AKG K141 mkII contro K240 Studio

Tra le specialità del mondo audio che hanno avuto il ritorno d’interesse maggiore negli ultimi anni, l’ascolto in cuffia ha uno dei posti di preminenza, se non il più rilevante in assoluto.

Complice il diffondersi dei riproduttori portatili MP3 e poi delle funzioni di riproduzione in qualsiasi telefonino, oggi è di nuovo consuetudine imbattersi in persone che se ne vanno in giro indossando cuffie più o meno vistose.

La categoria che le include, inoltre, ha il grande merito di mantenere un legame tra la riproduzione sonora di qualità e il pubblico giovanile.

Come avviene per ogni fenomeno commercialmente pagante, il settore ha visto l’ingresso di una serie di marchi più o meno conosciuti, il cui denominatore comune è il puntare soprattutto sull’estetica del prodotto.

Si tratta di un elemento di grande importanza, soprattutto nella percezione del pubblico generalista, che essendo poco o nulla addentro alle questioni tecniche, tende a operare le sue scelte essenzialmente sulla base di due criteri primari, l’aspetto e la comodità.

Da parte di chi si vuole ritagliare un suo spazio commerciale, allora, la tentazione potrebbe essere quella di spingere in particolare sull’elemento visivo, oggi più importante che mai dato il diffondersi degli acquisti effettuati in rete. Quindi essenzialmente sulla base di una o più immagini ed eventualmente su una serie di parametri tecnici di difficile interpretazione.

Poi quando si ha la cuffia tra le mani è importante poterla tenere su a lungo senza fastidi, altro fattore cui va dedicata la necessaria attenzione. Come sempre però, e in particolare per i prodotti più a buon mercato, se si aggiunge da una parte si deve togliere dall’altra, rischiando di penalizzare la qualità sonora.

 

La questione dell’impedenza

Con l’avvento dell’audio personale, che ha conosciuto una prima esplosione al termine degli anni 70 con il Walkman di Sony, si è dovuto fare in modo che il livello di pressione sonora percepito, il cosiddetto volume, fosse adeguato anche pilotando la cuffia mediante semplici uscite a livello di linea, come quelle in dotazione ai riproduttori portatili.

Già all’epoca si trattò di una questione non da poco, anche per via del fatto che un conto è effettuare un ascolto al riparo delle pareti domestiche, quindi con un rumore di fondo ipotizzabilmente basso, nei confronti del quale si è ben riparati dagli auricolari chiusi che equipaggiavano la maggioranza delle cuffie in commercio. Ben altro invece è l’ascolto all’aperto, e magari in presenza di disturbi di livello ben più elevato, nei confronti dei quali gli auricolari aperti tipici delle cuffie a corredo dei riproduttori portatili possono offrire ben poco riparo.

Va poi considerato che allora i problemi di spazio erano ancor più pressanti di oggi, dato che in un oggetto di cui occorreva innanzitutto garantire la facile portabilità dovevano entrarci una cassetta e tutto il sistema meccanico necessario al trascinamento del nastro magnetico in essa contenuto. Quindi sulla parte elettronica occorreva stringere al massimo, peraltro sulla base di possibilità d’integrazione da preistoria rispetto a quelle attuali. A completamento del quadro, per le solite questioni di spazio e di peso, occorreva fare tutto con una coppia di batterie stilo o al massimo due. Quindi anche le tensioni disponibili erano quelle che erano.

Giocoforza pertanto agire sul dispositivo di trasduzione, ossia la cuffia a corredo. Prima di allora l’ascolto in cuffia si eseguiva quasi esclusivamente in casa, per evitare il disturbo di familiari o vicinato e per questioni di fedeltà maggiore rispetto ai sistemi dell’epoca. Essendo collegate agli amplificatori, di norma in possesso di un’uscita dedicata, le cuffie in circolazione avevano un’impedenza di alcune centinaia di ohm.

Il valore più diffuso, praticamente uno standard, era quello di 600 ohm, inadatto a esemplari destinati a funzionare mediante il pilotaggio di semplici uscite a livello linea, o comunque capaci di erogare qualche decina di milliwatt. Fu così che iniziarono a diffondersi le cuffie a bassa impedenza, fra i 30 e i 100 ohm, equipaggiate da trasduttori di sensibilità più elevata, caratteristica che in precedenza era di importanza sostanzialmente nulla.

Oggi l’ascolto in cuffia avviene nella maggior parte dei casi proprio mediante uscite di linea, cui è opportuno abbinare i già menzionati modelli a bassa impedenza. Pena l’ottenimento di pressioni sonore insoddisfacenti, che implicano l’acquisto di elettroniche specificamente dedicate allo scopo. Per questo motivo agli amplificatori per cuffia ricorre oggi una platea di appassionati piuttosto vasta.

I due modelli AKG che prendiamo in esame sono entrambi da 55 ohm, valore ideale per l’impiego con sorgenti portatili, uscite di PC e in genere le apparecchiature corredate di uscite di linea, come sorgenti digitali, DAC e così via.

 

AKG

Il marchio austriaco è tra i più rinomati nell’ambito dei trasduttori di piccole dimensioni, anche e soprattutto nelle applicazioni degli studi di registrazione o di tipo professionale: cuffie appunto, microfoni e anche fonorivelatori. Riguardo a questi ultimi, il P9 è stato tra i più ambiti e sonicamente validi nell’epoca d’oro dell’analogico.

Da qualche tempo AKG è entrato a far parte del gruppo Harman, le cui origini risalgono a quello che è stato uno tra i costruttori più rinomati nel settore delle amplificazioni, lo statunitense Harman Kardon.

Oggi è controllato da Samsung e include una quantità di marchi che hanno fatto a vario titolo la storia della riproduzione sonora. Tra questi Arcam, Crown, DBX, Infinity, JBL, Mark Levinson, Lexicon, Revel, Soundcraft, Studer e numerosi altri.

La produzione della maggior parte delle apparecchiature commercializzate dai marchi che fanno capo al gruppo avviene in Cina. Questo riguarda anche le due cuffie esaminate.

 

K 141 mkII

Con la K 141 mkII ho avuto una prima presa di contatto nello studio L’elefante bianco, di Massimo Ruscitto. L’occasione si è avuta con la verifica della sonorità dei microfoni in dotazione al Tascam DR 40, da me scelto per documentare le prove d’ascolto pubblicate in questo spazio, in confronto a esemplari di sicura rinomanza come quelli utilizzati nelle registrazioni di studio. Questa possibilità è data dalla presenza degli ingressi XLR, che ne ampliano la già notevole versatilità e permettono di migliorare la qualità delle registrazioni realizzabili per il suo tramite.

La verifica delle registrazioni eseguite in quella sede, con l’uso di microfoni diversi a scopo di confronto, l’abbiamo effettuata proprio con la K 141 mkII, che del resto è largamente rinomata nell’ambiente professionale per le sue caratteristiche.

Tornato a casa, ho riascoltato quelle registrazioni con la cuffia a mia disposizione, un modello realizzato da uno dei marchi più noti per i modelli dedicati all’audio domestico, che gode di larga stima.

Con quel tramite, la perdita di quasi tutte le caratteristiche più interessanti in termini di qualità sonora è stata disarmante. Infatti la percezione delle differenze tra i microfoni in dotazione al DR 40 e quelli con cui sono stati confrontati, che in studio si erano dimostrate fin quasi plateali, erano divenute ben più sfumate. Motivo per cui ho deciso di acquistare anch’io un esemplare di AKG K141 mkII.

Non è difficile allora comprendere i motivi per cui ha acquisito ampia diffusione negli studi di registrazione, in cui è utilizzata come monitor. Se non fossero già sufficientemente chiari, ne avremo più avanti un’ulteriore riprova.

All’apertura della sua scatola si nota innanzitutto la presenza di un corredo accessori più ampio del solito. Oltre all’usuale adattatore per uscite a jack da 6,3 mm ci sono un paio di cuscinetti di ricambio, ricoperti da velluto blu scuro, e un secondo cavo di connessione, di tipo spiralato. Si tratta di un esemplare dotato di conduttori in rame OFC, come quello che si trova già applicato alla cuffia. La loro connessione avviene grazie alla presenza di una terminazione Mini XLR a tre poli, posta sul padiglione sinistro.

La K141 mk II è una cuffia sovraurale di tipo aperto. Quindi l’utilizzatore rimane a contatto con l’ambiente esterno e soprattutto non deve sopportare la sensazione di disagio tipica dei modelli chiusi, che li rende poco indicati negli impieghi prolungati.

La bandella superiore è a regolazione automatica, mediante i doppi cordini tensionati che fuoriescono da ciascun padiglione. Quindi basta indossarla perché si adatti alle dimensioni del cranio senza necessità di aggiustamento alcuno da parte dell’utilizzatore.

Sembra una questione di poco conto ma invece è molto importante per la comodità della cuffia. Un po’ per questo e un po’ per la leggerezza dell’insieme, la bandella può fare a meno dell’imbottitura, diminuendo ulteriormente il peso che si deve sopportare e senza che si crei fastidio, andando anzi a vantaggio della vestibilità.

L’unico appunto a questo proposito riguarda la tendenza degli auricolari a spingere un po’ più del dovuto contro le orecchie. Questo causa qualche fastidio se la cuffia è tenuta indosso a lungo, ma solo nel primo periodo. In capo a qualche tempo il problema tende a scomparire, mano a mano che la cuffia si assesta sulle misure del cranio dell’utilizzatore. Anche per quelli che hanno una testa di misura abbondante come lo scrivente.

Tutta la struttura è tenuta insieme da una coppia di archetti metallici, mentre i padiglioni sono snodati mediante giunti cardanici. La leggerezza, 225 grammi, è un altro elemento che gioca a favore della comodità della cuffia.

I cuscinetti che si trovano già montati sulla cuffia all’apertura della confezione sono in similpelle. Complici forse le temperature del periodo estivo, li ho trovati nettamente più adatti all’impiego quotidiano rispetto a quelli in velluto. Si tratta comunque di preferenze personali, che come tali potranno trovare smentita da parte di altri utilizzatori.

A prima vista la K141 mkII potrebbe dare un’idea di eccessiva spartanità, soprattutto se messa a confronto con i modelli di altri costruttori. Tuttavia è proprio questa caratteristica che le conferisce leggerezza e di conseguenza comodità di utilizzo anche negli ascolti prolungati, con l’assenza praticamente totale del senso di costrizione che rende sgradito l’uso della cuffia per numerosi appassionati.

 

K 240 Studio

La K 240 Studio si basa essenzialmente sulle medesime caratteristiche di base della K 141 mkII. In particolare per quel che riguarda il suo indirizzo, l’impiego negli studi di registrazione. Dell’altro modello conserva inoltre la spartanità generale della realizzazione, che lo ricordiamo ancora va a favore della leggerezza e quindi delle doti di comodità d’impiego, soprattutto negli ascolti prolungati.

Anche il sistema di regolazione a cordini resta lo stesso, come pure la tipologia dei padiglioni, aperti. Stavolta però si tratta di elementi circumaurali, che come spiega la definizione stessa non poggiano sull’orecchio ma vanno ad avvolgerlo completamente, eliminando qualsivoglia pressione su di esso.

In teoria questo dovrebbe attribuire alla K 240 Studio una maggiore comodità. All’atto pratico invece ho trovato più gradevole da indossare la K141 mkII, malgrado la lieve pressione sull’orecchio da essa esercitata, del tutto assente nell’altra. Ancora una volta si tratta di una preferenza individuale che potrà trovare smentita da parte di utilizzatori dai gusti diversi dai miei.

Forse è proprio avere l’orecchio del tutto circondato dall’auricolare, che peraltro esercita una pressione fin quasi inavvertibile data l’efficacia del sistema di adattamento automatico, ad aver generato la sensazione di innaturalezza che mi ha fatto preferire la K141 mkII almeno quanto a indossabilità.

La scatola di colore dorato, tonalità ripresa dalle finiture della cuffia e le vistose diciture “Professional Studio Standard” farebbero ipotizzare si tratti di una cuffia di classe superiore rispetto all’altra.

Di fatto, invece, la si può acquistare a un prezzo inferiore. Anche se va tenuto conto che a sfavore del costo della K 141 mkII gioca la sua dotazione più ampia del solito.

I cuscinetti della K240 Studio sono sempre in similpelle. Le dimensioni complessive della cuffia sono senbilmente maggiori rispetto all’altra, trattandosi di un modello circumaurale, il che va ad aumentarne il peso, seppure di poco.

Esteticamente la K 240 mi piace decisamente meno, per via delle dimensioni maggiori ma soprattutto per le sue finiture dorate, forse un po’ troppo vistose. Anche la forma delle forature dei padiglioni la trovo meno indovinata e più tendente ad appesantire, in maniera sottile ma influente, l’equilibrio complessivo del trasduttore.

Curiosa infine la conformazione divergente degli archetti, che attribuisce all’insieme un aspetto più gradevole.

 

Le due cuffie all’ascolto

Diciamo innanzitutto che entrambe suonano forte. La K 141 mkII alquanto di più della K240 Studio, il dato di sensibilità dichiarato dal costruttore è di ben 10 dB superiore. Ne consegue che possono essere entrambe pilotate da una sorgente con uscita a livello linea senza tema di recriminazioni sul livello di pressione sonora ottenibile.

A questo proposito anzi trovo necessario raccomandare una certa attenzione. La ragguardevole tenuta in “potenza”, e quindi le distorsioni sempre piuttosto contenute abbinate alle pressioni più che generose prodotte da ambedue le cuffie, potrebbero indurre un certo abuso nella gestione del controllo del volume. Così da sottoporre l’udito a pressioni sonore troppo elevate, che a lungo termine potrebbero rivelarsi dannose.

Il lato buono della questione sta nel fatto che le due AKG non necessitano assolutamente di amplificatori dedicati, genere di oggetti che oggi stanno conoscendo larga richiesta proprio per via delle caratteristiche inadeguate di molte cuffie per l’impiego che s’intende farne. Anche con l’impiego in abbinamento a sorgenti con uscite a livello linea, si è portati ad abbassare il volume piuttosto che ad alzarlo. Questo oltretutto non comporta gravi rinunce dal punto di vista della qualità sonora, dato che entrambi gli esemplari sono inappuntabili, malgrado il loro costo  tutt’altro che proibitivo.

La loro personalità è comunque diversa: in un ascolto a confronto, la K 240 Studio si lascia preferire, almeno in prima battuta.

Malgrado suoni più piano, soprattutto di primo acchito la sua sonorità dà l’impressione di essere più “hi-fi” rispetto all’altra. In particolare per via dello sfondo in apparenza più pulito, per la maggiore presenza dell’estremo superiore e più in generale per l’allineamento complessivo della gamma riprodotta, tendente alla chiarezza.

Dal canto suo la K141 mkII pone in evidenza una sonorità più esuberante e corposa, caratterizzata da un basso di potenza e dinamica notevolmente maggiori e da una presenza più evidente del messaggio sonoro nel suo insieme. L’estremo superiore, viceversa, appare maggiormente controllato. La sua sonorità dà l’idea di essere volta più alla solidità e all’impatto che a suscitare un’idea di raffinatezza.

Questo almeno nel passaggio rapido da una cuffia all’altra, che poi tanto rapido non è. Infatti ora che ci si leva la cuffia, si sfila il connettore, s’indossa l’altra e la si collega alla sorgente viene in larga parte meno l’immediatezza del confronto.

Se poi si perde altro tempo alla ricerca di un allineamento della pressione sonora di qualche precisione tra i due esemplari, condizione indispensabile per effettuare un confronto per la timbrica su basi paritetiche, detta immediatezza va proprio a farsi benedire.

Risultato, il dichiarare da parte di ascoltatori definibili come medi, di non percepire grandi cambiamenti tra le due cuffie in termini di qualità sonora, trovando la differenza maggiore nel fatto che la K 240 Studio sembri posizionare la sorgente del suono più lontano dall’orecchio rispetto alla K141 mkII.

Quest’ultima inoltre dà l’impressione di essere gravata da una maggior congestione nella riproduzione rispetto alla K 240 Studio, in apparenza più compassata e di sonorità pulita.

Una volta però che si pongono entrambi gli esemplari a pari livello di emissione, si ricava l’impressione che la K 141 mkII riesca in qualche modo a dare rilievo a un numero maggiore delle componenti della registrazione, mentre con la K 240 Studio alcune di esse sembrano perdersi più sullo sfondo. Sia pure nel contesto della già rilevata maggiore pulizia generale, che potrebbe renderla meglio accetta al pubblico tipico della riproduzione sonora amatoriale, ossia gli appassionati di hi-fi.

La sua sonorità si avvicina maggiormente all’ideale tipico ricercato da questa tipologia di appassionati, che ascoltano le registrazioni e si fanno un’idea della qualità complessiva del suono senza poter conoscere le caratteristiche originarie del segnale. Quindi, se vogliamo, su una serie di congetture, se non di luoghi comuni, da cui poi si estrapola il proprio giudizio in base a parametri ancora una volta definiti sulla base di un’astrazione. Limite che si ripercuote in sostanza sulla totalità dei giudizi che vengono emessi riguardo alle doti timbriche delle apparecchiature e alle sonorità che si percepiscono nell’utilizzazione degli impianti audio.

Nel momento in cui le caratteristiche originarie della sonorità riprodotta sono conosciute, come nell’ascolto di registrazioni autoprodotte, le valutazioni fin qui elencate tendono a capovolgersi.

Infatti in condizioni simili non è difficile accorgersi che è la K141 mkII a produrre una sonorità di realismo maggiore, anche se forse meno attraente. Probabilmente in quanto meno legata allo stereotipo che ciascun ascoltatore ha rispetto al modello del cosiddetto “ascolto hi-fi”.

Questo aspetto spiega ancor meglio i motivi della sua diffusione a livello professionale, oltre a renderla preferibile per chiunque non sia interessato all’apparenza ma alla sostanza.

Soprattutto fa riflettere in merito a quel che l’appassionato medio richiede alle apparecchiature e alle sonorità prodotte per il loro tramite. Convinto appunto che si tratti di “hi-fi”, quando invece è soltanto la rappresentazione delle sue convinzioni al riguardo. O forse il risultato di scelte ben precise effettuate in sede di produzione, volte in sostanza a rendere più attraente la timbrica delle apparecchiature, sulla quale ci si è costruiti una serie di certezze. A questo riguardo l’ascolto delle due cuffie ha avuto esiti alquanto sconcertanti.

Dunque la sonorità più bella e appagante non è detto che sia la migliore, anche se potrebbe apparire come tale. Dato che l’idea che ogni appassionato si è fatto nei suoi confronti potrebbe essere assai distante dalla realtà e con ogni probabilità se ne va allontanando sempre più. Proprio in quanto la tendenza a proporre apparecchiature dalle sonorità a prima vista più raffinate e gradevoli, e appunto aderenti a un determinato ideale, potrebbe aver portato a preferire qualcosa che non ha molto a che fare con la realtà dei suoni naturalmente emessi da voci e strumenti.

Al di là delle differenze tra i due modelli esaminati, delle doti soniche che offrono a prezzi contenuti e del significato insito nel rivolgersi a un prodotto realizzato con serietà ed esperienza piuttosto che a uno proposto dai millemila marchi più o meno improbabili da cui oggi è affollato il settore delle cuffie, credo sia questo l’elemento di importanza maggiore emerso dal raffronto di cui ci stiamo occupando, meritevole di una profonda riflessione.

In particolare da parte di chi mantenga tuttora un concetto della riproduzione sonora in termini di “hi-fi”, ossia di fedeltà maggiore possibile a un evento concretamente svoltosi in precedenza, piuttosto che a un’ideale magari più attraente e godibile, ma di minore attinenza con le sonorità del mondo reale.

Di qui proviene un’altra serie di domande, che mi sembrano di importanza fondamentale.

Cosa ci propone oggi l’industria di settore?

Come viene valutato il suo prodotto dalla critica specializzata?

Sulla base di quali parametri?

Soprattutto, certe valutazioni sono espresse nella consapevolezza di questo stato di cose, ossia che la riproduzione sonora più fedele può non essere la più gradevole, oppure considerando soltanto quello che andrebbe inquadrato a tutti gli effetti come il mero risultato di una cosmesi sonora mirante a soddisfare un ideale per buona parte irrealistico?

Inoltre chi produce le apparecchiature, messo di fronte a questo dilemma, e con la possibilità che la sua scelta vada a influenzare negativamente il giudizio che le riguarda, cosa andrebbe a privilegiare?

Quali potrebbero essere le soluzioni più indicate nel concreto, ossia in quel che presuppone la necessità di realizzare innanzitutto un profitto, e quindi di vendere il maggior numero di apparecchiature, per poter continuare a portare avanti la propria attività?

Al di là di tutto questo, che non è assolutamente poco, e in particolare tocca elementi di importanza fondamentale come sempre trascurati minuziosamente dalle fonti più o meno ufficiali, quanto emerso dal raffronto delle due cuffie suggerisce anche che la registrazione dal vivo di tipo amatoriale può essere di aiuto considerevole per migliorare le capacità di valutazione del singolo appassionato.

Non solo perché per il suo tramite si perviene a modalità prima di ascolto e poi di confronto inattuabili nella fruizione di programmi musicali dei quali non è dato conoscere le prerogative originarie, ma anche e soprattutto perché l’esperienza che ci si costruisce per il suo tramite rappresenta un importante elemento di crescita per l’appassionato di riproduzione sonora.

In primo luogo perché la sua effettuazione comporta l’esposizione ripetuta alla musica eseguita dal vivo, oltretutto secondo modalità differenti da quelle del pubblico per così dire comune, le cui peculiarità si vanno poi a verificare nell’ascolto delle registrazioni effettuate, appunto sulla base di riferimento noto. Questo aiuta il costituirsi, a livello personale, di una serie di parametri di rilievo ben maggiore rispetto a chi si dedica esclusivamente o quasi all’ascolto di riproduzioni, e di conseguenza determina capacità di giudizio più profonde e verosimili.

Un tempo la registrazione dal vivo di tipo amatoriale era parte integrante delle attività proprie di un qualsiasi appassionato. Poi col tempo, e con lo spingere sempre più ossessivo esclusivamente sulle apparecchiature dalle potenzialità commerciali maggiori e dalle destinazioni d’uso più facilmente sfruttabili, quelle destinate all’ascolto, è finita sempre più sullo sfondo. Complici anche le forme di dissuasione, altrettanto incalzanti, messe in atto dall’industria discografica, dal momento in cui le macchine adibite allo scopo hanno raggiunto un livello di perfezionamento che ne ha reso il prodotto troppo vicino all’originale. Per arrivare così alla realtà di oggi, in cui sono sostanzialmente trascurate. Tranne forse le macchine a bobina vintage, osservate però soprattutto secondo un approccio a metà strada tra lo status symbol e il feticismo a sfondo tecnologico.

La registrazione invece, in particolare quella dal vivo, è tra le attività più appassionanti del settore audio e soprattutto molto meno passiva del semplice ascolto in cui oggi si racchiude la totalità dell’universo conosciuto da parte della stragrande maggioranza degli appassionati.

Ecco perché nel prossimo futuro questo spazio rivolgerà ad essa parte della sua attenzione.

 

 

 

20 thoughts on “AKG K141 mkII contro K240 Studio

  1. Salve Claudio e complimenti per questa suo interessante confronto. Sarei interessato all’ acquisto del modello AKG K 141 mkII e vorrei chiederle se è a conoscenza di particolari differenze con il modello da lei preso in considerazione nella recensione. Eventualmente se la sentirebbe di consigliarmi questo acquisto?

    Grazie e buona giornata

    1. Ciao Francesco, grazie dell’apprezzamento.
      In effetti l’articolo riguarda proprio la AKG 141 mkII, che ritengo una cuffia consigliabile per il suo costo ridotto abbinato a un equilibrio timbrico decisamente valido. Oltretutto non è facile da trovare in questo genere di trasduttori, di solito tendente a sonorità più spinte. Proprio questo è il motivo per cui ha trovato ampio utilizzo a livello professionale e negli studi di registrazione.

  2. io comprai la k142hd perche nella mia citta non c era la k 141…..non so la differenza,e poi ho una sony che e’ “allascata” cioe mi va grande come se non stringesse secondo voi si puo aggiustare? cmq la k142hd e’ sui mediobassi

    1. Ciao Sergio, grazie dell’attenzione.
      L’indossabilità di una cuffia dipende da una serie di fattori piuttosto ampia. Tra di essi anche le dimensioni del cranio dell’utilizzatore e la sua conformazione. In genere i costruttori fanno in modo da attribuire ai loro prodotti un’adattabilità sufficientementer ampia. Ora bisogna capire anche il significato del non stringere a sufficienza. La K 141 può apparire un pochino esuberante sotto questo aspetto, caratteristica possibilmente condivisa anche con la K 142. Se per ipotesi ci si trovasse bene con queste ultime, è possibile che altri modelli meno caratterizzati sotto questo aspetto possano dar luogo a ciò che lamenti.
      L’essenziale è che la cuffia non tenda a calare o a spostarsi dalla posizione in cui la si è sistemata, anche a seguito di un movimento della testa non eccessivamente repentino. Se così non fosse andrebbe verificata, nell’ipotesi che si possa intervenire ai fini di quanto desideri, cosa da non dare per scontata.

  3. Salve Claudio, ottima recensione. Mi chiedevo proprio che differenza ci fosse tra i due modelli. Posseggo la K141 mkII da molti anni con la quale ho mixato moltissimi lavori anche cinematografici. Essendo appunto vecchia pensavo di prendere un modello superiore, sempre sovra aurale. Ne ho provate tante prima di arrivare alla K141, la sola che mi ha dato la risposta flat che ho sempre cercato. Vorrei provare a prendere una akg di modello superiore o una Beyerdynamic dt 770 pro della quale me ne hanno parlato gran bene. Consigli?

    1. Ciao Giampiero, grazie dell’apprezzamento. Se trovare cuffie di sonorità in apparenza più appaganti della K 141 può non essere così difficile, nel momento in cui si desidera un equlibrio pari al suo la cosa si complica notevolmente.
      Non è detto che salendo di prezzo le qualità che maggiormente t’interessano restino intatte. Non è un caso del resto che quel modello si sia conquistato tanta fama, soprattutto in un ambito in cui alla verosimiglianza del timbro viene attribuita l’importanza maggiore.
      Quindi in tutta sincerità non so aiutarti. Della Beyer so che se ne parla in termini positivi, ma non ho ai avuto modo di provarla in condizioni probanti, ovvere conoscendo la timbrica dell’esecuzione da cui è stata tratta la registrazione. Quindi forse la cosa migliore è di procurartene un esemplare presso un amico o conoscente che te la lasci provare.

    2. Ciao Giampiero, attenzione: io posseggo anche le DT770 Pro ma sono cuffie chiuse.
      Non possono essere paragonate alle 141 che sono altresì aperte.

  4. Complimenti per la prova, ho posseduto entrambe le cuffie e mi trovi totalmente d’accordo nella tua comparazione, completa e precisa, che coglie anche quegli aspetti emozionali che inevitabilmente compaiono nell’ascolto in cuffia. Credimi, al momento posseggo una quindicina di cuffie, tra dinamiche, elettrostatiche e magnetoplanari, circumaurali aperte e chiuse e se posso dire, ognuna mi da emozioni diverse indipendentemente dal brano ascoltato, ascolto di tutto con prevalenza al jazz (Coltrane, Baker, Parcher, Davis, ecc.) e prog soprattutto italiano.

    1. Grazie Luciano per la testimonianza.
      In effetti ogni cuffia ha una sua caratteristica specifica, che permette di trovare l’abbonamento migliore per ogni genere musicale.

  5. Gran bell’articolo. Ci sono arrivato cercando le caratteristiche dalla K24o Studio che ho comprato poco fa. Non ho molta esperienza, ma la mia cuffia, sia utilizzata con scheda audio che sul telefono ha un suono contenuto, Mi spiego meglio, il volume è basso. Non riesco a capire il perché. Avresti indicazioni? Ti ringrazio

    1. Ciao Giuseppe, grazie per l’apprezzamento.
      La K240 Studio ha un’impedenza di 55 ohm, valore che la rende indicata all’impiego in abbinamento a sorgenti con uscita a livello linea come la tua scheda audio. E’ possibile che il telefono abbia un’uscita cuffia meno prestante, ma in ogni caso tale da produrre un livello di pressione sonora sufficiente.
      Come ho scritto nell’articolo, la cuffia è stata utilizzata in abbinamento a un registratore portatile Tascam DR40. Essendo alimentato anch’esso a batteria, non dispone di un’uscita particolarmente nerboruta, il suo livello è di 20 milliwatt su 32 ohm. Tuttavia non ho verificato la carenza di pressione che lamenti.
      Ormai è passato del tempo dall’effettuazione di quella prova, ma non ricordo di aver verificato gravi limitazioni in termini di pressione sonora, come del resto si evidenzia dal testo dell’articolo.
      Ci sono cuffie dall’impedenza ancora minore, che facilitano ulteriormente il compito alle sezioni d’uscita, ma personalmente non sacrificherei la correttezza timbrica in favore di una maggior pressione sonora. Parametro che oltretutto può essere enfatizzato nella percezione soggettiva dalla presenza di picchi di risposta, tipici dei trasduttori di qualità andante, che per forza di cose andrebbero a rovinare la sonorità e l’attendibilità timbrica di una cuffia realizzata in modo simile.
      Al fine di provare in prima persona l’esperienza che racconti ho utilizzato la mia AKG K141 mkII, che a parità di livello ha una pressione di qualche grado maggiore della tua, sul mio telefono, un Samsung J7, sul quale per l’occasione ho provveduto a installare Foobar 2000.
      L’ascolto di un brano registrato a un livello medio non particolarmente sostenuto, “Or else” di Gary Burton, ha mostrato in effetti un volume non proprio strabordante ma neppure così deficitario, in ogni caso adeguato a un’esperienza d’ascolto corretta.
      Probabilmente nell’utilizzo di una cuffia aperta come la K240, che quindi non attenua i rumori esterni, la pressione massima ottenibile con l’impiego del telefonino potrebbe rivelarsi non sufficiente in ambienti particolarmente rumorosi. Attenzione, però, in condizioni simili non è che ci si debba assordare per sovrastare i rumori esterni. Si va anzi a sottoporre il sistema uditivo a uno sforzo per il quale non è fatto, al quale reagirebbe limitando la sua sensibilità. Condizione che a lungo andare potrebbe diventare definitiva. Meglio invece rinviare l’ascolto a un momento in cui ci si trova in condizioni puù favorevoli.
      Le cosiddette cuffie chiuse offrono un maggior isolamento dall’esterno, dando luogo però a fenomeni di costrizione che personalmente non sopporto, fermo restando il fatto che non rinuncerei all’impostazione timbrica corretta della K240 a favore di tale caratteristica.
      Va rilevato inoltre che la percezione soggettiva del livello di pressione sonora nell’ascolto di musica riprodotta non è legato tanto al livello di pressione, quanto alla presenza di distorsioni, che oltrepassato un certo limite inducono ad abbassare il volume. Qualora esse si mantengano a livelli contenuti, come appunto nell’ascolto in cuffia, si viene indotti ad alzare il volume sempre più, proprio per l’assenza, e quindi la mancata percezione, dei fenomeni che inducono a contenerlo o abbassarlo.
      Questo porta a sopportare, senza rendersene conto, pressioni sonore molto elevate e sicuramente dannose, ancor più se prolungate nel tempo o ripetute con frequenza.
      Ecco perché nell’impiego di cuffie occorre prestare attenzione a non sollecitare oltremodo il nostro udito.
      Ho poi eseguito una nuova verifica anche nell’ascolto da PC, cosa che mi accade di fare meno di rado. Ho collegato la cuffia al mio portatile, un HP Pavilion 15, che nell’ascolto dello stesso brano, regolato su un livello di 50-55 su 100 mi è sembrato più che sufficiente. Non solo, col prolungarsi dell’ascolto ho sentito il bisogno di ridurre il livello a 30-35.
      In ogni caso, nell’ascolto da PC si percepisce nettamente la maggior disponibilità di energia da parte della sezione di uscita audio.
      Personalmente quindi non reputo la K240 così limitante negl’impieghi da te menzionati, tutt’altro. Nel catalogo AKG sono presenti comunque diverse cuffie di tipo chiuso, e/o di sensibilità maggiore e impedenza minore. La K 72 ad esempio ha 112 dB per mW e 32 ohm di impedenza, rispetto a 104 dB/mW e 55 ohm. La K245, probabilmente più simile al modello che possiedi, ha 109 dB/mW e sempre 32 ohm di impedenza. Si tratta di valori più indicati all’ottenimento di pressioni sonore maggiori con l’impiego di riproduttori portatili, rispetto alle quali ritengo opportuno metterti in ancora una volta in guardia, in considerazione dei danni all’udito che ci si possono procurare, sia pure inconsapevomente.
      Spero comunque di aver chiarito i tuoi dubbi

        1. Dovere. Se controlli gli altri commenti, troverai menzionato un dispositivo che con ogni probabilità aiuta anche a risolvere i problemi da te lamentati.

    1. Ciao Angelo e grazie per l’attenzione. Purtroppo non ho avuto modo di provare la K240 mkII. Immagino sia sostanzialmente lo stesso prodotto, con modifiche di dettaglio. Attualmente la Studio si può acquistare a un prezzo più ridotto, che ritengo molto competitivo per le qualità della cuffia nel suo insieme e per le sue doti sonore, indubbiamente gradevoli.
      A presto

  6. Bella recensione match…ho la AKG k 240 e per il suo prezzo è difficile fare meglio..la141 sicuramente più versatile e piaciona e con la possibilità di agganciare altri cavi …penso che prima o poi farai un tuo cavo dedicato per tirarle fuori il massimo…di recente ho preso due cuffie on ear per uso in mobilità che abbinate ad un accessorio per lo smartphone LG G5 con convertitore Ess Sabre a 32bit e ampli consentono un ascolto di qualità molto coinvolgente..belli i brani che hai registrato ultimamente come demo ascolto dei diffusori in prova EsseQuadro l’una 177

    1. Ciao Filippo e grazie dell’attenzione.
      Sembra che tu mi abbia letto nel pensiero, infatti stavo pensando di realizzare un cavo apposta per queste due cuffie, non appena riuscirò a trovare un po’ di tempo.
      Anche la versione Studio della K240 è munita di connettore per il cavo.
      L’accessorio di cui parli mi sembra molto interessante. Un po’ per le sue caratteristiche, ma anche perché oggi l’ascolto da telefonino diventa sempre più diffuso. Quindi dargli una marcia in più può essere decisamente consigliabile.
      Mi fa molto piacere che abbia apprezzato i brani registrati per la verifica dei L’una 177. Spero riescano a dare un’idea delle loro caratteristiche sonore, dato che è proprio questo il loro scopo.
      Grazie ancora e a presto.

  7. Sono un cuffiofilo da lunga data, dato che per molto tempo i miei ascolti erano provenienti da un walkman… Non conosco i due modelli in questione, ma come riferimento ho proprio una Akg, e più precisamente la 240DF, impedenza 600 ohm, è mi piacerebbe tu la provassi a confronto con queste due….

    1. Ciao Fabrizio e grazie per l’attenzione.
      Da quello che vedo, la 240 DF è una variante, con ogni probabilità antecedente, della 240 Studio. Anche l’impedenza di 600 ohm è quella tipica delle AKG delle serie precedenti.
      Le cuffie ad alta impedenza sono indicate soprattutto per il pilotaggio mediante amplificatori, mentre quelle a bassa impedenza come i modelli presi inesame nell’articolo funzionano meglio con le uscite di linea o con le uscite cuffia di sorgenti e convertitori D/A, modalità d’impiego oggi probabilmente più diffusa. Quindi un confronto diretto non è facile, proprio perché si tratta di “animali” profondamente diversi, per i quali trovare un terreno di confronto paritetico e sostanzialmente impossibile. Tendo a pensare in ogni caso che nelle inevitabili differenze, le versioni di 240 DF e Studio abbiano una personalità non così distante tra loro. Se ne avrò l’occasione, sarò lieto di verificare le caratteristiche del modello di tuo interesse.
      A presto.

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