com’erano, ma in compenso ha ucciso nella culla l’unica tendenza positiva creatasi in autonomia in questo settore da qualche decennio a questa parte.

Almeno così si è potuto ricominciare daccapo il pianto greco del c’è la crisi, gli appassionati si allontanano invece di crescere di numero, i giovani non vengono a noi (perché mai dovrebbero farlo?) e così via. Tanto ormai sembra solo questa la motivazione di esistere per un settore che è stato deliberatamente massacrato, in funzione degli interessi specifici dei suoi attori e della loro incapacità di pensare a qualunque cosa si trovi mezzo metro fuori dell’orticello personale.

Quando per grazia divina un comparto sembra avere la forza di risollevarsi, e di trascinare dietro di sé parti rilevanti del mercato inerente la riproduzione sonora cosa facciamo? Gli tagliamo le gambe, scaricando su di esso gli effetti dei problemi accumulatisi nel corso dei decenni, a causa della cecità delle politiche commerciali che abbiamo insistito a praticare. E allora, cari signori, persino il Grande Tafazzi al nostro confronto non è che un dilettante alle prime armi.

Il vero emblema delle modalità gestionali nell'ambito della riproduzione audio.
Il vero emblema delle modalità gestionali del settore riguardante la riproduzione audio.

Infatti noi non solo ci percuotiamo gli zebedei ridendo dal piacere, ma lo facciamo senza neppure la protezione del sospensorio che il noto personaggio esibiva tanto vistosamente. E siccome siamo dei veri professionisti del ramo, usiamo allo scopo un arnese ben più duro e pesante di una bottiglia.

 

Il nuovo aumenta? Sotto con l’usato

Per molti, tuttavia, la passione per il giradischi e i supporti vinilici rimane. Solo che invece di rivolgersi al nuovo, proprio per motivi di costi vanno sull’usato, che pertanto ha conosciuto una rivalutazione non solo di interesse ma anche delle quotazioni.

Così adesso è il cosiddetto “vintage” a trovarsi sulla cresta dell’onda. E non solo per quel che riguarda l’analogico.

Quanto ai giradischi, trattandosi di dispositivi eminentemente meccanici, ai quali oltretutto è richiesta la precisione necessaria a discernere tra le modulazioni di entità infinitesimale contenenti il segnale audio, insieme ai bracci sono gli elementi della catena che più di tutti risentono dell’età e dell’uso che se ne è fatto nel corso del tempo. Da un’offerta di macchine che per bene che vada hanno una trentina d’anni sulle spalle, trarre il meglio dal punto di vista prestazionale non è cosa facile. E forse non è necessario, avendo il fascino dell’oggetto in sé la motivazione preponderante per le attenzioni che gli rivolgono tanti appassionati. Aspetto che non è soltanto significativo, ma testimonia della grande attrattiva esercitata da questo sistema di riproduzione, che il digitale non ha mai avuto e può soltanto invidiare.

Sia pure con qualche acciacco dovuto all’età, le macchine d’epoca esibiscono spesso doti sonore tutt’altro che disprezzabili. A dimostrazione che il potenziale insito nell’audio analogico è ancora oggi ragguardevole. Rispetto ad alcuni anni fa il divario a suo favore nei confronti del digitale è andato forse riducendosi: malgrado ciò la naturalezza dell’analogico è a mio avviso ancora inarrivabile e rappresenta la sua arma migliore.

Ancora una volta però i problemi maggiori sono dati dai costi. Nel momento in cui si allestisce una sorgente all’altezza di un impianto audio di un certo livello, a equivalenza di prestazioni rendono tutto sommato più conveniente la scelta di una sorgente digitale. In particolare negli impianti non eccessivamente costosi e senza mettere nel conto le spese per il supporto fonografico.

Questo detto da uno che dell’analogico è un cultore sfegatato.

 

 

6 thoughts on “Analogico, il punto della situazione

  1. Bellissimo articolo! Anch’io sono appassionato del giradischi e per 20 anni mi sono dedicato all’auto-costruzione, lavoro in officina meccanica, e ho l’opportunità di procurarmi e lavorare molti materiali adeguati alle risonanze, dopo aver costruito e implementato ben 7 giradischi e una ventina di bracci con articolazioni e materiali differenti, alcuni li ho venduti e ancora oggi devo correre a casa di acquirenti per ri-tararli o dimarli oppure consigliarli per una soluzione definitiva. Ora non costruisco più niente perché ho trovato la pace quando ho acquistato un Dual 1219 del 1970, gli ho messo la testina Shure V15 e senza troppi patemi suona come il mio auto-costruito con testina Denon DL 103 r con body in radice di erica, naturalmente alterno gli ascolti su entrambi, lo stadio phono è un artigianale MAREL, un signore di Biella ne ho tre alimentati con alimentatori di computer 30 Volt. Ora sto aspettando di avere qualche soldo per l’acquisto di un VTL 2.5.

    1. Grazie per il commento e per la tua valutazione nei confronti del mio lavoro, Franco. Ma soprattutto complimenti per la tua attività. 7 giradischi e 20 bracci costruiti non sono davvero pochi. Credo anzi che non siano molte le persone che possono vantare un curriculum come il tuo, seppure ne esistono. Non faccio fatica a credere che ti stia trovando benone con un giradischi a puleggia, anche se sinceramente non sono i miei preferiti. Più importante invece è osservare il recupero sempre più prepotente dell’analogico, comprovato anche da dati di vendita che alcuni anni fa sarebbero sembrati inverosimili. Il fascino del supporto vinilico e della sua confezione è innegabile e lo stesso vale per le macchine adibite alla sua riproduzione. Quando si volle imporre a tutti i costi il digitale l’analogico venne tacciato di ogni nefandezza, prima tra le quali la complessità d’impiego, messa a punto e taratura. Con il risultato che a 30 anni di distanza ci ritroviamo con la musica liquida, di gestione ancora più complicata volendone trarre il meglio delle prestazioni, anche se per altri parametri. Tutto sommato è solo l’ultimo, in ordine temporale, dei mille paradossi cui il mondo dell’audio ci ha abituato.
      Spero continuerai a seguire assiduamente Il Sito Della Passione Audio,in cui si parlerà frequentemente di analogico nel prossimo futuro. I moduli per inviare commenti o domande sono sempre a disposizione tua e di tutti li appassionati. Un caro saluto e in bocca al lupo per il tuo prossimo amplificatore!

  2. Io sono nato, ‘per forza’ temporale, “analogista”; negli anni costretto a seguire l’evoluzione degli eventi ed a digerire, col senno del poi, il passaggio vs le produzioni digitali.
    Non me ne dispiacque, per la novità.
    All’epoca, più che mai, artefici miriadi di contraddittorie convinzioni pilotate anche da riviste specializzate, quando forum, blog ed internet non si sapeva ancora cosa fossero, e tali da convincere tutti, me compreso, di un futuro sonoro quasi irraggiungibile per definizione, sia in senso letterario che tecnico.
    Ora sono ancora “analogista” più che mai, dopo cinquanta primavere…
    E il tempo me ne ha dato ragione.
    Piatto con ampli a valvole per l’analogista, e player cd, dac e ampli integrato per il digitalizzato, sono le differenze che vedrei oggi nelle case di un appassionato.
    O no?

    1. Caro Antonio,
      grazie per il commento e la tua preziosa testimonianza.
      Alcune riviste, anche se non tutte, ebbero nei confronti del digitale un atteggiamento di grande condiscendenza. Se per le altre apparecchiature sbrigavano le prove con una paginetta massimo due, ai lettori CD allora agli esordi, che spesso erano sempre la stessa macchina vestita e marchiata in modo diverso, dedicavano quantità di spazio inusitate, con un gran numero di foto di grandi dimensioni anche per particolari insignificanti. Soprattutto le accoglievano con commenti dai toni così entusiastici da essere in larga parte fuori misura, come si verificava impietosamente nelle mostre di settore, prima ancora che nelle salette dei negozianti, luoghi in cui la realtà non poteva che palesarsi per quella che era. Ovverosia mostrando che da quelle macchine era obiettivamente difficile riuscire a trarre qualcosa di buono. Ancor più, che avevano ancora una strada molto lunga da percorrere, prima di poter paragonarsi alla musicalità di un analogico appena decente.
      Nello stesso tempo, o forse proprio per questo, da parte di quelle fonti venne eseguita una vera e propria campagna di delegittimazione per l’analogico e i suoi cultori, cui seguì un muro di silenzio impenetrabile, protrattosi fino agli anni 2000 inoltrati.
      A quel punto però, in maniera ancor più paradossale, eseguirono al riguardo un’opera di vera e propria disinformazione, non si sa quanto deliberata. Soprattutto ad opera di persone ansiose di imporsi in qualunque modo all’attenzione del pubblico, che se possibile causò danni ancora maggiori. In particolare tra quanti erano attratti dall’analogico ma per questioni di età non avevano potuto accumulare l’esperienza necessaria, i quali invece avrebbero avuto quantomeno diritto a un’informazione corretta.
      Nondimeno molti appassionati avevano proseguito per la loro strada anche durante gli anni bui, ed è grazie a loro che l’analogico si è mantenuto vivo ed è stato tramandato il patrimonio di conoscenze tecniche, di cultura e di piccoli trucchi atti a trarne il meglio. Che se fosse stato per quelle riviste, sarebbe andato del tutto perduto.

      Malgrado tutto questo, la situazione in rete è se possibile ancora peggiore. Al riguardo vediamo testate che si pongono quale unica prospettiva un ruolo di mere vetrine, atte a pubblicizzare in forma del tutto acritica il continuo susseguirsi di nuove apparecchiature, spesso peggiori di quelle che le hanno precedute anche se più pretenziose.
      Su forum e social, poi, regna proprio la qualunque. In quelle sedi è il peggio a farla da padrone, con oltranzismo, puerilità, crassa ignoranza, guerre di religione e intolleranza spinta fino all’insulto nei confronti di chiunque sia reo di pensarla diversamente. Si tratta insomma dello specchio fedele del profondo degrado etico e morale verificatosi nel corso degli ultimi anni, che solo poco tempo fa si sarebbe ritenuto del tutto inverosimile.

      Questi sono alcuni dei motivi che mi hanno spinto ad aprire il mio sito, con l’idea di farne una fonte di informazione rivolta alle necessità e ai desideri degli appassionati, piuttosto che al sostegno degli interessi delle aziende presenti a vario titolo nel settore.
      Spero di riuscirci, anche con la collaborazione della parte più aperta e consapevole dei cultori della riproduzione sonora.
      Ad essa spetta il compito di fare da esempio, non dividendosi in fazioni occupate soltanto in una perenne lotta intestina volta a imporre i luoghi comuni più deteriori e il parere di chi è meno privo di scrupoli, ma condividendo le proprie esperienze e accettando e discutendo quelle altrui in un contesto di correttezza e rispetto reciproco. Nella convinzione che è proprio questo modo il solo a determinare la crescita generale del settore, inteso in termini di comunità di appassionati, consapevoli dei traguardi che si pongono e delle modalità con cui intendono perseguirli, piuttosto che essere in balia di interessi economici che nulla hanno a che fare con la riproduzione sonora, se non in quanto mezzo atto al loro perseguimento, e con la passione ad essa legata.
      Quanto all’ultima parte del tuo commento, analogico e valvole danno luogo molto spesso a sonorità parecchio godibili. Personalmente apprezzo le valvole anche con il digitale, per quanto abbia rilevato più volte che con lo stato solido si possono avere sensazioni di pari valore, sia pure diverse. Importante a questo proposito è rilevare che determinati risultati non hanno bisogno di apparecchiature oltremodo costose per essere ottenuti, ma soprattutto dell’esperienza necessaria a mettere ciò che si possiede nelle condizioni di esprimersi al meglio, piuttosto che dedicarsi a un continuo cambio di apparecchiature, costoso e senza senso. Proprio questo è un altro degli scopi che il sito si prefigge.
      Ancora grazie per il tuo bell’intervento, Antonio, che oltretutto mi ha permesso di puntualizzare meglio il mio pensiero.
      Spero quindi di averti ancora in questo spazio non solo come visitatore, ma anche come commentatore assiduo.

  3. Non sono un analogista, ma un finto digitalista che ha trovato la sua pace dei sensi solo con un Accuphase “top” come il DP700, meglio (molto meglio) col SACD.
    Più volte nei forum anche io ho parlato di complotto, in particolare di “lobbies” che diffondono insoddisfazione attraverso schifose bugie e falsi miti plagiando le menti dei più deboli, poi facili ad essere indirizzati con la tecnica dello slogan e i modi arroganti tipici dei guru del settore.
    Quando sento “il SACD è nato morto”, “l’analogico è solo rumore e distorsione piacevoli”, “l’ambiente d’ascolto prima di tutto”,”il futuro è la liquida”, specie pronunciati da gente che li ripete perché plagiata ad essere insoddisfatta per arricchire chi la plagia, profonde pena e rabbia mi pervadono. La gente applaude il proprio carnefice e aggredisce chi non vuole vendere loro nulla, contro l’utente soddisfatto che sarebbe loro alleato, ma vedono come nemico. Si fidano dei cosiddetti esperti, senza capire che il loro obiettivo è non darti mai gioia di ascoltare musica, altrimenti non saresti più loro cliente fisso. Orgoglioso di aver fatto sempre tutto di testa mia

    1. Carina la tua definizione di “finto digitalista”.
      Diciamo che l’attributo al SACD cui fai riferimento ha un fondo di verità, dato dal fatto che si tratta di un formato di archiviazione. Ovvero non può essere utilizzato per eseguire elaborazioni sul segnale come quelle tipiche che si effettuano in uno studio di registrazione per realizzare un album ex novo. Questo ovviamente non giustifica definizioni così tranchant, ma come saprai a molti piace riempirsi la bocca con cose simili. Forse in quel modo pensano di sembrare più esperti.
      Quanto al resto, come non darti ragione…

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